Vent’anni d’Europa con l’euro (titolo originale)
Ogni Paese aveva poi il proprio interesse, convinto di riuscire a tirare la coperta dalla propria parte. Dai tempi di De Gaulle la Francia studiava come poter imbrigliare la forza del marco. Per la Germania, la più dura da convincere a rinunciare alla propria moneta, circolano più ipotesi. Una che Mitterrand avrebbe chiesto a Kohl l’unione monetaria per il suo consenso alla riunificazione con la DDR. L’altra più pedestre che la moneta unica avrebbe posto termine alle svalutazioni competitive (specie della lira italiana) che mettevano in difficoltà le esportazioni dell’industria tedesca. Per gli Stati del sud Europa come Italia, Grecia, Spagna la comune speranza che i propri debiti prima o poi sarebbero diventati debiti europei. Comprensibile insistenza del ministro Tremonti al fine di ottenere il diritto di emettere bond europei. L’euro è uscito a fatica dalla crisi del 2009 e sicuramente più grazie all’abilità e autorevolezza di Draghi che per merito di Bruxelles. La Banca centrale europea per mantenere a galla l’economia europea (non parliamo di vero rilancio) ha investito 2.400 miliardi di euro sotto forma di quantitative easing, più altri pesanti interventi.
Passati i primi vent’anni ci si chiede se l’euro abbia soddisfatto le aspettative dei suoi fautori. Il giudizio generale è piuttosto negativo e va da chi lo considera responsabile anche della preoccupante situazione economica europea attuale, a chi prevede che non dovrebbe superare la prossima crisi a chi per contro ritiene che gli Stati membri riusciranno a prendere prima o dopo le misure centralizzatrici del sistema finanziario tali da permettere un rilancio. Comunque l’euforia di un tempo è spenta.
È innegabile che lo squilibrio dovuto alla mancata omogeneità economica degli Stati partecipanti si è violentemente manifestato confermando le preoccupazioni espresse da molti economisti. L’iniziale riduzione generalizzata degli interessi sul debito pubblico nei Paesi euro (per alcuni del 50%) ha avuto come conseguenza una diffusa ubriacatura e la possibilità per i Governi di poter rinviare quelle riforme strutturali indispensabili per il risanamento. L’ulteriore artificiale compressione dei tassi imposta dalla BCE con conseguenze punitive per risparmio, risparmiatori, strutture pensionistiche, è stata sostanzialmente una tassa surrettizia decisa per dare ossigeno a Stati barcollanti e male amministrati e a società decotte.
Mi sono sempre chiesto, e l’ho chiesto allora ai miei autorevoli interlocutori, il perché della fretta, dell’insistenza a voler ampliare la zona euro a Paesi sicuramente troppo fragili. Durante la crisi del 2009 ho avuto la risposta, cinica ma illuminante. Gli eurocrati di Bruxelles certo non degli incompetenti, sapevano del rischio che si sarebbe corso con un euro dalle basi insicure e si aspettavano una crisi, anche se meno pesante di quella iniziata il 2009. Una crisi che avrebbe permesso loro di affermare che l’origine della stessa risiedeva nel troppo poco «Europa», e legittimare la richiesta di maggiore coesione e competenze per Bruxelles. Anche questa è politica, purtroppo però gli errori li pagano i contribuenti. Ma per finire la responsabilità veramente di chi è? Domanda da porre? Ovviamente senza dubbio e come al solito dei «neoliberali»!
Tito Tettamanti
Pubblicato nel CdT e riproposto con il consenso dell’Autore e della testata
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