Estero

Potrebbe davvero essere finito il tempo di Netanyahu?

Il trambusto in atto nella politica israeliana potrebbe far pensare ad un cambiamento della cultura politica come un punto di svolta nel suo declino democratico e la fine del dominio su milioni di palestinesi. Ma in realtà sembrerebbe che a nessuno dei leader della nuova coalizione interessa risolvere la questione palestinese. L’unica forza che accumuna e trascina la diversa natura politica di otto partiti, è il desiderio comune di rimuovere il leader più longevo di Israele.

Netanyahu, 71 anni, ha trascorso 12 anni come primo ministro. Negli ultimi due ha fatto precipitare Israele attraverso quattro votazioni elettorali per non essere riuscito a dare inizio ad un governo stabile con i suoi alleati. L’ostinazione di Netanyahu a mantenere l’incarico di primo ministro dopo quattro elezioni inconcludenti, ha generato la convinzione generale che stia danneggiando economicamente e strategicamente il Paese.

Mercoledì, una complessa coalizione di partiti ha dato la possibilità al leader centrista Yair Lapid di notificare al presidente israeliano Reuven Rivlin un patto che concorda i termini per la formazione di un nuovo governo di condivisione del potere, sostituendo per la prima volta Netanyahu e tenendo fuori il suo partito Likud. Nell’accordo di coalizione, il 49enne Naftali Bennett, ex ministro della Difesa entrato in politica come capo di gabinetto di Netanyahu e attuale ministro dell’Economia, sostituirà per i primi due anni Netanyahu per poi cedere il ruolo di primo ministro al 57enne Yair Lapid.

L’accordo, nato durante l’inizio delle ostilità tra Israele e Hamas, deve essere sottoposto nei prossimi giorni al voto della Knesset, il parlamento israeliano formato da 120 seggi, per ratificare il nuovo governo. La nuova coalizione però ha una sottilissima maggioranza composta da 61 seggi, e Netanyahu potrebbe condurre un’ultima campagna contro i suoi avversari per minare i voti necessari a consentire al nuovo governo di entrare in carica.   

Si vedrà quale tattica sarà funzionante, ma sembra siano tutti d’accordo che Netanyahu possa andarsene. Anche un piccolo partito arabo islamista conservatore, peraltro corteggiato precedentemente da Netanyahu, fa parte della nuova coalizione con i suoi quattro seggi per ottenere qualche piccolo vantaggio nel proprio collegio elettorale. E non solo la sinistra, ma perfino ex assistenti di Netanyahu, tra cui appunto il nazionalista religioso Bennett (più a destra di Netanyahu) e il laico di destra Avigdor Liberman, insieme ad altri centristi laici, ne fanno parte. Il fatto che partiti così diversi siano disposti a guardare oltre le loro ampie differenze politiche significa che esiste un’esasperazione nei confronti di Netanyahu.

L’occupazione decennale della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, ha svolto un ruolo centrale nella politica israeliana per il progetto sionista a causa dell’eterna intransigenza palestinese, tuttavia, nessuno sembra volersi immischiare nella questione palestinese. Secondo molti infatti, gli anni di governo di Netanyahu hanno dimostrato che l’obiettivo di uno stato di Israele ebraico e democratico è una mera  illusione. Anche gli attacchi continui di Netanyahu alla magistratura, alla società civile e ai media, hanno contribuito al declino democratico.

Bennett, ha fatto di più rispetto a Netanyahu come capo del partito filo-coloniale per ridefinire l’immagine dell’insediamento. È riuscito a trasformare il fedele partito del sionismo religioso da un gruppo di fanatici, che vivevano in cima alla collina, ad un partito che sosteneva di offrire una casa a tutti gli ebrei. L’impulso prevalente per il controllo sui territori palestinesi non era il fanatismo religioso ma la sicurezza per il popolo israeliano.

Per la nuova coalizione, che abbraccia esponenti da sinistra a destra, la questione deve essere gestita piuttosto che risolta. Lapid e Bennett hanno lo stesso punto di vista su questo, ma dovranno gestire il vasto collegio elettorale centrista e laico, che vuole il matrimonio civile, anche per le coppie dello stesso sesso, l’assistenza all’infanzia sovvenzionata e la circolazione degli autobus durante le festività ebraiche. Tutti temi ritenuti molto più interessanti di quanto lo sia un’occupazione con scarso impatto nella vita quotidiana degli israeliani.     

È possibile inoltre che la nuova coalizione possa inaugurare un’agenda di lavoro più liberale per i diritti civili. Gli ebrei ultra-ortodossi, gli Haredim, che costituiscono il 13% della popolazione, con l’approvazione della nuova coalizione dovranno affrontare la prospettiva di perdere il potere che hanno esercitato nel governo, e questo fa sì che si possano allentare alcuni delle restrizioni sulla vita israeliana. La loro influenza e i privilegi ottenuti, hanno creato risentimento tra gli israeliani tradizionali, allontanando molti ebrei all’estero dove possono praticare forme meno rigorose di ebraismo.

Gli osservatori politici non credono che il nuovo governo composto da membri così diversi sarà in grado di perseguire questioni a lungo controverse. Gli analisti ritengono, che mentre Netanyahu era riuscito a rimanere in carica cercando di cementare il dominio israeliano sulle terre palestinesi con un governo formato da esponenti di estrema destra, Bennett guiderà un governo che include il tema della pace e un partito islamista. Conservatori e liberali, potranno verosimilmente concentrarsi sul migliorare l’economia del Paese. “Non maltratteremo né danneggeremo nessuno”, ha dichiarato Bennett durante un’intervista, “Questo non è un governo di ‘anti’. Non siamo contro i coloni, contro il pubblico laico, contro gli arabi o contro gli Haredim”, ha aggiunto.

Gli sviluppi di questo nuovo scenario, rappresenteranno con tutta probabilità un’opportunità per rafforzare il sostegno bipartisan degli Stati Uniti a Israele.

MK

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