La ministra della giustizia Karin Keller-Sutter si è espressa a proposito di alcune critiche che sono state mosse al Consiglio federale dopo che lo scorso mercoledì ha deciso di non facilitare la concessione dei visti umanitari ai cittadini afghani in fuga dal proprio paese. Inoltre, è stato deciso anche di non accettare i contingenti.
In un momento di grande crisi in cui molti media parlano della situazione drammatica che si sta vivendo in Afghanistan dopo che i talebani si sono ripresi il paese, la decisione del Consiglio federale ha fatto alzare più di qualche sopracciglio. Le critiche provengono soprattutto dagli ambienti di sinistra e quelli umanitari.
Nella conferenza stampa, la Keller-Sutter ha difeso la decisione dicendo che la Svizzera comunque non ha alcuna possibilità concreta di far uscire dal paese quelle persone. Inoltre ha aggiunto: “Non possiamo selezionare arbitrariamente 10.000 persone ed evacuarle dall’area di crisi”. Il tutto inoltre sarebbe reso difficile dal fatto che la Svizzera, che non fa parte della NATO, non ha proprie forze armate sul terreno e deve fare affidamento sull’aiuto degli altri stati.
Le priorità comunque rimangono portare in salvo gli svizzeri ancora presenti sul territorio e i dipendenti dei progetti svizzeri di aiuto allo sviluppo con le relative famiglie. In tutto si tratta di circa 230 persone. Finora tuttavia anche mettere in pratica questo piano non è stato possibile.
La ministra ha anche aggiunto che l’impegno della Svizzera è attualmente mirato a fornire tutto il possibile aiuto umanitario in Afghanistan e negli stati vicini. La stessa strategia è adottata anche da molti paesi dell’Unione Europea.
È stato inoltre precisato durante la conferenza che la popolazione afghana conta 39 milioni di persone e che molti rifugiati ad ora si trovano in Iran (3 milioni), in Pakistan (2.5 milioni) e diverse centinaia di migliaia in Turchia.
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Quella del Consiglio federale mi sembra una strategia, tutto sommato, condivisibile. Tuttavia andrebbero pure definite, chiarite e rivelate (ciò che risulta assai più difficile) le “vere” cause delle crisi internazionali distribuite sui vari scenari geopolitici e scatenate da quella che viene definita troppo generosamente come “esportazione della democrazia”. Gli intoppi poco democratici delle diverse “primavere” già dicono molto.
Basterebbe inoltre confrontare due articoli di quotidiani a tiratura nazionale, perfino ideologicamente affini, per scorgere l'evidente confusione dentro cui l’informazione naviga. Da una parte un documentato articolo che ben descrive la superficialità, l’approssimazione, le colpevoli omissioni, il cinismo con i quali si è gestita, agli alti livelli internazionali, tutta la faccenda . E dall’altra la richiesta morale di un’accoglienza indiscriminata delle vittime di tutto ciò. In altre parole: ciò che è certo è il semplice fatto che le nefaste ricadute create (dalle discutibili mosse delle élite supreme) vanno a danno esclusivo delle fasce popolari perfino tenute sotto il bavaglio del ricatto etico.
Destabilizzare, quindi ridistribuire le popolazioni in fuga dai vari inferni prodotti, sembrerebbe, in quest’ultimo trentennio, il cinico percorso intrapreso dai “decisori egemoni” (l’élite suprema) per accelerare . sembrerebbe - una sorta di multiculturalità …neomercantile. Ritenuto troppo scomodo aspettare un’emancipazione endogena si preme (sembrerebbe) per quella esogena: rapida e sbrigativa. Mischiare tutto in nome di supposti Diritti Umani può essere bellissimo. Perfino …tragico.
Cosicché ecco assegnato l’incarico ai media che dev’essere inteso come la quotidiana narrazione di un’irenica immagine di un pianeta “formato-città-per-tutti-quanti” sul prototipo elargito dalle nostre parti valido per i seducenti, seppur sconvolti, agglomerati metropolitani. Le “inquiete”periferie (anche planetarie) seguiranno e dovranno muoversi sul modello di un rigido separatismo economico, sociale e …culturale. Gli esempi si sprecano.
Anche malgrado, oppure in ragione di codesti pesanti limiti, il ruolo dei media appare sempre più ostinatamente orientato all’inscindibile diffusione di una ideologia fondata su astratti seppur dottrinali concetti di una “felice globalizzazione …inclusiva”. Ipotesi che hanno a che fare con la futurologia consumistica d’azzardo. Il resto è comunicazione.