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A colloquio con Edmondo Bruti Liberati – di Achille Colombo Clerici

Lotte di potere e misteri nella giustizia italiana

Tratto da “Giovanissima e immensa” (Milano) di Achille Colombo Clerici

Edmondo Bruti Liberati con il prefetto di Milano Alessandro Marangoni e Achille Colombo Clerici

Parte, Bruti Liberati, dalla constatazione che la Repubblica nasce malata dalla contiguità con il fascismo, che ha visto all’inaugurazione dell’anno giudiziario del 1940 a Palazzo Venezia i magistrati che indossavano l’orbace del partito fascista; gli stessi che, a Liberazione avvenuta, resteranno al loro posto assurgendo ai più alti incarichi, nominati dai presidenti della Repubblica Gronchi e Saragat. Aggiungiamo che tale contiguità faceva comodo alle potenze vincitrici in omaggio a considerazioni geopolitiche (l’Unione Sovietica premeva a est).

Ma non mancarono pochi coraggiosi, coloro che, con sacrificio, incuranti dei rischi, si schierarono dalla parte dell’antifascismo e della Resistenza; tra gli altri Luigi Bianchi d’Espinosa, i fratelli Alessandro e Carlo Galante Garrone, Giorgio Agosti, Domenico Peretti Griva.

La nascita della magistratura come la intendiamo oggi, «ordine autonomo e indipendente», opposta a un rapporto organico con il potere politico, fu una gestione lunga e travagliata, complici troppi silenzi e passività. Dal dominio pressoché assoluto della Corte di Cassazione si arrivò, solo a metà degli anni Sessanta, alle sentenze della Corte costituzionale che impressero, dopo la dichiarazione di illegittimità delle leggi fasciste, la svolta democratica.

Quindi l’arrivo delle donne in magistratura (ora sono la maggioranza), il XII Congresso dell’Associazione nazionale magistrati (ANM) nel quale si stabilì: «Il giudice deve essere consapevole della portata politico-costituzionale della propria funzione di garanzia, così da assicurare, pur negli invalicabili confini della sua subordinazione alla legge, un’applicazione della norma conforme alle finalità fondamentali volute dalla Costituzione».

Ma ancora negli anni Settanta, che oggi vengono definiti “gli anni di piombo”, l’alta magistratura condiziona pesantemente l’operato di chi lavora sul campo delle indagini: il processo sulla strage di piazza Fontana finì a Catanzaro per decisione della Cassazione; la procura di Roma diventò il “porto delle nebbie” dove si eclissarono alcune tra le più importanti inchieste.

Carlo Azeglio Ciampi, Corrado Sforza Fogliani e Achille Colombo Clerici

E ancora i casi schedatura dei 300.000 operai della Fiat, golpe Borghese, Rosa dei venti, terrorismo, P2 (che coinvolse il vicepresidente del CSM Ugo Zilletti, ministri, generali capi dei servizi segreti, direttori di giornali; e Sindona, gli assassini di Moro, dell’avvocato Giorgio Ambrosoli, del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa). Sono anni sul filo della legge quelli in cui il terrorismo e la mafia uccisero un impressionante numero di magistrati.

La politica non aiuta: Craxi odia i giudici, Berlusconi, attento soprattutto, nei suoi governi, alle leggi ad personam, li definisce “matti, antropologicamente diversi dal resto della razza umana. Se fai quel mestiere devi essere affetto da turbe psichiche»; e il presidente del Senato Marcello Pera propone rivoluzioni del sistema giudiziario più volte bocciate dal presidente della Repubblica Ciampi.

Su Mani pulite…

* * *

Nota della Redazione. Un testo che giudichiamo di notevole interesse, provvisto di una forte connotazione ideologica.

 

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