La rielezione trionfale, da parte del Gran Consiglio, di tutti i procuratori pubblici uscenti (compresi i cinque bocciati dal Consiglio della Magistratura, che ciononostante hanno avuto la “tolla” di riproporsi) ha messo una pietra tombale su tutte le discussioni concernenti il buono o cattivo funzionamento del Ministero pubblico. Da oggi (o meglio, da lunedì pomeriggio) valgono la seguenti regole:
1. chi ha la fortuna di approdare in Procura pubblica da giovane, bene o male che lavori, ha di fatto il posto assicurato a vita;
2. Le istanze di controllo esistono solo sulla carta. Se qualcuna prendesse sul serio il proprio ruolo, verrebbe subito rimessa al suo posto, con tanto di predica sulle procedure da rispettare;
3. Se un procuratore avesse l’impressione di avere troppo lavoro, non ha che da reclamare “un potenziamento dell’organico”, e sarà presto accontentato.
A questo punto c’è da chiedersi cosa farà il Consiglio della Magistratura, di fronte a una sconfessione così palese e umiliante. Se i suoi membri avessero un minimo di dignità (ma proprio un minimo-minimo) si dimetterebbero immediatamente, come richiesto dal deputato Pronzini, che almeno su questo aspetto (non necessariamente su altri) ha perfettamente ragione.
Franco Celio, Ambrì
* * *
La lettera dell’amico Celio è alquanto sarcastica e ciò non guasta. Da parte mia, potrei fare la sceneggiata esclamando smarrito “non avrei mai pensato che potesse succedere questo!”… ma sarei poco sincero perché in verità l’avevo pensato (una delle possibilità).
La mossa cruciale (e decisiva) è stata la divulgazione dei nomi con violazione del segreto, ciò che ha innescato l’attacco al Consiglio della Magistratura. Era la via obbligata, e l’azione è stata coronata da successo.
Concordo con Franco Celio sull’opportunità di dimissioni in corpore del Consiglio della Magistratura, almeno come gesto dimostrativo. Come ho già avuto occasione di scrivere, ai miei occhi quel gremio non ha alcuna colpa.
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