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Anche per i cinesi l’imperativo categorico è fare più figli

di Vittorio Volpi

C’è un’espressione in mandarino che suona così: “diventare vecchi prima di diventare ricchi”, condensa la paura della Cina in futuro, dei suoi cittadini e del Partito Comunista. Uno dei punti centrali è che le nascite sono ora insufficienti per poter garantire il mantenimento del livello della popolazione che sta iniziando a decrescere.

Lo dice chiaramente il tasso medio di natalità che è sceso a 1.3 figli per ogni donna. Questo livello è senza dubbio la conferma che il destino della popolazione è di contrarsi, di diminuire. Stima infatti l’OCSE che per poter mantenere il livello della popolazione l’indice deve essere superiore a 2,1.

In Svizzera nel 2018 era dell’ 1.52 e quello italiano 1.29. Cosa significa in termini pratici? Semplicemente che andando avanti di questo passo, nel 2100, fra 80 anni, la popolazione presente (1.4 miliardi) si ridurrebbe ad 1 miliardo. Ma non è tanto la decrescita della popolazione a preoccupare, bensì le conseguenze della sua dinamica. Per esempio, inter alia, la diminuzione della forza lavoro perché meno figli significa meno forza lavoro, ai quali si aggiungono i pensionati che crescono  con un forte peso sulla spesa della sanità pubblica. Alla fine ciò che conta è che da una situazione dove quattro lavorano ed uno in pensione, si finirà con un 2 a 1.  Comprensibile la spada di Damocle sulla testa di tutti noi.

A causa della one child policy, la decisione di consentire un solo figlio (1979/1980), si è venuta a creare in Cina una struttura famigliare detta del “4-2-1”. Non è uno schema calcistico, bensì il problema per il figlio unico, possibilmente maschio che dovrebbe mantenere quattro nonni, due genitori con un unico stipendio. Pochi figli vogliono dire una diminuzione di giovani che si avviano al lavoro e che formano la forza lavoro. La situazione cinese quindi si orienta a diventare simile a quella del Giappone e non dissimile da quella di molti di noi in Occidente.

Il recente censimento cinese ha confermato la proiezione futura che ha preoccupato il governo ed il  partito. Da qui la decisione di cambiare la pianificazione famigliare. Il primo intervento nel 2015, consentendo il secondo figlio ed archiviando la pratica de figlio unico. Evidentemente si trattava di una mezza misura, un primo passo. In questi giorni il Politburo del Partito Comunista Cinese ha deciso che ogni coppia potrà avere fino a tre figli per “migliorare la struttura della popolazione”. È un ulteriore tentativo per riportare il tasso di fertilità a quota 2.1 per mantenere appunto la stabilità della popolazione.

Soffermiamoci sulla storica decisione del figlio unico. Pechino l’aveva imposta nel 1979. Allora le famiglie cinesi avevano in media quattro figli. Un peso enorme per un paese in via di sviluppo per sfamare quelle bocche. Bisognava cambiare la pianificazione famigliare se la Cina voleva diventare la seconda economia del pianeta.

Pare che nei villaggi campeggiassero gli striscioni-slogan con scritto in rosso “Allevate più maiali, fate meno figli”. Secondo il CdS (Corriere della Sera) nel 2015 la Commissione Sanitaria Nazionale pubblicò questi dati: “in 36 anni i medici statali avevano praticato 336 milioni di aborti, sterilizzato 196 milioni di uomini e donne e messo spirali a 403 milioni di donne”.

Nonostante la decisione del 2015 per un secondo figlio, non c’è stato un baby boom. Situazione anzi in calo. Come in Occidente non basta consentire ed incoraggiare. Quando si arriva ad un reddito medio che comunque non ti consente di far crescere bene i figli, scuola ed educazione sono fuori portata, occorre che lo Stato adotti una politica sociale di sostegno e certamente a Pechino ci stanno pensando.

Sempre secondo il CdS, l’agenzia cinese Xinhua ha fatto un sondaggio online chiedendo un parere sulla nuova misura. Delle prime 31 mila risposte, ben 29 mila erano negative e poco dopo Xinhua ha deciso di eliminare il sondaggio.

Dare più figli alla patria quindi non è cosa facile ed intanto la popolazione invecchia. Un esempio? La popolazione in età lavorativa è calata dal 70% del 2010 al 63%.

V.Volpi

Relatore

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