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Lo psicodramma del macello in versione Tito Tettamanti. Per una volta (e ben venga) abbiamo l’attualità luganese.
Ma attenzione: questa attualità è WORK IN PROGRESS che significa “lavori in corso”. La situazione è liquida.
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La nostra è una società complessa, rivendicativa e fragile al contempo, con i suoi linguaggi e di non facile lettura.
È caratterizzata dall’individualismo, premessa di autonomia e di indipendenza, difficile però da gestire e che si accompagna spesso a forme di solitudine. Fino a metà del secolo scorso vi erano ancora le famiglie plurigenerazionali con nonni, genitori, fratelli e sorelle sia pur con l’aspetto negativo della prepotenza patriarcale.
Era però una comunità che dava un senso di appartenenza e protezione.
Oggi siamo alla famiglia monoparentale con padri incoscienti che non versano gli alimenti e madri schiacciate dal peso della responsabilità. È comprensibile che in un simile quadro di possibile solitudine si cerchino agganci comunitari, la condivisione con altri anche del rifiuto di una società che si ha l’impressione non ci voglia. Non da ignorare coloro cheper sfuggire ai propri problemi esistenziali cercano rifugio nella droga, l’estasi di un momento pagata con l’infelicità di una vita. Purtroppo la cocaina si è diffusa anche ai piani alti dove la debolezza diventa vizio. Infine ci sono le ricorrenti ribellioni giovanili. Nulla di nuovo, lo storico Le Goff narra come nel Medioevo, giovani scacciati o fuggiti dal proprio villaggio, si riunissero in bande che vivevano nei boschi, tornando occasionalmente nei paesi che saccheggiavano con la ferocia e la violenza di quei tempi. Irrequietezza e insoddisfazione giovanile sono un passaggio obbligato e utile, preparano alla vita. Viviamo anche un’epoca di esasperata competitività che rende difficile a molti di partecipare tanto nello sport quanto nella vita.
Da ragazzo ho dato calci al pallone con i boys del Lugano, ho giocato a pallanuoto e partecipato a gare di nuoto pur non avendo particolare talento. Anche i migliori non avrebbero rinunciato alle ore di spensierata adolescenza per estenuanti allenamenti in discipline portate all’esasperazione competitiva. La democrazia è anche distribuzione (o protezione) di spazi per tutte le componenti della società, tenendo conto dei mutamenti nella realtà e non dimenticando di farsi carico anche delle minoranze più deboli.
Restando ai giovani: spazi per chi studia con le due università che offrono oltretutto vaste piazze per occasioni di scambi e aggregazione, spazi per chi si è già avviato verso un mestiere con occasioni per nuove conoscenze (annualmente in Ticino 2.500 apprendisti iniziano il percorso di un’attività lavorativa), spazi per l’educazione fisica e le attività sportive dei dilettanti, spazi certamente per quelle minoranze che si trovano a disagio nella società e preferiscono isolarsi in una loro comunità. Ma spazi anche per il resto della società, strade per automobilisti che circolano non per diletto ma per necessità di lavoro, spazi per l’accesso facilitato a negozi, commerci e ristoranti che vivacizzano il tessuto urbano, con attività che non navigano nell’oro. La recente pandemia ci ha fatto poi capire quanto siano importanti per le realtà urbane gli spazi verdi comuni. Perché no, potremmo leggere la politica odierna sotto l’aspetto dell’impegno per la gestione, utilizzazione, distribuzione di spazi. Non possiamo però dimenticare che viviamo in un regime democratico, condiviso dalla quasi totalità di cittadine e cittadini, e che ha platealmente vinto il confronto con le ideologie totalitarie e dittatoriali di qualsiasi colore dello scorso secolo.
La democrazia per funzionare necessita di regole (a proposito delle quali possiamo contendere per le vie istituzionali) indispensabili per il suo funzionamento. In relazione ai recenti fatti di Lugano ma non solo, mi limito a ricordare che nel nostro sistema la violenza privata non è tollerata né tollerabile.
Anche a livello del puerile imbrattamento di muri di case e a maggior ragione di rottura di vetrine o intimidazioni a giornalisti che fanno il loro lavoro. Al proposito spendiamo una parola a favore dei poliziotti, che faranno come tutti errori, ma che ci garantiscono da ben peggiori fatti di delinquenza e criminalità. Se non ci fossero la violenza sarebbe privata e noi saremmo in balia dei più forti fisicamente o per ragioni di potere (le mafie).
Altra condizione per la convivenza democratica è il dialogo, premessa dello sviluppo armonioso del sistema svizzero: la concordanza. Non credo che i giovani che hanno difficoltà ad accettare tali regole siano tutti lettori e discepoli di Ernesto Laclau e Chantal Mouffe, teorici del post-marxismo e neppure aspiranti alla vita tormentata di Che Guevara. Hanno il diritto di fare critiche e sostenere tesi anche in frontale opposizione con il nostro sistema e noi l’obbligo di permettere che ciò avvenga, ma non possono pretendere che noi si rinunci ai paletti della democrazia per compiacerli.
Superata la fase di reazioni emotive delle rispettive tifoserie e cercando di evitare le lusinghe dello snobismo intellettuale, come pure le debolezze del clientelismo politico, lucidamente bisogna convenire che soluzioni e futuro stanno nella negoziazione. Un avvertimento: l’uso del proprio spazio impone il rispetto per gli spazi altrui.
Pubblicato nel CdT e riproposto con il consenso dell’Autore e della testata
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Anche l’Articolo in Questione sembrerebbe (e sottolineo sembrerebbe) accettare il consueto discorso del … in fondo siamo sulla stessa barca, troviamo tutti insieme una soluzione e via di questo dire: “La democrazia è anche distribuzione (o protezione) di componenti della società, tenendo conto dei mutamenti nella realtà e non dimenticando di farsi carico anche delle minoranze più deboli.”
Così come il concetto che »sudellealpi« citava (in chiave critica) relativamente all’articolo “il Municipio i molinari e i poeti” e che si riferiva (la citazione trascritta) a un ospite di una trasmissione radiofonica: “La città dev’essere di tutti: giovani/vecchi, uomini/donne/bambini, benestanti e precari, ognuno deve trovare un suo spazio d'identità urbana, come pure un necessario sostegno alla propria dignità specifica, ciò che gli anglosassoni, con un termine puntuale, chiamano “inclusion”. (cit sudellealpi). Aggiungerei inoltre: non credo esista concetto “sociologico” più paternalistico. Si dimentica che quarant’anni di globalizzazione anomica ha portato a gradi di diseguaglianze di ricchezza, come pure di reddito, così marcati da condurci a vite irrimediabilmente separate.
In realtà le facoltà di scienze umane (che nei contesti anglosassoni sono perfino descritte come l’essere ormai scivolate nella pura ideologia (cfr Walter B.Michaels) sono un settore di ricerca (megafono) che concorre, con una sistematica e spesso unilaterale analisi delle discriminazioni, a instaurare un infinito discorso di frammentazione delle differenze (“sviluppare il senso della differenza e la conservazione delle diversità”) cosi da paradossalmente permettere alle postdemocrazie (neomercantili) di non doversi più occupare di una vera politica di attenuazione delle pesanti e determinanti differenze economiche: “benestanti e precari, ognuno deve trovare un suo spazio d'identità urbana”. Dalle gated community …agli slums, tutti sotto il proprio “meritato” tetto. Chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato e scurdiammoce ‘o passato.
I grandi decisori preferiscono evitare di considerare le ragioni economiche e sociali che determinano l’emarginazione ma spingono affinché l’indigenza economica assuma uno statuto ben omologato (vedi sentenza europea sull’accattonaggio) all’interno della logica mercantile: assegnare alla povertà uno statuto di rispettabilità così come dovuto a tutte le altre rivendicazioni delle minoranze. Quale ambito mercantile concorrenziale non troverebbe più facile rispettare la cultura dei suoi impiegati piuttosto che agire sui differenziali salariali?
All’interno di questa logica, l’emarginazione non viene più considerata come tale, ma la si frantuma in molteplici identità distinte (culturale, geografica, generazionale) la si trascina dentro l’infinito mondo del “distintivo” così da poter evitare di affrontare un insidioso discorso sulle grandi ineguaglianze di reddito così come delle sempre più impermeabili stratificazioni sociali. Che possono perfino sfociare nel desiderio di
…autogestirsi.