Estero

Trump difende le vittime della violenza del suprematismo nero

Winconsin, Kenosha. Il Presidente cammina tra le rovine, la città è devastata. Dovunque emergono i segni della distruzione operata dal vandalismo dei Black Lives Matter, per il pretesto del ferimento del sospettato Jacob Blake. Gli occhi di Trump si posano su case saccheggiate, bidoni incendiati, auto date alle fiamme, vetrine infrante.

Diverse chiese sono state date alle fiamme: le proteste dei Black Lives Matter si dimostrano, come sin da subito erano state, dei chiari ed inequivocabili attacchi alla storia dell’Occidente.

“Si tratta di terrorismo interno” dice, greve “dovuto alle rivolte anti-polizia e anti-americane”. Segue l’incontro con la delegazione di poliziotti: gli agenti sono provati dall’immane fatica impiegata nel sedare le rivolte, hanno gli occhi tristi e stanchi. “Sono con voi” li rincuora il Tycoon “la grande maggioranza dei poliziotti sono onesti servitori pubblici” dice poi, rivolto al pubblico. “Certo, qualcuno a volte impazzisce: non è facile prendere decisioni in frazioni di secondo”. Già, così come per quanto è accaduto a Dijo Kizzee, 29 anni, che a Los Angeles ha preso a pugni in faccia un agente, trasformandolo in una maschera di sangue, poi, pistola sotto braccio, è fuggito e ha rifiutato di fermarsi: i poliziotti sono stati costretti a ucciderlo. Con sé, infatti, aveva una pistola, che probabilmente avrebbe usato contro gli agenti.

Armi libere, l’antica e difficile questione americana: legittima difesa o guerriglia? Nell’America del razzismo universale, dove i neri sono contro i bianchi e viceversa, talvolta anche la legittima difesa è l’unica speranza.

Decisioni difficili, come dice Trump, quelle dei poliziotti prese in una manciata di istanti di terrore in cui serve avere fermezza, decisioni difficili, quelle dove il razzismo è imperante e, soprattutto, bilaterale: Kyle Rittenhouse, un diciassettenne bianco, stava per essere ucciso da una folla di neri inferocita.  L’adolescente ha allora impugnato una pistola che aveva con se e ha aperto il fuoco. Ha avuto salva la vita, al prezzo di quella di due dei suoi aggressori.

“Sarebbe stato ucciso” ha specificato Trump, “ha dovuto salvarsi la vita”.

La tensione dei suprematisti neri del Black Lives Matter nei confronti dei manifestanti pro Trump è altissima: come Jacob Blake è stato ferito dalla polizia americana, perché non si è fermato ma si è gettato in macchina, forse, per armarsi, ed è ora paralizzato, così Aaron Jay Danielson, attivista di trentanove anni di Patriot Player, è stato ucciso dai manifestanti del suprematismo nero dei Black Lives Matter: la sua unica colpa? Aver cercato di difendere il corteo pro Trump con proiettili di gomma, dai suprematisti neri, che sparavano proiettili veri.

Appena possibile anche Joe Biden, l’avversario di Trump, sarà a Kenosha, per mostrare supporto alla guardia nazionale e alla polizia: la visita potrebbe placare come aumentare la tensione. Le famiglie di ambo le parti offese sono molte, sono troppe.

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