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Verso il 27 settembre – Una difficile battaglia per la difesa dei nostri cieli – di Giorgio Ghiringhelli

dal sito www.ilguastafeste.ch

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Ticinolive sostiene il necessario ammodernamento della flotta aerea militare ma rimane aperto agli oppositori (sempre che desiderino manifestarsi).

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Già prima della seconda guerra mondiale la sinistra antimilitarista voleva indebolire l’esercito, e solo dopo l’avvento al potere di Hitler cambiò idea, ma ormai era tardi…

I pacifisti e gli aerei da combattimento : la storia si ripete perché la gente ha la memoria corta

La lettura del libro “La Svizzera in guerra : 1933-1945” , del “brissaghese” di adozione Werner Rings, dovrebbe far riflettere ed evitare di ripetere gli stessi errori

immagine Pixabay

Il 27 settembre gli svizzeri dovranno decidere se sono d’accordo che la Confederazione spenda 6 miliardi di franchi per l’acquisto di nuovi caccia da combattimento destinati a proteggere la popolazione in caso di attacco diretto o in caso di tensione nelle vicinanze delle sue frontiere. Se la votazione darà un esito favorevole sarà poi il Consiglio federale a decidere quale sarà il tipo di aereo più adeguato.

A opporsi all’ammodernamento delle forze aeree sono in particolare il Gruppo per una Svizzera senza esercito, il PS e i Verdi, che avevano lanciato con successo un referendum contro questa spesa a favore della sicurezza del nostro Paese. Già sei anni fa la sinistra ecologista e antimilitarista era riuscita , con un referendum, a mandare in fumo il previsto acquisto di 22 aerei da combattimento del tipo Gripen. Anche questa volta il “colpaccio” potrebbe riuscirle , perché in periodo di pace e di crisi economica è facile convincere la popolazione a non investire miliardi per la sicurezza e a destinare invece questi soldi alla socialità, alla salute e ai disoccupati. Però sui miliardi che la Svizzera spende per soddisfare le richieste dell’Unione europea, o per la politica dell’asilo, o per fare socialità all’estero, questa stessa sinistra non ha nulla da obiettare e anzi vorrebbe che si spendesse ancor di più, all’insegna del motto “prima gli altri”. E in questi casi, stranamente, il Popolo non ha quasi mai la possibilità di votare … Se poi lo scoppio improvviso di qualche evento bellico in Europa o di una guerra civile negli Stati vicini dovesse mettere in pericolo il nostro Paese, state pur certi che i primi a chiedere a gran voce più protezione allo Stato sarebbero proprio i pacifisti e gli antimilitaristi che hanno contribuito a indebolire l’esercito e le forze aeree, ma a quel momento potrebbe essere troppo tardi per correre ai ripari. Del resto era proprio ciò che era successo negli anni che avevano preceduto lo scoppio della seconda guerra mondiale. La Storia si ripete perché la gente ha la memoria corta.

Per rinfrescare la memoria ripropongo dunque nei prossimi capitoletti un articolo che avevo già scritto sei anni fa , nell’intento di far riflettere i cittadini che si apprestano a votare. In quel testo, che mantiene tutta la sua validità, riassumevo alcune eloquenti pagine del libro intitolato “La Svizzera in guerra : 1933 – 1945” scritto dal giornalista, scrittore e autore televisivo tedesco Werner Rings ed edito in italiano nel 1975 dall’accoppiata Mondadori-Ex Libris. Il libro aveva fatto seguito a una serie di tredici puntate di un programma televisivo trasmesso più volte dalla televisione elvetica a metà degli anni Settanta, e che a titolo di promemoria sarebbe utile riproporre prima della votazione di settembre.

Dopo aver combattuto contro i nazisti come volontario nell’esercito francese fino al crollo della Francia, nel 1942 Rings si rifugiò in Svizzera e si stabilì a Brissago, dove 45 anni fa ebbi occasione di incontrarlo nella sua abitazione e di parlare con lui del mestiere del giornalista. Chi si ricorda ancora che nel 1947- 48 Rings fu a capo dell’Ufficio stampa del Festival del film di Locarno e nel 1949 di quello delle Settimane musicali di Ascona?

La sinistra antimilitarista di un secolo fa
Nei capitoli iniziali del libro di Rings si ricostruisce l’atmosfera politica e sociale in Svizzera a cavallo fra la fine della prima guerra mondiale e lo scoppio della seconda. C’è un capitolo dedicato alla “sinistra antimilitarista”, in cui si spiega che l’impiego dell’esercito in varie occasioni contro gli operai in sciopero aveva alimentato la diffidenza dei socialisti nei confronti dell’esercito, a tal punto da far ritenere più giustificato che mai il boicottaggio della difesa nazionale. “L’atteggiamento socialista – scrive l’autore – corrispondeva a un pacifismo umanitario che era allora estremamente diffuso (…). Agli occhi dei pacifisti, l’opposizione all’esercito rappresentava un obbligo morale che doveva precedere qualsiasi decisione politica. E questo per la sinistra – finché mantenne questo atteggiamento – fu prima di tutto un problema di coscienza, prima che un principio politico”.

Ma verso gli inizi degli anni ’30 , quando fu chiaro che l’avvento al potere di Hitler in Germania poteva costituire un pericolo anche per la Svizzera, il vento cominciò a cambiare e “fu solo nel 1935 che il partito socialista prese la decisione di accettare, con riserva, il principio della difesa nazionale”. Però a quel momento le forze di difesa elvetiche “ si trovavano in tristi condizioni” perché “negli ultimi anni prima del conflitto nessuno si era dato da fare per fornire all’esercito un armamento idoneo” e la responsabilità di questo stato di cose era da ricercarsi secondo Rings “nel desiderio di pace della popolazione, nella riluttanza del Parlamento e nella crisi economica che aveva imposto altri compiti improrogabili”. Solo a partire dal 1936 si corse ai ripari per rafforzare l’esercito e per potenziare l’aviazione , ad esempio lanciando fra la popolazione un prestito per la difesa nazionale che permise di raccogliere circa 300 milioni di franchi , ma ormai “il tempo a disposizione era scarso, troppo scarso”.

Gli insegnamenti della Storia
L’insegnamento che dovremmo trarre da quegli avvenimenti è che se si vuol essere pronti a difendersi efficacemente in caso di guerra bisogna cominciare a pensarci in tempo di pace . Ma ho l’impressione che degli errori del passato non tutti abbiano fatto tesoro, e che la storia si stia ripetendo. Anche oggi v’è chi , più o meno in buona fede, non ritiene possibile che la Svizzera e l’Europa possano essere coinvolte in una nuova guerra, e che in nome di un pacifismo umanitario o con pretesti di tipo economico vorrebbe eliminare o indebolire l’esercito, ad esempio opponendosi all’ammodernamento dell’aviazione militare. Ma siamo così sicuri di essere al riparo da qualsiasi minaccia bellica ? Chi può garantire che l’Unione europea non si disgregherà a seguito dei problemi di immigrazione, criminalità e crisi economica che stanno facendo riaffiorare i nazionalismi e che sotto la spinta di milioni di giovani disoccupati che non hanno più nulla da perdere potrebbero sfociare in qualche guerra fra Stati o guerre civili dalle conseguenze nefaste per il nostro Paese ? In questo periodo storico è meglio non rischiare di ritrovarsi impreparati, come accadde ai nostri nonni alla vigilia della seconda guerra mondiale .

Il voltafaccia del pacifista Max Weber
Se Max Weber, consigliere federale socialista dal 1951 al 1953, fosse ancora vivo, sarebbe il primo a pensarla così. Al suo emblematico caso Werner Rings ha dedicato un capitolo del suo libro, raccontando il “voltafaccia” di questo politico che alla fine della prima guerra mondiale aderì ai movimenti pacifisti, rifiutandosi di prestare servizio militare e subendo la condanna a una pena detentiva. Ma quando, nel 1933, Hitler assunse il potere , Weber decise che non era più possibile opporsi a un esercito che avrebbe difeso il suo paese contro un’aggressione nazional-socialista, e prendendo la parola davanti al congresso dell’Unione sindacale svizzera, di cui era uno dei dirigenti , ammise che la guerra non poteva essere evitata fintanto che qualche paese si armava per farla, e da lì in poi si impegnò a fare campagna per la difesa nazionale. “Allo scoppio della seconda guerra mondiale – annota Rings – l’ex-obiettore di coscienza chiese al generale di essere ammesso nell’esercito (…) ma la sua richiesta venne respinta”.

Giorgio Ghiringhelli

Relatore

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  • Volevo aggiungere all'articolo una nota che il Generale Henri Guisan scrisse nel suo ultimo «Rapporto d'esercito» del 19 agosto 1945:
    « Il compito che ora vi attende non è facile... Innanzitutto, la gratitudine non è un sentimento durevole: se oggi l'opinione pubblica riconosce ancora ciò che avete fatto per il Paese che resta libero, tale riconoscenza potrà cancellarsi presto... In secondo luogo, l'immaginazione è un dono assai raro. Il nostro popolo, nella sua grande maggioranza non sarà incline a chiedersi negli anni venturi - non altrimenti che nel 1920, nel 1930 ed anche più tardi - se il Paese potrebbe trovarsi nuovamente minacciato e in quale modo. Ciò che abbiamo fatto, soprattutto dal 1933 in poi, per scuotere e per richiamare la coscienza e la vigilanza del popolo, ciò che abbiamo fatto dovrà sempre rifarsi »

  • Beh, per rispondere alla tua domanda (in maniera rapida, intendo) sempre dal lato pratico bisogna andare per gradi:
    - Prima di tutto, in tempo di pace nessun aereo militare vola a quella velocità (quelli civili semplicemente non ci arrivano neanche), dunque l'ipotesi che fai avrebbe senso solo in caso di guerra.
    - Anche in tempo di guerra volerebbe a quelle velocità solo se necessario, non essendo il carburante infinito e per altre ragioni pratiche. Dunque tale aereo che descrivi avrebbe come obiettivo di attaccare la Svizzera, non si comporterebbe così per sport.
    - I sistemi radar attualmente in servizio lo individuerebbero ad almeno duecento chilometri dalla frontiera, non quando appare all'orizzonte.
    - In caso di guerra ci dovrebbero essere sempre aerei da caccia in volo, pronti per ogni evenienza, dunque il tempo di decollo non è nemmeno da includere nel conto.
    - Tra l'altro, in caso di guerra, tale aereo dal comportamento chiaramente ostile potrebbe anche essere abbattuto da un missile a largo raggio, quelli cioè che la Svizzera acquisterà assieme ai caccia. Per evidenti motivi questo NON può esere fatto con un aereo di linea fuori rotta o simili, che necessitano di qualcuno che "vada lì a controllare".
    Anche con gli aerei militari la situazione è complicata; durante l'ultima guerra l'aviazione Svizzera abbatté circa 25 aerei stranieri ma ne costrinse ad atterrare quasi 200. Affiancare e scortare un aereo intruso non si può fare con dei missili.
    - Infine... Fu Ferdinand Foch a dire, nel 1911, "Gli aeroplani sono giocattoli interessanti, ma di nessuna utilità militare". A quasi 110 anni da quella frase non ci sono ancora state abbastanza dimostrazioni del contrario, anche provenienti dal nostro Paese?

    • - Gli addestramenti aerei sono spesso coordinati con i Paesi vicini per non disturbarli con falsi allarmi.
      - Un pilota di un aereo militare che attacchi (o anche finga di attaccare) un altro Paese in pieno tempo di pace è un cigno nerissimo, altro che nero, che nessuna difesa aerea, neanche quella di Paesi più estesi della Svizzera, è preparata ad affrontare, Se, invertendo l'ordine, un F/A-18 decollasse dalla Svizzera così di punto in bianco per attaccare Monaco di Baviera, Lione o la più vicina Milano, non penso che lo fermerebbero in tempo. Anzi, credo manco capirebbero cosa sta succedendo, a dirla tutta.

      La difesa di un Paese è fatta di molteplici sfaccettature, certo, ma non è trascurandone una che si migliora tutto il resto. Anzi, si introduce solo un punto debole in più. Per cui ben vengano limitazioni delle acquisizioni estere, della sostituzione demografica, della ripresa delle leggi straniere e quant'altro. Ma ben vengano assieme al mantenimento di una difesa militare, non al suo posto. Difesa militare, peraltro, che è legata a doppio filo con i doveri di uno Stato neutrale.

  • Se nella situazione attuale sapessi chi, quando e come potrebbe rappresentare una minaccia per la Svizzera avrei anche i numeri della prossima estrazione della lotteria. Se qualcuno mi dicesse che tale minaccia non esiste e ci facesse dell'ironia sopra, i numeri da giocare li chiederei a lui, perché senz'altro li conosce. Dato che del domani non v'è certezza, preferisco applicare della sana prudenza, sapendo perfettamente che la situazione attorno a noi può mutare molto più rapidamente di quanto si possa attrezzare (o riattrezzare) un esercito in grado di farvi fronte. Mantenere tali capacità, anche al livello minimo attuale, è decisamente meno difficile e costoso che improvvisarle ogniqualvolta servono.

    La difesa di un territorio nazionale dipende dagli stessi fattori da cui dipendeva ai tempi dei romani, e saranno gli stessi pure nei prossimi secoli. Ma volendo si può tranquillamente anche parlare di quanto avviene in tempo di pace. Ora, ragioniamo; se la Svizzera non dovesse sostituire gli attuali F/A-18 e si ritrovasse senza aerei da caccia, chi effettuerebbe i quasi 300 interventi di polizia aerea annuali svolti da questi ultimi? Beh, a meno di non accettare il rischio (incidenti, terrorismo, ...) derivante da un mancato controllo, la risposta sarebbe una sola: aerei da caccia stranieri. Che, in definitiva, acquisirebbero il controllo del nostro spazio aereo, e per aggiungere la beffa al danno in qualche modo dovremmo pure pagare tutto ciò. Oppure, permetta anche a me una provocazione, questa è un'acquisizione straniera che va bene, perché non produce profitti d'azionariato?

    Infine, sono contento di leggere che non ha nulla contro il mantenimento della difesa nazionale, che comprende indiscutibilmente anche un'aviazione militare efficente. Come dicevo, dai tempi di Foch le dimostrazioni di quanto questo sia vero sono state numerose, e mi sembra strano doverne ancora parlare dal punto di vista pratico (sotto altri punti di vista se ne parlerà sempre) a più di un secolo di distanza.
    Una difesa che peraltro è una condizione essenziale per un Paese neutrale e per la credibilità della sua neutralità, e che deve provvedervi con le sue forze, non con quelle altrui.

    Priorità? Esistono priorità politiche, economiche e militari; vanno soddisfatte tutte, non una a spese dell'altra.

    I pronostici sono sempre bene accetti; io ricordo, ai tempi della votazione sui Gripen, che i contrari (socialisti, gsse, ...) dicevano che gli F/A-18 bastavano, andavano bene, che non avevamo bisogno d'altro che di essi. Allora pronosticai che, al momento di sostituire gli F/A-18 medesimi, avrebbero dimenticato tutto e trovato altre scuse per non farlo. Ci sto azzeccando, ovviamente, ogni giorno che passa.

  • L'ironia è un ottimo rifugio e via di fuga, quando le argomentazioni pratiche mancano.
    Sulle poco "autarchiche" (termine assai politicizzato, specie quando si vuole dare a qualcosa una connotazione negativa) scelte, posso solo dire che dopo aver letteralmente lasciato morire l'industria aerospaziale svizzera, una delle prime al mondo a produrre aerei militari a reazione, radar e missili guidati, la scelta più ragionevole e meno costosa è di acquistare o produrre su licenza caccia e sistemi antiaerei complessi prodotti da altri. Ma sarei più che favorevole alla proposta di sviluppare un caccia militare in Svizzera, se è questo che suggerisce.

    Il significato della neutralità non è cambiato di una virgola da più di un secolo a questa parte, e i suoi diritti ed obblighi sono codificati nelle convenzioni dell'Aja del 1907. Garantire, anche con la forza, l'inviolabilità del proprio territorio (spazio aereo compresi) da parte di eserciti stranieri è uno di questi obblighi. Può certamente non piacere per ragioni politico/ideologiche, o può dare confusione se qualcuno crede che "neutralità" sia un sinonimo di "pacifismo", ma è così.

    L'aneddoto proposto (sebbene poco rappresentativo, viste le condizioni geografiche di Ginevra e lo svolgersi degli avvenimenti) dimostra proprio quello che sto dicendo, ovvero cosa accade quando per varie ragioni (qui di budget) si affida ad altri in toto o in parte la propria sicurezza, compresa quella dei cieli. Ringrazio per averlo trovato e proposto. Senza un'aviazione militare, casi come quello sarebbero però l'ordine del giorno in tutto il territorio svizzero, e non una nota ogni qualche anno legato ad un territorio largamente periferico. Nota a cui, comunque, si è in seguito cercato di rimediare, con più fondi, più personale... e presto con la sostituzione degli F/A-18, ormai vicini al traguardo dei trent'anni di servizio.

  • Risponderò per sommi capi, proprio per lasciare spazio (anche se dubito che qualcuno risponderà dopo di noi) ad altri:

    - La scelta di sistemi d'arma provenienti da questo o quel Paese non ha di per sé a che vedere con la neutralità. Neutralità non è una gara ad accontentare tutti i fornitori di armi.
    - FFA P-16, N-20 Arbalete, ALR Piranha e pure altri (seppure solo sulla carta), i missili Kriens e i loro antenati, i sistemi radar Oerlikon, i motori a reazione della Sulzer, l'NKPz... li conosco, si.
    - Non ho mai parlato di credo o per fede, ma anzi ho cercato il più possibilie di attenermi alla realtà, alle leggi e ai trattati.
    - Riguardo alla difesa integrata, non abbiamo alcun obbligo di intervenire in aiuto di nessuno, così come nessuno ha il dovere di intervenire in nostro aiuto. E nessuno lo farebbe, immagino.
    - Il libro di McPhee (titolo originale "Place de la Concorde Suisse") è da tempo che mi piacerebbe leggerlo, ma ancora non ho potuto. Ne conosco solo alcuni brevi stralci e citazioni.

    Cordiali saluti.

  • Un commento terzo che cerca di fare un riassunto delle posizioni di due interlocutori. Farei i miei complimenti per l'impegno, se fosse stato anche redatto con equidistanza... ;)

    • Nessuna illusione. E questo testo lo conferma in vari punti. :)
      Se poi hai suggerimenti chiari su come risolvere gli altri problemi della Svizzera... beh, si cambia completamente argomento rispetto all'articolo commentato e la faccenda rischia di diventare lunga, ma ascolterò con piacere.

      • Che sia un concetto inaccettabile o meno, va prima di tutto stabilito se ha una qualunque base reale e verificabile. Ma qui entriamo in argomenti un po' tanto complessi, mi sa, e lo spazio commenti è poco adatto a questo genere di cose.

  • Scambierei volentieri la difesa dei cieli con la difesa del mercato del lavoro. Ma forse saranno perse entrambe.

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