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Giuseppe Buffi preferisce la formica (ma la cicala ha le sue ragioni)

Vent’anni fa, esattamente il 20 luglio 2000, Giuseppe Buffi moriva improvvisamente a Chioggia, vittima di un repentino malore. Giornalista prima, poi consigliere di Stato, resse il DECS (che allora non si chiamava così) dal 1986 alla morte. Prima di lui Speziali, dopo di lui Gendotti. Fu una delle grandi personalità del Partito liberale radicale. Dopo la caduta del CUSI (1986) seppe – manovrando con notevole abilità politica – trovare la via per creare l’Università.

Molto apprezzato come opinionista/scrittore, garbato, profondo, piacevolmente ironico.

Da Opinione Liberale, per gentile concessione.

* * *

GIUSEPPE BUFFI

Perché credo alla necessità di questa «Opinione liberale» -17 settembre 1992

In primo luogo – non sembri una banalità – perché è un’opinione. Fra tante equidistanze d’oggidì, è importante che vi sia ancora chi sa dire: io la penso così. In secondo luogo perché è liberale, lontana cioè dai fanatismi e dai pregiudizi, in altre parole lontana dalla pretesa che un’opinione sia la verità. La tendenza dei mezzi d’informazione odierni, non parlo dunque degli organi politici, è di mettere a confronto più opinioni senza esprimere la propria; di esporre dei fatti senza accompagnarli con un giudizio qualsiasi. Oppure ancora di pubblicare denunce senza indicare il proprio grado di coinvolgimento e senza dare udienza alla controparte. Il tutto – è la pretesa – in omaggio all’imparzialità o al dovere d’informazione.

Ma è vera imparzialità limitarsi a pubblicare, della vicenda fra la cicala e la formica, un’intervista alla cicala, un’altra alla formica, delegando al lettore ogni giudizio morale? È vero rispetto del dovere d’informazione dare subdolamente la parola alla cicala senza neppure ascoltare la formica? Vi sono dei fatti di fronte ai quali la decenza e un minimo di impegno civile vorrebbero che si prendesse partito. Ma oggi prendere partito, dire cioè – pur senza iattanze, pur senza prepotenze – da che parte si sta, (di che partito si è), sembra a molti un modo superato di affrontare la realtà. La cicala – si argomenta – è stata pur vittima di insoffocabili richiami genetici; chi può negare che ha rallegrato l’estate, che s’è nobilmente curata dell’essere e non dell’avere prima di accorgersi di non avere neppure diritto a uno straccio di pensione? E chi non vede l’inaccettabile disprezzo della formica per una «diversa», quel suo scostante e sprezzante paternalismo nell’accoglierla, venuto l’inverno, in casa? Chi può affermare che l’una è migliore dell’altra? Taglio allora corto.

Stiamo dalla parte della formica e pretendiamo addirittura che sia un esempio per tutti noi. Vorrà dire che la cicala non si abbonerà e non leggerà mai questo settimanale. Magari ci insulterà, e preferirà uno di quei giornali «indipendenti» , equidistanti e imparziali che hanno necessità di vendere sia alla formica, sia alla cicala. Naturalmente non si può avere un’opinione su tutto, e non tutti i fatti, poi, si prestano a una lettura «liberale».

Basta avere l’onestà di dirlo, con l’avvertenza che dei due possibili significati di «liberale» (il primo l’ho già indicato, si riferisce al modo sgombro da pregiudizi e da intolleranze di farsi un’opinione; il secondo può alludere all’eventualità di opinioni ideologicamente «targate») va accettato ad occhi chiusi solo il primo. Basta e abbonda al cospetto dei disimpegni oggi imperanti, dietro ai quali si cela una pericolosa tendenza o alla rissa o alla dimissione civile.

Per un’opinione liberale si sono insomma creati grandi spazi. Occupiamoli, prima che diventino un irrecuperabile deserto.

 

Relatore

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