Il 46enne Bosco Ntaganda, ex generale dell’esercito congolese, è stato condannato giovedì dalla Corte Penale Internazionale dell’Aia a 30 anni di prigione, colpevole di crimini di guerra e crimini contro l’umanità nella Repubblica Democratica del Congo. Una delle sentenze più severe che questo tribunale abbia mai pronunciato.
Gli atti commessi quando era un leader della milizia, particolarmente alla fine del 2002 e all’inizio del 2003, erano di una crudeltà e violenza impensabili. Includevano un omicidio di massa in un villaggio in cui le persone, comprese donne e bambini, erano state uccise con bastoni, manganelli, coltelli e machete. Tra i reati figurano anche stupri e schiavitù sessuale delle ragazze minorenni, reclutamento di truppe militari di età inferiore a 15 anni e l’uccisione personale di un prete cattolico romano.
Il presidente della corte, Robert Fremr, ha dichiarato: “Uomini, donne, bambini e neonati sono stati trovati su un campo con i corpi nudi. Avevano le mani legate e alcuni avevano la testa fracassata, diversi corpi erano sventrati o mutilati”.
Di fronte ad uno scenario così terribile, Ntaganda ha detto ai giudici di essere un soldato e non un criminale. Parole che meriterebbero il carcere a vita.
Più di 60 mila persone sono state uccise da quando la violenza è scoppiata in Congo nelle provincie orientali dal 1999, dove le milizie si contendono il controllo di preziose miniere e del legname. I giudici hanno affermato che Ntaganda è stato un leader fondamentale per la pianificazione e le operazioni di un gruppo armato congolese patriota ribelle al governo del Congo che ha ucciso almeno 800 persone durante i combattimenti contro le milizie rivali. Nel 2008 è stato membro fondatore del gruppo M23, sconfitto alla fine dalle forze del governo nel 2013 durante sanguinose battaglie intorno alla città di Goma nella provincia orientale del Nord Kivu.
Ricercato da maggio 2008 su ordine del Tribunale Penale Internazionale, Ntaganda si consegnò nel 2013 all’ambasciata statunitense nella capitale del Ruanda, suo paese nativo, per essere spedito alla Corte Penale nei Paese Bassi. Si è arreso per scampare al pericolo di una rappresaglia di una frazione rivale che voleva ucciderlo dopo il crollo del suo movimento ribelle M23.
Ntaganda era considerato un simbolo della impunità, dato che il suo primo mandato di arresto risale al 2006. Ancora oggi è un nome che continua a provocare brividi in tutto il Congo per la sua spietatezza.
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