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Il “mini-lockdown” non esiste! – di Lorenzo Quadri

“Il disastro economico con fallimenti aziendali e perdita di posti di lavoro porterà con sé un’impennata di malattie mentali, di depressioni, di invalidità per motivi psichici e di suicidi.”

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Riceviamo e pubblichiamo questo articolo come contributo all’immenso dibattito sul Coronavirus.

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immagine Pixabay

I contagi salgono. E certa informazione, specie a sinistra, non perde occasione per fomentare l’isteria ed evocare (invocare) un secondo lockdown.

Lo scopo dell’esercizio è chiaro. Abituare i cittadini all’idea di un nuovo confinamento. E c’è già chi, magari con il posto garantito a vita nello Stato, nel parastato o nel sindacato, si immagina di chiudere in casa la gente per altri due mesi a guardare le serie su Netflix, mentre l’Ente pubblico, con i soldi del contribuente, paga gli stipendi di tutti. Non è così che funziona.

Adesso Berna pretende di scodellarci la nuova, illuminata pensata: il mini-lockdown di due settimane. Si tratta di una presa in giro. Perché non esiste alcun mini-lockdown. Chiudere è facile. Riaprire molto meno. Specie quando i contagi non sono a zero. Anche in marzo, la chiusura (più o meno) totale doveva durare una settimana, poi due, poi tre e alla fine siamo andati avanti per mesi, con le conseguenze tristemente note. O qualcuno si immagina che il Consiglio federale avrà il coraggio di decretare la fine del lockdown e le riaperture dopo quindici giorni, quando i contagi saranno giocoforza ancora alti?

E’ scontato: venisse decretato, il mini-lockdown si trasformerebbe in maxi-lockdown. Con tutte le conseguenze economiche, sociali, ed anche umane del caso. Le chiusure non sono infatti devastanti solo per l’economia. Lo sono anche dal profilo sociosanitario. Il disastro economico con fallimenti aziendali e perdita di posti di lavoro porterà con sé un’impennata di malattie mentali, di depressioni, di invalidità per motivi psichici e di suicidi. Le persone già fragili sono, ovviamente, le più a rischio: i casi seguiti da servizi sociali ed autorità di protezione si sono aggravati a seguito del confinamento di primavera.

Invece di continuare ad evocare scenari tanto drastici quanto impraticabili, contro i quali si è espresso perfino l’ex “Mr Coronavirus” Daniel Koch (ed è tutto dire!), si punti su quello che è fattibile. Senza – come ha giustamente dichiarato il “Ministro delle finanze” Ueli Maurer – lasciarsi prendere dall’isteria. E ricordandosi che le misure alle frontiere non sono un tabù; anzi. Libera circolazione delle persone uguale libera circolazione del virus. Almeno questo, lo scorso marzo dovremmo averlo imparato.

Lorenzo Quadri, consigliere nazionale, Lega dei Ticinesi

Relatore

View Comments

  • Quadri ha torto su un punto; le misure alle frontiere SONO un tabù, qualunque esse siano.
    Fu Berset ad annunciare in un intervista a metà settembre, a nome del Consiglio Federale, che le restrizioni e l'obbligo di quarantena non avrebbero riguardato le aree di frontiera (assurdità dal punto di vista del contenimento di un'epidemia), e questo per preservare la vita transfrontaliera e l'economia. Questo almeno finché si fosse riusciti a mantenere il controllo dell'epidemia e a far funzionare il tracciamento dei casi; quel controllo ora è stato in pratica perso da tempo, ma le restrizioni non si sono viste.
    Fu sempre Berset ad andare su invito a Parigi, il 14 luglio scorso, e ad annunciare che per combattere l'epidemia le frontiere vanno superate.
    Oggi se ne vedono le conseguenze; come a marzo, quando si poteva introdurre misure di controllo ai confini che avrebbero quantomeno rallentato l'esplodere dei casi non lo si è fatto, poi una volta esplosi si dichiara che sono inutili perché "il virus non si ferma alle frontiere". Ragionamento che i nostri vicini non hanno fatto, limitando anche i transiti internazionali, probabilmente perché perfettamente consapevoli del fatto che si, il virus non si ferma alle frontiere... visto che da solo neanche ci arriva...

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