Chi tenta di rompere il suo stato catatonico è guardato di sbieco e/o subito etichettato come provocatore/avventurista. E allora vediamo, con i fatti, chi provoca chi.
Agli inizi degli anni settanta un gruppetto di professionisti appartenenti alla borghesia socialista autonoma (BSA), con l’intento di istituzionalizzare il malcontento di quei tempi che, in fabbrica e sul territorio, cominciava a dare fastidio ai piani di ristrutturazione capitalista, usci dal letto matrimoniale della socialdemocrazia teorizzando la “via per l’alternativa popolare” con il fine dichiarato di giungere al superamento dell’economia di mercato tramite una lunga marcia democratica coniugata con l’uso delle istanze istituzionali come “cassa di risonanza” delle mobilitazioni sociali. Ricordo che uno dei suoi esponenti più noti, poi Consigliere di Stato, non perdeva l’occasione di ricordare all’utenza il concetto che “ se al cittadino non si prospetta un’alternativa di sinistra, quello poi finisce per andare a destra”. Era il tempo dove un lavoro si trovava, chi studiava non era costretto a portare il diploma alla Cassa disoccupazione, la scuola non somigliava ad una fabbrica, le assicurazioni sociali erano sopportabili, gli affitti pure, FFS, Posta e Swisscom non privatizzavano gli utili.
In quegli anni governava il centro liberaldemocristiano con i soliti, occasionali supporti della socialdemocrazia storica. Oggi, più di quaranta anni dopo, a situazione indiscutibilmente peggiorata, fa il bello e cattivo tempo la destra forcaiola con i rimasugli dei due partiti storici. Agli ex BSA, che devono concentrarsi di brutto per ricordare come sia fatto un operaio, un elettricista, un lattoniere, nemmeno il ruolo di utili idioti perché le strategie dell’economia globalizzata non sanno che farsene. Chi è al comando decide come, quanto e quando prendere o dare. Punto.
Allora, per non farla tanto lunga, una domandina s’impone: In tutto questo tempo, a sinistra, chi è stato, nei fatti, il provocatore?
Carlo Curti, Lugano
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