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Pandemia : Cina batte USA 1:0 ? – di Vittorio Volpi

Università di Wuhan, alloggi per studenti – Foto Pixabay

Mentre gli stracci volano (detto lombardo) le due potenze planetarie si affrontano a colpi di spillo oppure per vie oblique, cioè dire e non dire.

Per il momento sulla pandemia sembra vincere la Cina, un paese di 1.4 miliardi di persone. Nella prima fase se l’è cavata con 82295 contagi e 3342 decessi (fonte worldmeters).

Gli Stati Uniti che ancora non hanno raggiunto il picco della pandemia al momento invece contano già più di 600 mila contagiati e 26 mila decessi. Come mai ci si domanda, gli USA con solo un quinto della popolazione cinese  hanno avuto un risultato così distorto?

La risposta alla domanda viene da Pechino: “la campagna contro il Coronavirus ha dimostrato “notevoli” vantaggi della leadership del Partito Comunista Cinese e del sistema del socialismo con caratteristiche cinesi”.

Con un’aggiunta: “Singapore, Giappone e Corea del Sud hanno capitalizzato delle esperienze e lezioni apprese dalla Cina per combattere l’epidemia con successo”.

Naturalmente del tutto ignorato il caso più virtuoso di tutti nell’area, quello di Taiwan. Popolazione di quasi 24 milioni di abitanti (quasi 3 volte la Svizzera) e fino a ieri contavano 345 contagiati e 6 decessi (fonte Worldometers).

Allora non è vero che bisogna essere comunisti ed autoritari per conseguire risultati di successo contro  il virus?

Taiwan è una fiorente economia di mercato ed una democrazia vibrante, ma grazie alle censure cinesi, di questo paese non si deve parlare perché  è l’ultimo anello mancante per essere completamente riscattati  dal “secolo delle umiliazioni”.

È vero che la storia la scrivono i vincitori, ma la guerra non è finita. Per ora, la Cina, dove  il virus è nato, secondo le fonti affidabili e non alle “fake news”, è fattuale che ha contrastato il virus meglio rispetto all’Occidente.

Nonostante le reticenze ed incertezze della leadership cinese nel decidere e nel comunicarci quanto stava accadendo, c’era una preparazione che veniva dalle precedenti (epidemie) esperienze. Un vantaggio rispetto a noi.

Ma sui risultati permangono dubbi.

Grande è quindi l’interrogativo, come scrive Guido Santevecchi sul Corriere delle Sera di oggi: “Crescono i dubbi sui dati di Pechino”.

Perché il Covid-19, comparso a dicembre (in Cina) ed esploso a gennaio ha infettato negli USA più di 500 mila persone ed in Cina si è fermato a 83 mila? Ciò che contribuisce ad alimentare i dubbi sull’attendibilità dei dati cinesi è la decisione di Pechino di mettere sotto stretta osservazione la ricerca scientifica in corso sul Covid-19.

Secondo il “Corriere”,  ogni dato dovrà avere un solo canale di riporto sotto il controllo del governo centrale. “Forse per evitare che qualcuno contesti la “narrazione” su Xi Jinping, comandate vittorioso della guerra al virus?” si domanda il giornalista. Troppe cose non tornano.

Solo il 28 gennaio Xi annunciò che la Cina era in guerra con un “demone nascosto”, ma stranamente Xi ha fatto scrivere sulla rivista ideologica del Partito che già dal 7 gennaio aveva ordinato al Politburo di “prevenire e contenere il virus”.

Il réportage ci fornisce molti altri dati probanti, ma non proseguiamo.

Quello che vogliamo dire, è di non prendere tutto per oro colato. Pechino non ha vinto nessuna battaglia!

Purtroppo, va detto che i ritardi nel dirci quello che dovevano dirci, ci hanno complicato la vita, ma non hanno vinto sulle nostre democrazie.

Un caso emblematico. Chi ha fatto meglio  di tutti è Taiwan, ma con dei caveaux.

All’inizio del secolo la Sars li colpì direttamente e duramente. Imparata la lezione si prepararono per il futuro.

Subito il 28 gennaio imposero il lockdown di voli e qualsiasi provenienza da Wuhan, poi “alert flashing”cioè controlli in auto, social distance, tamponi per risalire alla catena dei contatti dei vari contagiati. Tanta disciplina, non subìta, ma come sentito dovere verso la collettività (etica  confuciana).

Per concludere, finché  il virus non sarà sotto controllo, sarà difficile fare i conti finali. Purtroppo i dati sono ballerini,  da paese a paese, cultura per cultura e quindi si rischia di usare la “statistica dei polli” del grande Trilussa.

È più che mai importante quindi saper distinguere il “grano dal loglio”

Vittorio Volpi

Relatore

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