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Affogare nel mare dei debiti – di Tito Tettamanti

L’Avvocato si muove a suo agio tra miliardi, dividendi e tassi, questo è il suo pane. Chi lo legge vede subito che sue idee sulla finanza sono solide e tradizionali; egli concede poco spazio a quella cosa che viene chiamata “finanza creativa”.

Ma i politici, i governanti della terra grandi e piccoli… troppo spesso non la pensano come lui!

piqsels – public domain photo

La pandemia sviluppatasi (COVID-19) è stata sicuramente all’origine, con la chiusura di interi comparti della produzione e dei servizi, di difficoltà economiche e comporterà tra l’altro un pesante aumento dei debiti nei diversi Paesi. In Europa si parla di 2.000 miliardi di euro. Non deve però venir usata quale pretesto per dimenticare la situazione precedente, nascondendo una realtà pregressa basata sul debito già estremamente fragile e che prima o poi avrebbe potuto portare ad una crisi. Alla fine del 2019 il totale dei debiti del mondo viene stimato in 253 mila miliardi di dollari. Cifra che lascia esterrefatti ma che assume maggior significato se consideriamo che rappresenta il 320% del Prodotto interno lordo (PIL).

foto Ticinolive

Non sono da criticare in linea di principio gli interventi finanziari statali volti a contenere le conseguenze economiche negative del virus (in particolare derivate dalla sospensione obbligatoria di attività – lockdown). L’immissione di liquidità permette di evitare danni peggiori, addirittura la distruzione di realtà produttive (fallimenti) difficili da ricostruire. Purtroppo politici, governi, banche centrali, molto pronti ad indebitarsi per interventi in reazione ad una crisi, superato il pericolo dimenticano che i debiti andrebbero rimborsati. Gli Stati ne approfittano e il debito pubblico aumenta costantemente. Carmen Reinhart, oggi economista della Banca mondiale, nei suoi studi fissa al 90% del PIL il tasso di indebitamento che non si dovrebbe superare. Giappone (237,69%), USA (106,22%), Italia (133,15%), Francia (99,31%), Belgio (101%) e Spagna (96,41%) ad esempio sono ben al di là di tali limiti.

La politica di eccessiva propensione al debito ha conseguenze estremamente negative per lo sviluppo economico. Già le legislazioni fiscali invitano ad indebitarsi. Gli interessi pagati ai creditori vengono dedotti dall’utile e ciò avvantaggia il ricorso al debito rispetto ai mezzi propri il cui reddito è sottoposto all’imposta.

L’uso smodato del debito pubblico permette agli Stati di continuamente rimandare le misure strutturali atte a riequilibrare la situazione. Peggio ancora, aggrava le future generazioni di oneri insostenibili e mette in pericolo i sistemi previdenziali. Parimenti pericolosa la spinta all’indebitamento impressa dalla politica del tasso zero o negativo delle banche centrali. Penalizza nell’ordine di miliardi i risparmiatori, inclusi enti previdenziali. È un modo perfido di tassare questa categoria, si confiscano direttamente i possibili redditi evitando di ricorrere alle imposte che dovrebbero venir approvate (difficilmente) con l’iter democratico.

Infine è un invito a una scorretta allocazione del capitale. Soldi a tassi artificialmente bassi contribuiscono a mantenere in vita ditte decotte con la scusa talvolta di salvare posti di lavoro. Si mantengono dei posti nei quali i lavoratori non hanno avvenire invece di aiutarli a riciclarsi in ditte ed attività futuribili. Vi è di peggio, si inflazionano i mercati borsistici e immobiliari nei quali si riversano le liquidità, gli investitori si avvantaggiano dell’artificiale differenziale tra i tassi. Se ricevo soldi all’1% e posso acquistare in Borsa azioni di ditte primarie che mi danno un dividendo del 3% chi non vuole partecipare alla riffa? Uguali ragionamenti valgono per ipoteche e immobili.

Negli ultimi anni si sono sviluppate enormemente le società di P. E. (Private Equity) con una disponibilità di mezzi che arriva ai quattromila miliardi di dollari. Negli USA gestiscono ottomila società che realizzano il 5% del PIL. Pur riconoscendone l’abilità, il loro successo molto dipende dalla capacità di straindebitare la società acquistata approfittando dell’arbitraggio tra il reddito anche modesto dell’attività aziendale e il tasso ridicolo dell’indebitamento. Più che di imprenditoria potremmo parlare di allocazioni di capitali determinate da puri calcoli sulla differenza di interessi. Ci si comincia a chiedere quante di queste società straindebitate saranno in grado di resistere alla crisi e se non si assisterà ad una serie di dissesti che potrebbero influire negativamente sull’intero sistema.

Altra anomalia. Leggiamo di società quotate che annunciano perdite per il 2020, sospendono il pagamento dei dividendi, annunciano riduzione del personale. I tassi di disoccupazione sono aumentati vertiginosamente. In una simile situazione gli indici di Borsa dovrebbero tendere al ribasso riflettendo le difficoltà delle aziende. Non è così, da fine marzo a fine maggio l’indice della Borsa di New York (S&P 500) è aumentato del 36%, l’Euro Stoxx 50 del 20%, il nostro SMI del 21%. Com’è possibile? Sì, perché in Borsa non si investe più sulla potenzialità di un’azienda ma si scommette sulla continua immissione di liquidità da parte delle banche centrali che falsa la situazione reale. Si critica spesso e genericamente il sempre maggior indebitamento, pubblico e privato, ma non ci si rende sufficientemente conto dei danni che questa politica di sostegno e facilitazione del debito voluta da governi e banche centrali causa, oltre al deterioramento della morale dei debitori. Attenti inoltre a non far confusione: questa non è economia di mercato.

Tito Tettamanti

Pubblicato nel CdT e riproposto con il consenso dell’Autore e della testata

 

 

Relatore

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  • Due considerazioni spontanee.
    Osservo con “piacere” (le cifre contabili fanno effetto ma non dicono tutto) che l’Avvocato esprima un concetto reso evanescente dalla stampa economica ufficiale. Vale a dire: il debito appartiene a una situazione precedente la covid: una realtà pregressa. Punto. Quindi gli interventi finanziari statali volti a contenere gli effetti negativi del cosiddetto lockdown sono da considerare - in parte - come “puntuali” anche se andranno ad aumentare la somma del consistente debito planetario. Lo dico per sgombrare il campo relativamente alla subdola contrapposizione salute pubblica/sistema economico usata da alcune sedi economico-informative per tentare di contrapporre due realtà non contrapponibili.

    Inoltre, tale contrapposizione, la si carica di un presunto (indotto) confronto tra giovani generazioni e anziani. Non è escluso che lo si faccia per fuorviare il discorso sulle carenze di prevenzione di salute pubblica riscontrate a più livelli inserendo, appunto subdolamente, un aspetto di chiaro carattere discriminatorio: un barbaro capolavoro di guerriglia sociale. Strategie che si rivelano anche davanti a uno sciopero legittimo dei trasporti dove viene subito messo in risalto, con la complicità degli o.g.s. (operatori grande stampa), l’inevitabile disagio degli utenti e valutato esclusivamente con punti di crescita persi. Dividere per regnare.

    Una seconda osservazione evidenzia quanto la quarantena obbligatoria abbia penalizzato una specifica tuttavia crescente parte dell’economia: l’economia del precariato. Una fragile ragnatela di schiavitù che prende il nome di lavoro interinale fatto di flexibility at work, crowd-employment, stage workshop, smart working, mini job, working with vouchers, job sharing, on-call job e altre tremende etichette create dalla neolingua della gig economy per nascondere l’ampio sfruttamento di chi lavora per produrre la ricchezza poi trasferita nella finanza, con la subdola promessa cappello di poter tutti diventare milionari, già sapendo che i rischi sistemici - oltre a un brutale tasso di disoccupazione - vanno a ricadere sulla frange deboli del dispositivo economico così predisposto.

    In una recente intervista, un ricercatore universitario ha parlato di una civiltà poco incline alla prevenzione per principio ideologico soggiacente alla competizione. Personalmente, aggiungerei, che il carattere ideologico lo si conferma anche con la profonda avversione del sistema economico attuale per dispositivi preventivi che sanno di ...“protezionismo”: termine bandito dal vocabolario economicistico. Cioè: la dottrina dell’Ordine Mercantile esclude a priori il dover investire una parte dei profitti per varare un efficace strumento nazionale e/o globale a sostegno del lavoro e relativo alle variabili negative che l’economia mondializzata incontra a scadenze più o meno ricorrenti.

    Pure qui manca il proposito politico di saper convincere l’integralismo economico alla necessità di assumere quelle necessarie garanzie di auto-sopravvivenza e di sostegno ai danneggiati delle ricorrenti crisi. Inoltre la colpevole tolleranza politica dei governi, tende a nascondere le evidenti precarietà del contesto economico imperante, così come la sua consueta tendenza a superare ogni regola. Ciò porterà ad altri probabili collassi e all’immancabile assunzione dei contraccolpi sociali da parte degli stati e alle istituzioni territoriali che aumentano il debito pubblico. Pure qui un meccanismo preventivo non è mai stato preso in considerazione per scelte di avida convenienza ideologica.

    Chiudo con una nota di …involontario pessimismo. Le nostre società impiegheranno, tuttavia, tutte le risorse necessarie non tanto per porre rimedio alle insufficienze riscontrate, bensì per tentare di perpetuare il proprio modello “ideologico” di sviluppo.

  • Due considerazioni spontanee.
    Osservo con “piacere” (le cifre contabili fanno effetto ma non dicono tutto) che l’Avvocato esprima un concetto reso evanescente dalla stampa economica ufficiale. Vale a dire: il debito appartiene a una situazione precedente la covid: una realtà pregressa. Punto. Quindi gli interventi finanziari statali volti a contenere gli effetti negativi del cosiddetto lockdown sono da considerare - in parte - come “puntuali” anche se andranno ad aumentare la somma del consistente debito planetario. Lo dico per sgombrare il campo relativamente alla subdola contrapposizione salute pubblica/sistema economico usata da alcune sedi economico-informative per tentare di contrapporre due realtà non contrapponibili.

    Inoltre, tale contrapposizione, la si carica di un presunto (indotto) confronto tra giovani generazioni e anziani. Non è escluso che lo si faccia per fuorviare il discorso sulle carenze di prevenzione di salute pubblica riscontrate a più livelli inserendo, appunto subdolamente, un aspetto di chiaro carattere discriminatorio: un barbaro capolavoro di guerriglia sociale. Strategie che si rivelano anche davanti a uno sciopero legittimo dei trasporti dove viene subito messo in risalto, con la complicità degli o.g.s. (operatori grande stampa), l’inevitabile disagio degli utenti e valutato esclusivamente con punti di crescita persi. Dividere per regnare.

    Una seconda osservazione evidenzia quanto la quarantena obbligatoria abbia penalizzato una specifica tuttavia crescente parte dell’economia: l’economia del precariato. Una fragile ragnatela di schiavitù che prende il nome di lavoro interinale fatto di flexibility at work, crowd-employment, stage workshop, smart working, mini job, working with vouchers, job sharing, on-call job e altre tremende etichette create dalla neolingua della gig economy per nascondere l’ampio sfruttamento di chi lavora per produrre la ricchezza poi trasferita nella finanza, con la subdola promessa cappello di poter tutti diventare milionari, già sapendo che i rischi sistemici - oltre a un brutale tasso di disoccupazione - vanno a ricadere sulla frange deboli del dispositivo economico così predisposto.

    In una recente intervista, un ricercatore universitario ha parlato di una civiltà poco incline alla prevenzione per principio ideologico soggiacente alla competizione. Personalmente, aggiungerei, che il carattere ideologico lo si conferma anche con la profonda avversione del sistema economico attuale per dispositivi preventivi che sanno di ...“protezionismo”: termine bandito dal vocabolario economicistico. Cioè: la dottrina dell’Ordine Mercantile esclude a priori il dover investire una parte dei profitti per varare un efficace strumento nazionale e/o globale a sostegno del lavoro e relativo alle variabili negative che l’economia mondializzata incontra a scadenze più o meno ricorrenti.

    Pure qui manca il proposito politico di saper convincere l’integralismo economico alla necessità di assumere quelle necessarie garanzie di auto-sopravvivenza e di sostegno ai danneggiati delle ricorrenti crisi. Inoltre la colpevole tolleranza politica dei governi, tende a nascondere le evidenti precarietà del contesto economico imperante, così come la sua consueta tendenza a superare ogni regola. Ciò porterà ad altri probabili collassi e all’immancabile assunzione dei contraccolpi sociali da parte degli stati e alle istituzioni territoriali che aumentano il debito pubblico. Pure qui un meccanismo preventivo non è mai stato preso in considerazione per scelte di avida convenienza ideologica.

    Chiudo con una nota di …involontario pessimismo. Le nostre società impiegheranno, tuttavia, tutte le risorse necessarie non tanto per porre rimedio alle insufficienze riscontrate, bensì per tentare di perpetuare il proprio modello “ideologico” di sviluppo.

  • Due considerazioni spontanee.
    Osservo con “piacere” (le cifre contabili fanno effetto ma non dicono tutto) che l’Avvocato esprima un concetto reso evanescente dalla stampa economica ufficiale. Vale a dire: il debito appartiene a una situazione precedente la covid: una realtà pregressa. Punto. Quindi gli interventi finanziari statali volti a contenere gli effetti negativi del cosiddetto lockdown sono da considerare - in parte - come “puntuali” anche se andranno ad aumentare la somma del consistente debito planetario. Lo dico per sgombrare il campo relativamente alla subdola contrapposizione salute pubblica/sistema economico usata da alcune sedi economico-informative per tentare di contrapporre due realtà non contrapponibili.

    Inoltre, tale contrapposizione, la si carica di un presunto (indotto) confronto tra giovani generazioni e anziani. Non è escluso che lo si faccia per fuorviare il discorso sulle carenze di prevenzione di salute pubblica riscontrate a più livelli inserendo, appunto subdolamente, un aspetto di chiaro carattere discriminatorio: un barbaro capolavoro di guerriglia sociale. Strategie che si rivelano anche davanti a uno sciopero legittimo dei trasporti dove viene subito messo in risalto, con la complicità degli o.g.s. (operatori grande stampa), l’inevitabile disagio degli utenti e valutato esclusivamente con punti di crescita persi. Dividere per regnare.

    Una seconda osservazione evidenzia quanto la quarantena obbligatoria abbia penalizzato una specifica tuttavia crescente parte dell’economia: l’economia del precariato. Una fragile ragnatela di schiavitù che prende il nome di lavoro interinale fatto di flexibility at work, crowd-employment, stage workshop, smart working, mini job, working with vouchers, job sharing, on-call job e altre tremende etichette create dalla neolingua della gig economy per nascondere l’ampio sfruttamento di chi lavora per produrre la ricchezza poi trasferita nella finanza, con la subdola promessa cappello di poter tutti diventare milionari, già sapendo che i rischi sistemici - oltre a un brutale tasso di disoccupazione - vanno a ricadere sulla frange deboli del dispositivo economico così predisposto.

    In una recente intervista, un ricercatore universitario ha parlato di una civiltà poco incline alla prevenzione per principio ideologico soggiacente alla competizione. Personalmente, aggiungerei, che il carattere ideologico lo si conferma anche con la profonda avversione del sistema economico attuale per dispositivi preventivi che sanno di ...“protezionismo”: termine bandito dal vocabolario economicistico. Cioè: la dottrina dell’Ordine Mercantile esclude a priori il dover investire una parte dei profitti per varare un efficace strumento nazionale e/o globale a sostegno del lavoro e relativo alle variabili negative che l’economia mondializzata incontra a scadenze più o meno ricorrenti.

    Pure qui manca il proposito politico di saper convincere l’integralismo economico alla necessità di assumere quelle necessarie garanzie di auto-sopravvivenza e di sostegno ai danneggiati delle ricorrenti crisi. Inoltre la colpevole tolleranza politica dei governi, tende a nascondere le evidenti precarietà del contesto economico imperante, così come la sua consueta tendenza a superare ogni regola. Ciò porterà ad altri probabili collassi e all’immancabile assunzione dei contraccolpi sociali da parte degli stati e alle istituzioni territoriali che aumentano il debito pubblico. Pure qui un meccanismo preventivo non è mai stato preso in considerazione per scelte di avida convenienza ideologica.

    Chiudo con una nota di …involontario pessimismo. Le nostre società impiegheranno, tuttavia, tutte le risorse necessarie non tanto per porre rimedio alle insufficienze riscontrate, bensì per tentare di perpetuare il proprio modello “ideologico” di sviluppo.

  • Due considerazioni spontanee.
    Osservo con “piacere” (le cifre contabili fanno effetto ma non dicono tutto) che l’Avvocato esprima un concetto reso evanescente dalla stampa economica ufficiale. Vale a dire: il debito appartiene a una situazione precedente la covid: una realtà pregressa. Punto. Quindi gli interventi finanziari statali volti a contenere gli effetti negativi del cosiddetto lockdown sono da considerare - in parte - come “puntuali” anche se andranno ad aumentare la somma del consistente debito planetario. Lo dico per sgombrare il campo relativamente alla subdola contrapposizione salute pubblica/sistema economico usata da alcune sedi economico-informative per tentare di contrapporre due realtà non contrapponibili.

    Inoltre, tale contrapposizione, la si carica di un presunto (indotto) confronto tra giovani generazioni e anziani. Non è escluso che lo si faccia per fuorviare il discorso sulle carenze di prevenzione di salute pubblica riscontrate a più livelli inserendo, appunto subdolamente, un aspetto di chiaro carattere discriminatorio: un barbaro capolavoro di guerriglia sociale. Strategie che si rivelano anche davanti a uno sciopero legittimo dei trasporti dove viene subito messo in risalto, con la complicità degli o.g.s. (operatori grande stampa), l’inevitabile disagio degli utenti e valutato esclusivamente con punti di crescita persi. Dividere per regnare.

    Una seconda osservazione evidenzia quanto la quarantena obbligatoria abbia penalizzato una specifica tuttavia crescente parte dell’economia: l’economia del precariato. Una fragile ragnatela di schiavitù che prende il nome di lavoro interinale fatto di flexibility at work, crowd-employment, stage workshop, smart working, mini job, working with vouchers, job sharing, on-call job e altre tremende etichette create dalla neolingua della gig economy per nascondere l’ampio sfruttamento di chi lavora per produrre la ricchezza poi trasferita nella finanza, con la subdola promessa cappello di poter tutti diventare milionari, già sapendo che i rischi sistemici - oltre a un brutale tasso di disoccupazione - vanno a ricadere sulla frange deboli del dispositivo economico così predisposto.

    In una recente intervista, un ricercatore universitario ha parlato di una civiltà poco incline alla prevenzione per principio ideologico soggiacente alla competizione. Personalmente, aggiungerei, che il carattere ideologico lo si conferma anche con la profonda avversione del sistema economico attuale per dispositivi preventivi che sanno di ...“protezionismo”: termine bandito dal vocabolario economicistico. Cioè: la dottrina dell’Ordine Mercantile esclude a priori il dover investire una parte dei profitti per varare un efficace strumento nazionale e/o globale a sostegno del lavoro e relativo alle variabili negative che l’economia mondializzata incontra a scadenze più o meno ricorrenti.

    Pure qui manca il proposito politico di saper convincere l’integralismo economico alla necessità di assumere quelle necessarie garanzie di auto-sopravvivenza e di sostegno ai danneggiati delle ricorrenti crisi. Inoltre la colpevole tolleranza politica dei governi, tende a nascondere le evidenti precarietà del contesto economico imperante, così come la sua consueta tendenza a superare ogni regola. Ciò porterà ad altri probabili collassi e all’immancabile assunzione dei contraccolpi sociali da parte degli stati e alle istituzioni territoriali che aumentano il debito pubblico. Pure qui un meccanismo preventivo non è mai stato preso in considerazione per scelte di avida convenienza ideologica.

    Chiudo con una nota di …involontario pessimismo. Le nostre società impiegheranno, tuttavia, tutte le risorse necessarie non tanto per porre rimedio alle insufficienze riscontrate, bensì per tentare di perpetuare il proprio modello “ideologico” di sviluppo.

  • Due considerazioni spontanee.
    Osservo con “piacere” (le cifrecontabili fanno effetto ma non dicono tutto) che l’Avvocato esprima unconcetto reso evanescente dalla stampa economica ufficiale. Vale a dire: il debito appartiene a una situazione precedente la covid: una realtà
    pregressa. Punto. Quindi gli interventi finanziari statali volti a
    contenere gli effetti negativi del cosiddetto lockdown sono da
    considerare - in parte - come “puntuali” anche se andranno ad aumentare
    la somma del consistente debito planetario. Lo dico per sgombrare il
    campo relativamente alla subdola contrapposizione salute pubblica/sistema economico usata da alcune sedi economico-informative per tentare di contrapporre due realtà non contrapponibili.

    Inoltre, tale contrapposizione, la si carica di un presunto (indotto) confronto
    tra giovani generazioni e anziani. Non è escluso che lo si faccia per
    fuorviare il discorso sulle carenze di prevenzione di salute pubblica
    riscontrate a più livelli inserendo, appunto subdolamente, un aspetto di
    chiaro carattere discriminatorio: un barbaro capolavoro di guerriglia
    sociale. Strategie che si rivelano anche davanti a uno sciopero
    legittimo dei trasporti dove viene subito messo in risalto, con la
    complicità degli o.g.s. (operatori grande stampa), l’inevitabile disagio
    degli utenti e valutato esclusivamente con punti di crescita persi.
    Dividere per regnare.

    Una seconda osservazione evidenzia quanto la
    quarantena obbligatoria abbia penalizzato una specifica tuttavia
    crescente parte dell’economia: l’economia del precariato. Una fragile ragnatela di schiavitù che prende il nome di lavoro interinale fatto di flexibility at work, crowd-employment, stage workshop, smart working, mini job, working with vouchers, job sharing, on-call job e altre tremende etichette create dalla neolingua della gig economy
    per nascondere l’ampio sfruttamento di chi lavora per produrre la
    ricchezza poi trasferita nella finanza, con la subdola promessa cappello
    di poter tutti diventare milionari, già sapendo che i rischi sistemici -
    oltre a un brutale tasso di disoccupazione - vanno a ricadere sulla
    frange deboli del dispositivo economico così predisposto.

    In una recente intervista, un ricercatore universitario ha parlato di una civiltà poco incline alla prevenzione per principio ideologico soggiacente alla competizione.
    Personalmente, aggiungerei, che il carattere ideologico lo si conferma
    anche con la profonda avversione del sistema economico attuale per
    dispositivi preventivi che sanno di ...“protezionismo”: termine bandito
    dal vocabolario economicistico. Cioè: la dottrina dell’Ordine Mercantile
    esclude a priori il dover investire una parte dei profitti per varare
    un efficace strumento nazionale e/o globale a sostegno del lavoro e
    relativo alle variabili negative che l’economia mondializzata incontra a
    scadenze più o meno ricorrenti.

    Pure qui manca il proposito
    politico di saper convincere l’integralismo economico alla necessità di
    assumere quelle necessarie garanzie di auto-sopravvivenza e di sostegno
    ai danneggiati delle ricorrenti crisi. Inoltre la colpevole tolleranza
    politica dei governi, tende a nascondere le evidenti precarietà del
    contesto economico imperante, così come la sua consueta tendenza a
    superare ogni regola. Ciò porterà ad altri probabili collassi e
    all’immancabile assunzione dei contraccolpi sociali da parte degli stati
    e alle istituzioni territoriali che aumentano il debito pubblico. Pure
    qui un meccanismo preventivo non è mai stato preso in considerazione per
    scelte di avida convenienza ideologica.

    Chiudo con una nota di …involontario pessimismo. Le nostre società impiegheranno, tuttavia, tutte le risorse necessarie non tanto per porre rimedio alle insufficienze riscontrate, bensì per tentare di perpetuare il proprio modello “ideologico” di sviluppo.

  • Due considerazioni spontanee.
    Osservo con “piacere” (le cifrecontabili fanno effetto ma non dicono tutto) che l’Avvocato esprima unconcetto reso evanescente dalla stampa economica ufficiale. Vale a dire: il debito appartiene a una situazione precedente la covid: una realtà
    pregressa. Punto. Quindi gli interventi finanziari statali volti a
    contenere gli effetti negativi del cosiddetto lockdown sono da
    considerare - in parte - come “puntuali” anche se andranno ad aumentare
    la somma del consistente debito planetario. Lo dico per sgombrare il
    campo relativamente alla subdola contrapposizione salute pubblica/sistema economico usata da alcune sedi economico-informative per tentare di contrapporre due realtà non contrapponibili.

    Inoltre, tale contrapposizione, la si carica di un presunto (indotto) confronto
    tra giovani generazioni e anziani. Non è escluso che lo si faccia per
    fuorviare il discorso sulle carenze di prevenzione di salute pubblica
    riscontrate a più livelli inserendo, appunto subdolamente, un aspetto di
    chiaro carattere discriminatorio: un barbaro capolavoro di guerriglia
    sociale. Strategie che si rivelano anche davanti a uno sciopero
    legittimo dei trasporti dove viene subito messo in risalto, con la
    complicità degli o.g.s. (operatori grande stampa), l’inevitabile disagio
    degli utenti e valutato esclusivamente con punti di crescita persi.
    Dividere per regnare.

    Una seconda osservazione evidenzia quanto la
    quarantena obbligatoria abbia penalizzato una specifica tuttavia
    crescente parte dell’economia: l’economia del precariato. Una fragile ragnatela di schiavitù che prende il nome di lavoro interinale fatto di flexibility at work, crowd-employment, stage workshop, smart working, mini job, working with vouchers, job sharing, on-call job e altre tremende etichette create dalla neolingua della gig economy
    per nascondere l’ampio sfruttamento di chi lavora per produrre la
    ricchezza poi trasferita nella finanza, con la subdola promessa cappello
    di poter tutti diventare milionari, già sapendo che i rischi sistemici -
    oltre a un brutale tasso di disoccupazione - vanno a ricadere sulla
    frange deboli del dispositivo economico così predisposto.

    In una recente intervista, un ricercatore universitario ha parlato di una civiltà poco incline alla prevenzione per principio ideologico soggiacente alla competizione.
    Personalmente, aggiungerei, che il carattere ideologico lo si conferma
    anche con la profonda avversione del sistema economico attuale per
    dispositivi preventivi che sanno di ...“protezionismo”: termine bandito
    dal vocabolario economicistico. Cioè: la dottrina dell’Ordine Mercantile
    esclude a priori il dover investire una parte dei profitti per varare
    un efficace strumento nazionale e/o globale a sostegno del lavoro e
    relativo alle variabili negative che l’economia mondializzata incontra a
    scadenze più o meno ricorrenti.

    Pure qui manca il proposito
    politico di saper convincere l’integralismo economico alla necessità di
    assumere quelle necessarie garanzie di auto-sopravvivenza e di sostegno
    ai danneggiati delle ricorrenti crisi. Inoltre la colpevole tolleranza
    politica dei governi, tende a nascondere le evidenti precarietà del
    contesto economico imperante, così come la sua consueta tendenza a
    superare ogni regola. Ciò porterà ad altri probabili collassi e
    all’immancabile assunzione dei contraccolpi sociali da parte degli stati
    e alle istituzioni territoriali che aumentano il debito pubblico. Pure
    qui un meccanismo preventivo non è mai stato preso in considerazione per
    scelte di avida convenienza ideologica.

    Chiudo con una nota di …involontario pessimismo. Le nostre società impiegheranno, tuttavia, tutte le risorse necessarie non tanto per porre rimedio alle insufficienze riscontrate, bensì per tentare di perpetuare il proprio modello “ideologico” di sviluppo.

  • Due considerazioni spontanee.
    Osservo con “piacere” (le cifrecontabili fanno effetto ma non dicono tutto) che l’Avvocato esprima unconcetto reso evanescente dalla stampa economica ufficiale. Vale a dire: il debito appartiene a una situazione precedente la covid: una realtà
    pregressa. Punto. Quindi gli interventi finanziari statali volti a
    contenere gli effetti negativi del cosiddetto lockdown sono da
    considerare - in parte - come “puntuali” anche se andranno ad aumentare
    la somma del consistente debito planetario. Lo dico per sgombrare il
    campo relativamente alla subdola contrapposizione salute pubblica/sistema economico usata da alcune sedi economico-informative per tentare di contrapporre due realtà non contrapponibili.

    Inoltre, tale contrapposizione, la si carica di un presunto (indotto) confronto
    tra giovani generazioni e anziani. Non è escluso che lo si faccia per
    fuorviare il discorso sulle carenze di prevenzione di salute pubblica
    riscontrate a più livelli inserendo, appunto subdolamente, un aspetto di
    chiaro carattere discriminatorio: un barbaro capolavoro di guerriglia
    sociale. Strategie che si rivelano anche davanti a uno sciopero
    legittimo dei trasporti dove viene subito messo in risalto, con la
    complicità degli o.g.s. (operatori grande stampa), l’inevitabile disagio
    degli utenti e valutato esclusivamente con punti di crescita persi.
    Dividere per regnare.

    Una seconda osservazione evidenzia quanto la
    quarantena obbligatoria abbia penalizzato una specifica tuttavia
    crescente parte dell’economia: l’economia del precariato. Una fragile ragnatela di schiavitù che prende il nome di lavoro interinale fatto di flexibility at work, crowd-employment, stage workshop, smart working, mini job, working with vouchers, job sharing, on-call job e altre tremende etichette create dalla neolingua della gig economy
    per nascondere l’ampio sfruttamento di chi lavora per produrre la
    ricchezza poi trasferita nella finanza, con la subdola promessa cappello
    di poter tutti diventare milionari, già sapendo che i rischi sistemici -
    oltre a un brutale tasso di disoccupazione - vanno a ricadere sulla
    frange deboli del dispositivo economico così predisposto.

    In una recente intervista, un ricercatore universitario ha parlato di una civiltà poco incline alla prevenzione per principio ideologico soggiacente alla competizione.
    Personalmente, aggiungerei, che il carattere ideologico lo si conferma
    anche con la profonda avversione del sistema economico attuale per
    dispositivi preventivi che sanno di ...“protezionismo”: termine bandito
    dal vocabolario economicistico. Cioè: la dottrina dell’Ordine Mercantile
    esclude a priori il dover investire una parte dei profitti per varare
    un efficace strumento nazionale e/o globale a sostegno del lavoro e
    relativo alle variabili negative che l’economia mondializzata incontra a
    scadenze più o meno ricorrenti.

    Pure qui manca il proposito
    politico di saper convincere l’integralismo economico alla necessità di
    assumere quelle necessarie garanzie di auto-sopravvivenza e di sostegno
    ai danneggiati delle ricorrenti crisi. Inoltre la colpevole tolleranza
    politica dei governi, tende a nascondere le evidenti precarietà del
    contesto economico imperante, così come la sua consueta tendenza a
    superare ogni regola. Ciò porterà ad altri probabili collassi e
    all’immancabile assunzione dei contraccolpi sociali da parte degli stati
    e alle istituzioni territoriali che aumentano il debito pubblico. Pure
    qui un meccanismo preventivo non è mai stato preso in considerazione per
    scelte di avida convenienza ideologica.

    Chiudo con una nota di …involontario pessimismo. Le nostre società impiegheranno, tuttavia, tutte le risorse necessarie non tanto per porre rimedio alle insufficienze riscontrate, bensì per tentare di perpetuare il proprio modello “ideologico” di sviluppo.

  • Due (seppur minime:) considerazioni spontanee.
    Mi sono chiesto, dopo tutta questa esposizione di percentuali, quale sia, “in nuce”, il messaggio (subliminale?) dell’articolo. Che bisogna smetterla d’indebitarci? Risponderei con un perentorio: splendida utopia. Aggiungendo: il degrado occidentale non è solo finanziario. Tuttavia osservo con “piacere” il fatto (le cifre contabili fanno effetto ma non dicono “tutto”) che l’avv. Tettamanti esprima un concetto reso - viceversa - evanescente dalla stampa economica ufficiale. Il debito occidentale appartiene a una condizione (endemica) precedente alla covid: una realtà pregressa, il lockdown l’ha (forse) evidenziata. Punto.

    Per sgombrare il campo alle troppe parole propongo anch’io due calcoli. Uno relativamente alla subdola equazione di moda: salute pubblica …pandemizzata = economia … disastrata: molto diffusa in alcune sedi economico-informative; l’altro calcolo è, in effetti, una moltiplicazione a carattere …divisivo: 100 nipoti sacrificati …x 3 nonni 1/2 salvati (ovvero: “Persi miliardi per qualche centinaio di morti in meno” abbiamo perfino dovuto sorbirci …di domenica sulla stampa confederata …donnerwetter). Operazione assai mediatica probabilmente indirizzata anche a fuorviare il discorso sulle evidenti carenze di prevenzione di salute pubblica riscontrate a più livelli e, (soprattutto) per preparare il terreno alla discussione sulla previdenza sociale?

    Non è così semplice saper convincere l’integralismo economico della necessità - insomma - di dotarsi (anche) di quelle necessarie garanzie di sostegno al sistema e al popolo dei danneggiati delle ricorrenti crisi. Il mercatismo è, paradossalmente, una dottrina che riesce perfino a penalizzare i suoi fedeli più convinti. Che poi, sappiamo, si traduce nella pratica, e purtroppo, con l’immancabile assunzione di pesanti contraccolpi sociali da parte dei “poveri Stati” sempre e comunque costretti all’obbligo di correre in soccorso e di conseguenza dover aumentare il debito pubblico: il gatto si morde così tanto la coda, che ha perso pure quella.

    In una recente intervista, un tosto ricercatore ha parlato di una civiltà (la nostra) poco incline alla prevenzione …per/principio/ideologico/soggiacente/al/culto/della/competizione. Traduco a braccio: la Dottrina della New Economic Challenge esclude a priori/ il dover investire anche/ una minima parte dei profitti/ per varare efficaci strumenti/ atti a parare i danni/ conseguenti alle sciagurate variabili/ che un mercantilismo troppo “svincolato”/ produce a scadenze ormai (troppo) ricorrenti.

    (Tra parentesi (ma non troppo) gli allarmanti contagi avvenuti Germania nei luoghi di produzione di carne (in assai abitati dormitori/mense comuni) che hanno imposto un nuovo lockdown regionale (ri)penalizzando gli indigeni (ignari?) e i loro commerci. Oggi leggo di casi analoghi in Campania. Forse ricordo male …ma l’Europa non era (anche) per rigidissimi protocolli di “preventive” norme sul lavoro da far rispettare in …estremo oriente?).

    Chiudo con una nota di involontario pessimismo. Le nostre società impiegheranno, tuttavia, tutte le risorse necessarie non tanto per porre rimedio alle insufficienze riscontrate, bensì per tentare di perpetuare il proprio modello “ideologico”: il degrado occidentale non è solo finanziario.

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