Il paese della “calma del mattino” continua ad essere un rebus apparentemente irrisolvibile, oggi più che mai.
All’inizio del 20esimo secolo incominciò l’occupazione coloniale giapponese: una egemonia durissima. Per questo, permane a tutt’oggi l’antipatia coreana per il Giappone. Terminata l’occupazione nel ’45, dopo le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki e la resa del Sol Levante, la Corea diventò la fotocopia della Germania post guerra mondiale.
Una linea di demarcazione al 38° parallelo da costa a costa , una cesura ancora in essere.
Con al Nord, il fantoccio dei russi e cinesi, il “monarca rosso” Kim Il Sung, ed al Sud la sua controfigura sotto la protezione americana.
Il dramma accadde nel 1950. Ad un accenno della politica americana che la Corea non era più strategica, Kim Il Sung scatenò una guerra di aggressione (con consiglieri militari russi e successivamente con l’intervento diretto cinese) sperando in una non reazione da Washington.
Si scatenò una guerra civile fratricida che lasciò sul campo più di 2 milioni di morti in soli tre anni : un spaventoso dramma se si tiene conto che Nord e Sud sommati non raggiungevano i 50 milioni di abitanti.
Dall’armistizio del ’53 lo status quo tipo Germania non è più mutato. Mentre il Sud, protetto da un forte contingente militare USA si è sviluppato diventando un forte paese industriale che inonda il mondo dei suoi prodotti (Samsung, Hyundai, etc), il Nord è rimasto sottosviluppato; soffrendo carestie spaventose negli anni ‘90, ma diventando, ironicamente, una potenza nucleare.
La diplomazia del Nord è riuscita persino a “scomodare” il Presidente Donald Trump per un incontro a Singapore con Kim Jong-un (“rocket man” secondo il leader USA), la terza generazione dei Kim.
Se si dovesse dare credito alle parole di Kim, con promesse di denuclearizzare la penisola coreana, si potrebbe pensare a grandi passi in avanti. Ma è risultato evidente nei giorni scorsi che a Pyongyang, capitale del Nord, si aspettano prima di tutto che gli americani attenuino le sanzioni contro di loro che sappiamo, anche grazie alla collaborazione di Pechino, fare male.
Ma vediamo nelle more di ulteriori mosse, quanti sono i cuochi in cucina che vorrebbero preparare diversi menù. In primis Kim Jong-Un: ha sicuramente opposizioni interne e si rende conto che finché c’è Trump non si può scherzare. Cerca, nel frattempo di ottenere attenuazione alle sanzioni USA facendo pressioni sul governo del Sud al quale promette unificazione e business. Allo stesso tempo promette la firma di un trattato di pace, mai firmato (di fatto si è fermi all’armistizio del ’53) incominciando con la costruzione di un congiungimento ferroviario e l’apertura agli investimenti di Seoul.
Nel Sud il Presidente Moon Jae-in, progressista e patriota, vuole con forza la riunificazione delle due Coree. Ma non sono rose e fiori: oltre ad una forte opposizione interna è guardato a vista da Washington.
“Sulla riunificazione delle ferrovie con il Nord non farete nulla senza il nostro permesso” è stato perentorio Trump. Anche le notizie sugli stupri dei gerarchi del Nord, di questi giorni, generano riserve rafforzando la posizione degli oppositori della riunificazione.
I cinesi, dal canto loro, monitorizzano con molta cautela le mosse di Nord e Sud. A loro fa comodo lo status quo e di poter “giocare” con un alleato scomodo, il Nord, ma anche utile.
Il Giappone con la sua “allergia nucleare” è molto preoccupato non solo per i missili di Kim Jong-Un che gli passano sopra la testa, ma anche di qualche mossa sconsiderata di Trump che spesso decide senza consultarsi con i suoi alleati più stretti .
Inoltre vista da Tokyo, la riunificazione che creerebbe un paese della dimensione della Germania con materie prime e mano d’opera a basso costo, non sarebbe il colmo della gioia.
In conclusione non è così chiaro che pietanze potranno cuocere i vari cuochi. Un vero rebus dalle conclusione imprevedibili e, purtroppo, anche molto pericolose.
Vittorio Volpi
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