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La Svizzera e il declino nei rapporti con l’UE

di Tito Tettamanti

Vivacissimo ed intenso nelle settimane precedenti la decisione il dibattito sull’accettazione o meno dell’Accordo Istituzionale (AI) con l’UE. Massiccia l’attività dei favorevoli all’AI che si opponevano a quella che ormai era una delibera scontata. Una iperattiva presidentessa della Commissione degli affari esteri del Nazionale che chiedeva a getto continuo informazioni e quintali di carta da parte del Consiglio federale convocando nel contempo ben cinque dei sette membri del Governo in Commissione. Personaggi un tempo critici sull’intervento popolare che cambiando repentinamente orientamento reclamavano imperiosamente che la decisione doveva essere presa in una votazione nazionale con l’unico scopo di ottenere una dilazione.

immagine Pixabay

La Consigliera federale Amherd, in palese contrasto con il presidente del suo partito,presenta all’ultimo momento un’estemporanea soluzione per evitare una decisione negativa. Proposta abbastanza confusa e ci si interroga sulle ragioni della mossa.

La Televisione pubblica, dalla ben chiara tendenza eurofila, in associazione con alcuni media diffonde e commenta documenti che sarebbero stati segreti (da qui una denuncia penale per violazione di segreto d’ufficio da parte del Consiglio federale) che preannunciavano un pericoloso atteggiamento punitivo dell’UE che ci avrebbe dovuto spaventare e far riflettere sulle conseguenze di un rifiuto della firma. Un parlamentare europeo germanico con delicatezza teutonica ci rendeva attenti che la maggioranza degli svizzeri è favorevole all’AI. Se lo dice lui…

Potremmo continuare con altri esempi dei tentativi di impedire al Consiglio federale di prendere la decisione che i fatti imponevano. Tutto sommato, pure se con qualche eccesso, niente di male, sono i riti della democrazia. Purtroppo però lo scontro non si è fermato e gli interventi successivi alla decisione del Consiglio federale sono molto più pericolosi perché non fanno che creare confusione e distrarre dal vero tema.

Parlamentari che propongono l’adeguamento autonomo alle norme dell’UE, altri che sollecitano dei piani «B» dei quali però non si ha alcuna idea precisa, vi è infine l’Operazione Libero che propone un’iniziativa popolare per decidere sui rapporti con l’UE. Idea fumosa e piuttosto strampalata, dalla non facile formulazione, che ci farebbe perdere un paio d’anni.

Più coerenti i giovani socialisti che propongono un’iniziativa per aderire all’UE, proposta che non penso trovi l’adesione dei compagni sindacalisti che pragmaticamente hanno constatato che in Svizzera ci sono i salari, le condizioni di lavoro e la socialità migliori, invidiati dai lavoratori delle nazioni UE. Il Presidente del PS Wermuth propone una politica di avvicinamento all’Europa basata su un massiccio aumento dei miliardi per il contributo al fondo di coesione ed una serie di trattati preliminari ad una adesione all’UE. Vi sono poi gli allarmi interessati di singoli settori dell’economia preoccupati per i propri legittimi interessi di bottega, dimenticando però che gli interessi del Paese sono multipli, possono essere divergenti e non solo economici. Tutto questo purtroppo non fa che confondere le idee e indebolire la futura posizione negoziale della Svizzera.

Infine, vi è chi è preoccupato perché la decisione ha creato uno shock a Bruxelles che non si attendeva un atteggiamento tanto determinato da parte del Governo svizzero. La reazione stupisce ed è simile a quella nelle trattative Brexit, indizio dell’arroganza della burocrazia UE che non concepisce che si possa agire fuori dai suoi schemi, e nel contempo, come si chiede Markus Somm sul Nebelspalter, permette di interrogarsi su cosa ci sta a fare una costosa ambasciata UE a Berna se non si rende neppure vagamente conto di quanto succede da noi.

Dobbiamo prendere atto che la molto equivoca politica dei due forni, più che conciliante e quasi complice con i rappresentanti dell’UE, evanescente e confusamente rassicurante in Patria, che ha improntato l’azione del Consiglio federale negli ultimi decenni e che può aver portato qualche vantaggio e qualche comprensibile irritazione da Bruxelles, si è esaurita. Ai futuri passi con l’UE deve precedere la soluzione di un dilemma: la Svizzera vuole essere nei suoi rapporti europei una nazione terza del tutto indipendente, oppure – vista la sua collocazione e l’intensità dei rapporti – preferisce una situazione di semi-partecipazione? In altre parole: l’indipendenza, che ha il suo prezzo, o il vassallaggio, concetto medievale teso alla speranza di ottenere protezione e tranquillità.

Io sono per l’orgoglio ed i valori dell’indipendenza rendendomi conto che ciò comporterà qualche sacrificio e impegno, quello stesso impegno che ha aiutato il nostro Paese a uscire da momenti difficili anche se in realtà non uguali.

Il dibattito è inevitabile perché il Consiglio federale per poter fissare la strategia per i rapporti necessari ed importanti con l’UE deve sapere a quale futuro il Paese tende. Vediamo di non perdere tempo e di trovare le vie del confronto democratico che ci permettano di fissare una politica definitiva e vincolante superando la lacerazione attuale. Qualsiasi decisione avrà un costo ma sempre minore di quello di continuare a volare a vista, esercizio estremamente pericoloso in condizioni di turbolenza ed in zone montagnose.

Pubblicato sul CdT e riproposto con il consenso dell’Autore e della testata

Relatore

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