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Recensione di “The Last Duel” di Ridley Scott

Sono lontani i fasti de Il Gladiatore col quale nel 2000 Ridley Scott raggiunse i cuori degli spettatori, con una trama ucronica, aspramente criticata dagli storici, ma dalla sceneggiatura e dalla fotografia indimenticabile.

Ci riprovò nel 2010, con Robin Hood, ma sceneggiare il Medioevo non gli riuscì all’altezza dell’Antica Roma, anche se Russel Crowe tornò sugli schermi con furore, in una pellicola che lanciava anche l’astro nascente di Lea Sedoux nei panni dell’amante di Re Giovanni.

A distanza di undici anni da Robin Hood e ventuno da Il Gladiatore, Ridley Scott cade rovinosamente nel dirigere con suprema pesantezza un altro Medioevo. In The Last Duel, infatti, Scott narra le vicende dell’ultimo “duello di Dio”, avvenuto nella Francia del 1386, per difendere l’onore di una nobildonna violentata.

Il film ruota attorno alle vicende di Jean de Carrouges (Matt Damon) e Jacques Le Gris (Adam Driver), un tempo amici, sino a quando l’ultimo non stupra la moglie del primo, MArguerite (Jodie Comer).

Il film è l’apoteosi dell’opulenza scenica: la ricostruzione delle armi e dei costumi è ottimale e precisa, l’ambientazione perfettamente riuscita. La trama, però, tarda a delinearsi: ll film richiede un’attenzione spropositata da parte dello spettatore, e ne causa la stanchezza. Il doppiaggio italiano si rende complice di scelte lessicali volgari e anacronistiche, Scott si rende colpevole di demistificare ad oltranza la figura del cavaliere medioevale, facendo declamare a Dirver Le Roman de la Rose in un latino pronunziato come se fosse rap, e facendo seguire alla declamazione dei precetti d’amore, nientemeno che un’orgia a corte. L’ostentata volgarità e l’imposta demistificazione irritano lo spettatore che richiedeva solo un po’ di storia ben rappresentata.

La costruzione è basata su capitoli, allo stesso modo de La Favorita di Lanthimos,  ma tale struttura rende il film ancora più pesante: mentre il primo capitolo è narrato dalla parte dello spettatore che ignora la realtà dei fatti, il secondo riprendendo esattamente la prima scena, la narra dal punto di vista interno dei personaggi, accentuando, dunque, la pesantezza della narrazione.

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