Riceviamo e volentieri pubblichiamo. Il testo non impegna la linea del portale.
Ticinolive
A conti fatti il danno economico sarà grave, ma la caduta sarà seguita da un recupero rapido e dal rifiorire delle attività. Molti lavoratori ritroveranno la loro occupazione.
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In Ticino la solita politichetta dei bastan contrari (tra cui, ahinoi, annoveriamo personalità come il Sindaco di Lugano) ha attaccato duramente il diritto alla formazione in presenza per gli allievi delle scuole dell’obbligo, cavalcando la paura del contagio: ovviamente perché si trattava di attaccare il responsabile socialista del Dipartimento, come se Bertoli non agisse sulla base di indicazioni epidemiologiche fatte da chi è competente.
All’altro estremo la solita politichetta -fatta ahinoi anche dal presidente e dall’ex presidente del PLR cantonale- ha polemizzato sul fatto che in Ticino non fossero svolti gli esami di maturità in presenza e ha chiesto che si riaprisse più velocemente l’economia: i motivi sono quelli di cui sopra nel primo caso e sono la difesa dell’economia ad oltranza nel secondo caso.
Oggi non so se la riapertura iniziata l’11 maggio in Ticino fallirà. Spero veramente di no, perché se fallirà la riapertura, sarà una vera catastrofe economica, sociale e culturale. E sarà stata colpa unicamente della mancanza di regole chiare, ingenerata da un’ideologia liberale che, puntando su una filosofia di responsabilità individuale applicata (purtroppo) solamente da una parte della popolazione, è inadatta a combattere un grave problema collettivo. Magari funziona al 100% nel Canton Appenzello o in Svezia, ma qui da noi ho dei forti dubbi.
Le distanze sociali invece sono spesso ignorate nei luoghi di svago: bar e buvettes, frequentati in particolare da giovani adulti e da adolescenti, in momenti di sacrosanto relax (non siamo certo bacchettoni!), che però mal si accompagnano con il rischio di ricaduta nella crisi coronavirus. Non si può certo trasformare i poveri gerenti di bar e buvette in poliziotti che osservano tutto e che intervengono ad ogni istante. L’apertura di queste strutture è a mio parere un clamoroso autogoal e inoltre non ha alcuna giustificazione d’interesse pubblico. Al Consiglio di Stato e ai Comuni non resta che attivarsi per un controllo pressante degli esercizi pubblici.
L’altro punto dolente sono i trasporti pubblici. Il responsabile delle Ferrovie federali svizzere ha indicato di non poter obbligare i passeggeri ad usare le mascherine: ovvio, perché il Consiglio federale non l’ha decretato. Incredibilmente sui trasporti pubblici (bus, TILO) molti viaggiatori sono sprovvisti di mascherine, in particolare tra i giovani in gruppo. È una mancanza che rischia di compromettere la fase di riapertura delle attività iniziata in tutta la Svizzera. Infatti la distanza sociale sui mezzi pubblici sarà sempre più impossibile da mantenere (a meno di limitare il numero di passeggeri per viaggio, cosa irrealizzabile). Bisogna poi sottolineare l’importanza della mascherina per permettere nuovamente alle persone a rischio di utilizzare in sicurezza i mezzi pubblici: in particolare alle persone anziane e invalide che non guidano l’auto.
L’Ufficio federale della sanità pubblica raccomanda di indossare una mascherina igienica nei mezzi pubblici, “se non è possibile tenersi alla distanza di 2 metri dagli altri passeggeri”. Ma come si fa a indossarla, se nemmeno la si porta con sé? Per questo il Consiglio di Stato nei contratti di prestazione deve imporre alle aziende di trasporto sussidiate dal Cantone la condizione dell’utilizzo obbligatorio della mascherina igienica nei momenti di crisi sanitaria.
Raoul Ghisletta, granconsigliere e presidente PS Lugano
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