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La tragedia del Myanmar, perché? – di Vittorio Volpi

Si scrive la cronaca degli scontri in Myanmar, l’ex Birmania, e delle vittime (più di 200 in poco tempo), ma poco per capire del perché avvenga e perché i militari non mollino la presa.

È sicuro che ci riguarda, eccome, anche se vista la distanza geografica, i tragici fatti possono sembrare virtuali, lontani da noi. Ma non è così.

Ho visto anni fa nella lobby di un palazzo a San Francisco la seguente scritta: “Finché non saremo tutti liberi, nessuno di noi è libero”. È il pensiero di Emma Lazarus che fa riflettere.

Il colpo di stato del 1.Febbraio da parte dell’esercito guidato dal generale Min Aung Hlaing è facilmente spiegabile.

Nel 2015 venne concesso un passaggio, apparentemente democratico, ad un governo guidato dall’eroina Aung San Suu Kyi, tenuta in carcere o in naftalina per decenni, ma mantenendo l’obbligo di un quarto dei voti garantiti al partito dei generali (Tatmadaw) più i tre più importanti dicasteri del governo.

Purtroppo per i generali, le elezioni legislative del 2020 sono state stravinte dalla “Lega Nazionale per la democrazia” (LND), il partito di Aung San Suu Kyi.  L’esercito ha vinto poche decine di seggi.

Il 26 gennaio il generale Min ha contestato la regolarità delle elezioni optando per la presa del potere il 1.febbraio, di conseguenza il consigliere di Stato Aung San Suu Kyi, il presidente Win Mint e altri leaders del partito di governo sono stati arrestati e detenuti. La giustificazione per i generali era la necessità di preservare la stabilità minata da “enormi irregolarità”. Essi hanno comunicato che verrà istituita una vera “democrazia multipartitica” e che il trasferimento del potere, ora nelle loro mani, avverrà solo dopo “lo svolgimento di elezioni generali libere ed eque”. Dicono fra un anno…..

Il colpo di Stato quindi è la reazione al successo elettorale della LND che data la larga maggioranza elettorale raggiunta paventava il cambio della Costituzione per togliere gli ingiusti vantaggi elettorali ai generali.

Di solito i governi militari puntano al potere e all’ordine, ma in questo caso molto di più. L’esercito, i generali, il Tatmadaw, sono anche i detentori di un grosso business da tempo nelle loro mani.

Il potere controllato per molti decenni dai generali ha contribuito a far mettere loro radici e le mani sull’economia. Basti pensare alle Holdings Mehl e MEC controllate dai militari le cui consociate sono più di 100. Per non parlare della Myanmar Oil and Gas Enterprise, la maggior società birmana in termini di profitti.

Il rischio, comprensibilmente, per i militari è di perdere il controllo dell’economia e quindi le fonti di reddito per tutta la nomenclatura, essenziale per i generali del Myanmar.

Quindi, è importante capire che il passaggio del potere alla LND per i generali è un fattore di sopravvivenza, inaccettabile per loro.

Purtroppo per il generale Min e la sua cricca potrebbe essere che abbiano fatto i conti senza l’oste perché la reazione della piazza è violenta. Rispetto alle rivolte precedenti, i giovani possono ora comunicare fra di loro.

Non solo si vedono miriadi di giovani per strada con le 3 dita alzate, ma vasti sono i boicottaggi alle imprese pubbliche e private.

Secondo voci affidabili ci si sta avvicinando alle 300 vittime, 2181 arresti e torture, come riporta The Guardian, per l’insegnante ed attivista della LND, Zaw Myat Lynn. Brutalmente torturato, dopo avergli rovesciato addosso acqua bollente e una sostanza caustica in bocca, abbandonato poi in seguito con una coltellata nell’addome.

Mentre in Occidente “qualche paese” solleva proteste ed invoca sanzioni, la Cina protesta per le 39 fabbriche, perlopiù tessili, incendiate dai dimostranti (si stima che le fabbriche cinesi diano lavoro ad oltre 400 mila lavoratori). Pechino, allineandosi così con i generali, chiede di rintracciare i colpevoli e punirli con pene dure. Gli autori degli incendi rispondono che è ciò che si meritano quelli che non hanno a cuore la libertà e democrazia dei cittadini birmani.

La sommossa e la durezza della reazione con il conseguente stop all’attività economica sta colpendo il business, ma anche le tasche dei cittadini. Se continuerà, come è probabile, potrebbe mandare in tilt l’economia del paese fino al punto di una moratoria, nel qual caso sarebbe una sciagura per uno dei paesi più poveri del Sud Est Asiatico.

Per questo è auspicabile una protesta anche da parte nostra in Europa per por fine a questo scempio. Altrimenti, come al solito, saranno gli stracci a volar per aria.

Vittorio Volpi

Relatore

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