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La natura, i virus e noi – di Tito Tettamanti

immagine Pixabay

Ogni anno nei Caraibi e nel sud degli Stati Uniti si aspettano uragani e cicloni tropicali di varie intensità. Ma anche altrove veniamo a sapere di tifoni e maremoti quando non addirittura di tsunami, di piogge torrenziali, esondazioni, allagamenti. E non possiamo dimenticare i terremoti con le loro vittime, le eruzioni vulcaniche, il tutto talvolta aggravato dall’incuria insipiente dell’uomo. La tragedia degli incendi australiani ha stupito in modo particolare chi non sa che annualmente in quell’esteso continente vi sono importanti incendi causati dalle arsure e complicati dalla mancanza di acqua e dalla fragilità del suolo.

Tito Tettamanti con Fabio Pontiggia in occasione di un dibattito con Alfonso Tuor

Tutto questo parlando del presente e del passato recente, ma se ci addentriamo nella preistoria si sono avverati altri avvenimenti, forse anche di dimensioni che non riusciamo a concepire, compreso quello che ha sterminato i dinosauri. Astrofisici, astronomi, geologi, paleontologi ed altri scienziati cercano di indagare e darci qualche risposta, ma molti restano gli interrogativi.

Anche i virus non sono per l’umanità degli sconosciuti. Limitandoci a quelli meno lontani, quindi un soffio di storia, ricordiamo a partire dal 1982 l’epidemia della SIDA (che leggo avrebbe fatto 36 milioni di morti), nel 2004 abbiamo avuto la SARS (770 morti), tra il 2009 ed il 2010 l’aviaria (portata dagli uccelli migratori) partita dall’Asia (450 morti), nel contempo imperversava la «spagnola», un’influenza che colpì decine di milioni di persone (da non confondere con quella che nel 1918/19 ha fatto 25.000 morti in Svizzera), nel 2014/2016 abbiamo la MERS trasmessaci dai cammelli (850 morti), nel 2015/2016, specie in Africa, l’epidemia dell’Ebola (e qui i morti salgono a 11.000), nel 2019 abbiamo conosciuto in Brasile, in Sudamerica e nei Caraibi lo Zika virus che leggo ha infettato 3.700 neonati con danni al cervello. Purtroppo condizioni igieniche inaccettabili riscontrabili in molte parti del mondo (non esclusa la Cina) sono la premessa ideale per lo sviluppo e i contagi.

Non è che lo scorso secolo non si siano conosciute epidemie. Nel 1956/57 ad esempio nella sola Italia oltre 30.000 persone sono morte per l’«asiatica». Se vogliamo risalire nella storia ricordiamo che a metà del 1300 la peste nera ha decimato la popolazione dell’Europa, che si calcola venne decurtata da 45 a 30 milioni. Coincidenza: pare che via Turchia sia stata importata dalla Cina. I nostri ricordi di scuola ci parlano poi di una delle numerose successive epidemie di peste, quella del 1630 narrata da Manzoni nei Promessi sposi. Questi sono i fatti. Non per relativizzarli, ma va ricordato che in Cina si stimano ogni anno a 10 milioni i morti per inquinamento atmosferico e nel mondo 650.000 (compresi 2.500 svizzeri) sono i morti per forme influenzali gravi.

Che conclusione possiamo trarre? Che sicuramente vivere, anche nel mondo occidentale, presenta dei rischi. Molto meno di un tempo, grazie ai progressi che rivoluzione industriale e sistema capitalistico hanno permesso. È però un’illusione molto diffusa nella popolazione, nella burocrazia e nelle autorità, pensare che con leggi, regolamenti, con controlli burocratici, si riesca ad annullare i rischi che il vivere comporta. La pericolosa mentalità «casco» e l’assistenza (impossibile) dalla culla alla bara. Mentalità che ci rende più impreparati allorché il vero rischio si presenta con la possibile pericolosa conseguente diffusione del panico.

Giustamente Pontiggia e Pelli nei loro editoriali di queste settimane invitano a non lasciarsi condizionare dalla paura. I fatti sopra elencati ci inducono inoltre a porci qualche domanda sul rapporto tra umani e natura. Vi è chi sostiene che la natura ci vuole bene e che a nostra volta noi la dobbiamo amare. Chi dice che ci sta punendo. Non so pronunciarmi e non so dare un giudizio. Molto semplicisticamente ritengo che la natura faccia i cavoli suoi in modo per noi misterioso e noi del regno animale facciamo quello che possiamo per sopravvivere, anche se non sempre in modo sensibile e intelligente. Nella mia ignoranza sono ammirato da quanto quasi otto miliardi di formiche (cioè noi), agitandosi in modo talvolta incomprensibile, riescano a fare ogni minuto di ogni ora di ogni giorno. Ma ancor più ammirato dall’eredità lasciataci da chi ci ha preceduto.

Certo molti sono gli interrogativi. Siamo troppi? Verremo sterminati da un malefico virus o dalla caduta di asteroidi? Oppure arriveremo a colonizzare il cosmo e a trovare acqua e condizioni di vita su qualche altra sfera celeste? Stephen Hawking, il grande fisico scomparso nel 2018, temeva che i robot, con la loro intelligenza artificiale, un giorno sarebbero arrivati a capire che noi umani avremmo potuto staccare loro la spina e per evitarlo ci avrebbero annientati. Sono affascinanti e terrificanti ipotesi di un futuro che non riusciremo mai a prevedere. È così e non dobbiamo angosciarcene, vedendo di comportarci con intelligenza e buonsenso. Senza voler scimmiottare Malraux, potremmo parlare di «condizione umana». Concludo ricorrendo alla frase del componimento di quel ragazzino napoletano: «Io speriamo che me la cavo». Che l’augurio valga per tutti noi. Scommettiamoci, sarà anche stavolta così.

Tito Tettamanti

Pubblicato nel CdT e riproposto con il consenso dell’Autore e della testata

 

Relatore

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