di Vittorio Volpi
I giapponesi, come noi, si sa, fanno meno figli. Le statistiche dicono che mediamente nel Sol Levante si fanno “un figlio virgola trenta” per famiglia ed il tasso di fertilità è in decrescita. Tale dato statistico ci dice che la popolazione, salvo forti immigrazioni, è in diminuzione in quanto, secondo le indicazioni OCSE, due figli per famiglia sono necessari per mantenere il livello attuale della popolazione. E, come è noto, i giapponesi sono riluttanti verso l’immigrazione.
Il fenomeno è aggravato dal fatto oggettivo che soprattutto nelle grandi città giapponesi, le ragazze sono poco propense ad avere una relazione fissa. Non diciamo a “sposarsi” – ormai sembra essere un concetto superato – , ma a mettere “insieme” un uomo ed una donna. La vecchia famiglia, un tempo addirittura di tre generazioni sotto lo stesso tetto, è ormai nell’oblio. La scomparsa dalle campagne, lo stress del lavoro, il costo per l’educazione dei figli, il lavoro obbligatorio per la coppia per sopravvivere, sono solo alcune delle cause del radicale cambio di scenario nella società nipponica. I figli adulti tendono a non lasciare la loro famiglia, oppure si decidono a vivere separati “arrangiandosi” a vivere in un modello nuovo: “la famiglia liquida”. Vivono con altri per comodità e ciascuno la propria vita.
Il vecchio canone del lavoro per la stessa azienda tutta la vita – che fu riconosciuto come la chiave di volta del successo economico del Paese – è in buona parte superato. Prevale come da noi il “paato” (part-time) che non dà nessuna assicurazione per il futuro, per crearsi una famiglia ed avere figli. Rende la vita incerta, imprevedibile.
La durezza della competizione internazionale che ha messo in crisi molte aziende giapponesi è lontana dall’essere superata e quindi il panorama rimane grigio. Per alleviare le pene e rendere più aperta la vita dei giovani si è rapidamente sviluppato un modello che in forme diverse proviene dal passato. Si chiama “Gokon”. Come sempre i giapponesi sono maestri nell’abbreviare i concetti, nella semplificazione delle parole.. Abbondano “pasocon” (personal computer), robocon, “karaoke” (kara è vuoto, oke è abbreviazione di orchestra). Gokon è la combinazione di go (insieme, combinato) e kon (da kompa e dal tedesco Kompanie).
In pratica è un modo per socializzare e fare amicizia; il perno è un organizzatore (Kanji) che si accorda con un’amica affinché ciascuno dei due porti “alla cieca” due/tre o più amici-amiche per un incontro, che sia per cena o dei drinks. Così si conoscono persone liberamente, che dovrebbero essere strettamente “single” e se suscitano interesse, successivamente avviarsi in qualche karaoke o bar, nella migliore delle ipotesi, continuare a sentirsi nei giorni a seguire. È una forma leggera, informale, per incontrarsi fra giovani delle stessa età e vita e superare la barriera della solitudine.
Ricordiamo che in Giappone, nella tradizione, molti matrimoni si combinavano facendo incontrare i candidati (omiai). Un “nakodo”, una persona di esperienza conosciuta, sceglieva con buon senso due persone che avevano punti in comune.
E queste scelte, nella maggioranza dei casi funzionavano. Andava bene nella società ancestrale: oggi molto meno, anche se sembra si stia rivitalizzando. L’imperativo categorico per il Sol Levante è fermare l’emorragia di forza lavoro : ed ogni mezzo è buono.
Per questo si è rafforzato il “gokon” come uno dei modi per socializzare, con la speranza che ci sia poi un seguito: e magari dei figli…..
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