Estero

L’accordo sul cessate il fuoco tra Armenia e Azerbaijan segna un nuovo ordine nella regione del Caucaso

Storicamente la zona montuosa del Nagorno-Karabakh è stata una regione abitata dagli armeni ed era conosciuta nella tarda antichità e nel Medioevo come la provincia armena di Artsakh.

Quando le repubbliche indipendenti di Armenia, Azerbaijan e Georgia furono portate sotto il controllo sovietico, i bolscevichi presero delle decisioni sulle regioni contese accettando inizialmente il fatto che Nagorno-Karabakh dovesse far parte dell’Armenia sovietica. L’Ufficio del Caucaso del Partito comunista confermò il 4 luglio 1921 di attribuire la regione all’Armenia. Ma Stalin, di origine georgiana, cambiò la decisione in favore dell’Azerbaigian sovietico, nonostante il fatto che ai tempi il 90% della popolazione della regione Nagorno-Karabakh era armena. Una decisione frutto della strana collaborazione tra comunisti sovietici e kemalisti turchi (dal padre fondatore della Repubblica di Turchia, Mustafa Kemal Ataturk) durante la prima guerra mondiale, seguita dalla dissoluzione dell’impero ottomano.

Il problema andò avanti per molto tempo con il lento ma costante afflusso di azeri che mirava a diluire la popolazione a maggioranza armena. Fino al 1988, quando le politiche di glasnost di Gorbachev hanno aperto la strada ad una maggiore libertà di espressione. Ma quella che inizialmente doveva essere una questione amministrativa, è diventato un problema etnico in entrambe le repubbliche con una guerra su vasta scala che ha portato pulizie etniche da entrambi le parti. Nel 1994 gli azeri furono sconfitti e gli armeni di Nagorno-Karabakh presero anche le regioni adiacenti per proteggersi maggiormente.

La disputa territoriale tra Armenia e Azerbaigian è uno dei conflitti più antichi del mondo, anche se la regione del Nagorno-Karabakh è internazionalmente riconosciuta dal diritto come parte dell’Azerbaijan ma controllata dall’etnia armena.

Nuovi combattimenti per il controllo regione  sono iniziati il 27 settembre e si sono intensificati, causando in cinque settimane più di 5 mila morti, oltre 130 mila sfollati e danni ingenti alle infrastrutture civili. Il presidente dell’Azerbaijan, Ilham Aliyev, chiedeva la restituzione della regione del Nagorno-Karabakh con quelle circostanti affermando che parti dell’Armenia, come anche le regioni di Zangezur e Yerevan sono territori dell’Azerbaijan. Ma il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, salito al potere nel 2018 ereditando una posizione negoziale dei suoi predecessori (ritenuti corrotti), ha sempre contrastato la posizione azera affermando chiaramente che Nagorno-Karabakh fosse territorio armeno senza discussione.

L’Azerbaijan ha investito negli ultimi anni oltre 12 miliardi di dollari nell’acquisto di armamenti per superare la forza bellica dell’Armenia. Il presidente turco Erdogan ha dato una mano a pianificare lo sforzo bellico azerbaigiano.

Questa guerra rischiava un più ampio coinvolgimento regionale. Tra Armenia e Russia esiste un patto di reciproca difesa e assistenza alla sicurezza sottoscritto nel 1997 al quale all’inizio di questo mese Pashinyan si è rivolto per la prima volta formalmente chiedendo l’aiuto russo. L’Azerbaijan  invece ha il forte sostegno della Turchia.

Dopo una serie di vittorie azere sul campo di battaglia grazie al sostegno di Ankara, dove i sistemi di difesa aerea dell’era sovietica dell’Armenia non si sono dimostrati all’altezza dei droni azeri acquistati dalla Turchia e da Israele, Baku ha ripristinato il controllo su vaste aree del territorio travagliato che le forze armene avevano sequestrato come cuscinetto di sicurezza nel 1994. La cattura di Shusa, un importante centro storico culturale e religioso situato a 1800 metri nelle montagne del Karabakh, e l’imminente collasso delle forze armene, hanno messo in discussione il destino della regione e aumentato seriamente il rischio di espansione del conflitto coinvolgendo la regione dello Yerevan. Per questo motivo Mosca si è affrettata ad agire rapidamente per un cessate il fuoco e a mediare un accordo tra Armenia e Azerbaijan entrato in vigore alla mezzanotte di martedì scorso ponendo fine a 44 giorni di feroci combattimenti.

Ma l’accordo di pace, che ha confermando l’influenza della Turchia nella regione, ha suscitato rabbia in Armenia dove centinaia di persone sono scese in piazza manifestando con rabbia e hanno preso d’assalto, saccheggiando, gli edifici governativi subito dopo l’annuncio del primo ministro armeno. “Ho firmato una dichiarazione con i presidenti di Russia e Azerbaijan sulla fine della guerra del Nagorno-Karabakh”, ha detto Pashinyan, definendo la mossa “indicibilmente dolorosa per me personalmente e per il nostro popolo. Ma ho preso questa decisione come risultato di un’analisi approfondita della situazione militare”, ha aggiunto.

Una vittoria significativa per l’Azerbaijan che con il calo dei prezzi del petrolio avrebbe avuto difficoltà a sostenere ulteriori spese militari. Baku riguadagna porzioni sostanziali del territorio che aveva perso a causa delle forze armene nel 1994, ma non si tratterà purtroppo di un accordo di pace globale.

Secondo i termini dell’accordo, quasi 2 mila forze di pace russe saranno dispiegate nella regione, l’Armenia cederà tutta la terra che è stata conquistata dall’Azerbaijan dallo scoppio della nuova guerra, dove intende ricollocare migliaia di rifugiati di etnia azera nelle loro case di Nagorno-Karabakh.

La Turchia vede crescere il suo prestigio nella regione del Caucaso meridionale, che insieme alla Russia creerà un centro comune per il monitoraggio del cessate il fuoco.

MK

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