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Aung San Suu Kyi: shame on you!* – di Vittorio Volpi

*vergognati

Vergognati! dicono all’Aia i cartelli nei confronti del Premio Nobel per la pace, il primo ministro del Myanmar Aung San Suu Kyi.

Aung San Suu Kyi in visita al Senato polacco /  Foto Wiki commons (Michal Jozefaciuk) https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/pl/deed.en

I cartelli di protesta e le dimostrazioni sono di fronte alla Corte Internazionale di giustizia, dove il Myanmar è accusato di “crimini contro l’umanità”.

L’ex Premio Nobel e primo ministro del Myanmar ha scelto di essere testimone nel processo. Peraltro la corte non si rivolge in questo caso ai singoli individui, ma bensì al paese ed al suo governo. La “causa” nei confronti del Myanmar è stata promossa dallo stato africano del Gambia ed appoggiato da altri paesi musulmani.

Perché una coalizione musulmana contro un paese, il Myanmar, di maggioranza buddista? Perché nel Myanmar vive da secoli una minoranza musulmana che parla una sua lingua, vicina al Bengali. Una cultura distintiva. Questa minoranza, circa 1,1 milioni di anime, è da sempre discriminata. Non le è concessa la cittadinanza, sono considerati “stateless peoples”, cioè apolidi, non hanno libertà di movimento, niente aiuti scolastici e medici. Insomma sono da sempre trattati come “immigranti illegali” da un paese buddista che non li integra (evviva la conclamata  pace buddista)….

Ebbene, dal 2017, questi infelici che vivono concentrati nella regione di Rakhine – ad Ovest della Birmania (Myanmar), hanno subito un attacco dai militari (e civili) di straordinaria violenza. Una vera “pulizia etnica”. Si stimano un migliaio di morti, ma ben più grave, molti villaggi bruciati e circa 600 mila persone sono finite in campi profughi nel paese, ma molti al di là del confine nel Bangladesh.

Ma cosa inaccettabile, gli stupri alle giovani, stracciando loro i vestiti, piccoli assassinati, forzati ad abbandonare il loro luogo natio. Grazie al Gambia le atrocità contro le minoranze – la pulizia etnica,  sono finite davanti alla corte di giustizia e di fronte al mondo.

Aung San Suu Kyi è in una situazione esecrabile e imbarazzante: dal 2015 è a capo del governo di coalizione del Myanmar con i militari (dei massacri) che in passato l’hanno confinata ai domiciliari per anni. Neanche il permesso di andare ai funerali del marito in Inghilterra. Il figlio ha ritirato il Premio Nobel.

Come difendere un governo criminale di cui lei è a capo? Come difendere sé stessa di corresponsabilità? Forse la risposta a questi quesiti è che come capo del governo non può esimersi dal difendere il suo paese da accuse così infamanti.

Una donna che tutti abbiamo amato e rispettato per la sua tenacia e coraggio nell’affrontare i suoi Generali senza scrupoli, si trova oggi accusata all’Aja per crimini che non si conciliano con un Premio Nobel per la pace. Le sue risposte alla corte dell’Aja sono improntate alla difesa del suo governo. “Stiamo investigando i presunti crimini, se saranno provati, colpiremo i colpevoli”.  Si è difesa anche sostenendo che chi giudica non capisce le complessità del paese e delle sue  culture e che la stampa internazionale giudica senza capire ed avere i fatti in mano. Che altro  potrebbe dire?

Forse sarebbe stato  meglio per lei dimettersi per non trovarsi dalla parte dei colpevoli. Difendere i suoi generali che sa essere indifendibili. Purtroppo  la politica è l’arte del possibile…. Dove tutto si spiega e giustifica.

Con il suo comportamento merita di continuare ad essere un Premio Nobel per la pace? “Ai posteri l’ardua sentenza…”

Vittorio Volpi

 

Relatore

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