Non ho simpatia per le mode spesso fatue e transitorie. Dei nostri giorni è continuo il riferimento alle «fake news», per le quali si usa un anglicismo al fine di dimostrare oltretutto che siamo persone di mondo. Se ne parla quasi le notizie false fossero un’invenzione di questi anni e con ciò cadiamo in un primo errore. Altrimenti non si capirebbe perché Metternich avesse al suo soldo alcuni giornalisti a Londra. O, per venire da noi, perché l’OVRA, la polizia politica del regime fascista, avesse sul libro paga il giornalista bellinzonese Colombi. O ancora l’utilizzazione della Pravda moscovita.
La deprecazione continua delle «fake news» presenta due pericoli. Il primo il troppo facile ricorso a definire falsa la notizia dell’altro per svalutarla. Il secondo l’invito alla censura, sostenendo che simili notizie non andrebbero pubblicate, non dovrebbero veni risapute. Si apre la porta alla censura, come già successo, cioè alla peggior nemica della libertà e della democrazia. Ma vi è un altro aspetto pericoloso quello di distrarre l’attenzione dalla cattiva informazione, meno greve della falsità per buone bocche o ingenui lettori, ma non per questo meno pericolosa. Informazioni parziali, poco corrette, tendenziose, le varianti sono numerose ma l’effetto è uguale e di esso si avvalgono i poteri politici, burocratici, economici, sociali per «vendere la propria merce» e ottenere l’adesione ai propri progetti.
In pochi anni sono scomparsi settanta giornali, afferma la consigliera federale Sommaruga, facendo propaganda ad una legge in prossima votazione da lei voluta e che renderebbe la stampa ancor più tributaria degli aiuti di Stato e conseguentemente ancor più ossequente di quanto non lo sia già verso potere e burocrazia federale. Ora in effetti, come commenta l’esperto di media Kurt W. Zimmermann, negli ultimi dodici anni hanno cessato la pubblicazione tre quotidiani più qualche domenicale oltre ad un paio di fusioni di testate. La cifra espressa autorevolmente da un membro del Governo di settanta giornali però anche se pesantemente inesatta rimane, impressiona, colpisce. Se si rileggono gli argomenti del Governo per farci accettare a suo tempo la legge sull’energia (Strategia energetica 2050) non possiamo che concludere di avere a che fare con informazioni (volutamente?) parziali delle quali oggi paghiamo lo scotto.
Recente lo «scoop» del «Nebelspalter» che ha reso pubblica la connivenza tra l’editore Ringier e il Dipartimento diretto dal consigliere federale Berset aproposito della COVID. In sintesi primizia di informazioni per il «Blick» contro sostegno della politica governativa. Giudizio della NZZ: fallimento del giornalismo.
L’informazione viene filtrata e commentata dai giornalisti, che, come tutti gli esseri umani, hanno le loro convinzioni ed orientamenti. Diverse inchieste giungono alla conclusione che circa il 70% di loro si posiziona in varie gradazioni a sinistra. Pareto ci ha insegnato che l’oggettività non esiste e quindi chiunque di noi quando valuta, giudica, analizza dei fatti è condizionato dalla propria formazione, dai propri valori ed ideali, anche da pregiudizi. Si potrà essere equilibrati, cauti, riconoscere l’esistenza di altre opinioni, ma per finire il nostro giudizio su problemi di fondo non potrà far astrazione dai sentimenti personali. Le «falcenews» sono per persone di bocca buona, che spesso vogliono crederci, masono facilmente identificabili. Più pericolosa l’abile propaganda di specialisti, assistita spesso da giudizi non esenti da errori o unilateralità, o la tendenziosità della valutazione disseminata tra le righe.
Come difendersi? La prima difesa è la cultura personale, con una formazione scolastica che enfatizzi la pluralità delle idee (contro il «politically correct»), non si incapricci con pregiudizi ideologici ed eviti tutti gli errori che Paola Mastrocola e Luca Ricolfi (dl danno scolastico», 2021) in virtù della loro esperienza hanno individuato per l’Italia.
Altra difesa è disporre di una pluralità di veicoli dell’informazione, ad esempio dare alle maggiori opinioni rappresentate nella società finestre autonome nella televisione pubblica (come richiesto e non ottenuto). Nessun media è infallibile. Il «New York Times», oggi bibbia intollerante del «politically correct», negli anni ’30 pubblicava articoli filonazisti e nel settembre de1 939 affermava che la Polonia aveva aggredito la Germania, e ha sempre trattato il tema dell’Olocausto con sospetta prudenza.
Non possiamo vivere senza l’informazione, e utili per la formazione del nostro giudizio sono i commenti relativi, meglio se espressione di visioni diverse, che ci fanno ragionare. Ma l’informazione può anche essere tendenziosa, voler imporci una visione unilaterale (in taluni casi ufficiale e conformista) di fatti e situazioni, condizionarci, allinearci con il pensiero dei poteri qualunque essi siano, approfittando della nostra mancanza di conoscenza, imporci una censura, vedi «politically correct» e diventare «disinformazione».
Al proposito utile che chi informa dichiari apertamente il colore delle proprie carte, il suo orientamento, evitando di farsi passare per il rappresentante super partes della verità. Non lasciamoci distrarre, le «fake news» non sono l’unico pericolo e forse per la grossolanità neppure il peggiore.
Pubblicato nel CdT e riproposto con il consenso dell’Autore e della testata
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Mi inchino al “dovere di essere realisti” nell’apprezzare buona parte dello scritto dell’Avvocato.
Pur ammettendo quanto rimanga assai complesso definire un discorso sulla “costruzione” della democrazia cognitiva. Tuttavia (anche) nel nostro “piccolo” lembo territoriale parrebbe crescere “l’impressione” di essere quotidianamente confrontati con una sorta di “sottomissione mediatica”, spesso mirata (anche) alla “(de)costruzione” di ogni critica …divergente. Soprattutto nel solco dell’attuale pervasività del “grande” sistema dottrinale informativo planetario.
Delle drastiche polarizzazioni sui temi divisivi del nostro presente (il politicamente corretto/ i comunitarismi cetuali-abitativi-culturali/ il fenomeno migratorio/ la cancel culture/ l’oltranzismo minoritario/ il "privilegio bianco"/ la questione demografica/ l’eco-femminismo radicale/ il wokismo {elenco non esaustivo} permettetemi di “chinarmi” sul fenomeno migratorio, proprio perché leggevo (proprio questa settimana) su un quotidiano “insospettabile” che le popolazioni europee ritengono - con una media di poco inferiore all’ottanta per cento (80%) - che il processo vada perlomeno controllato. Democraticamente ragionando non ci sarebbe che una “realistica” strada da percorrere.
Il soft power mediatico globale ha scelto invece un’alternativa tremenda. Per prima cosa condanna il lettore/spettatore alla quotidiana dose di narrazione moralistica del fenomeno, scegliendo i risvolti emotivamente più crudeli. Quindi diffonde laceranti sensi di colpa: camminare sulle corde dell’emozionale permette (anche) di nascondere il registro ideologico. Lo si fa con le voci di esperti, inviati, ricercatori, osservatori, scrittori e giornalisti militanti, che ci incalzano con quella dialettica che sta tra l'angelico e l'assertivo così da far sembrare ogni nostro minimo dubbio - su un’unanime accoglienza cosmopolita - un’insostenibile eresia. (Ci si chiede quale fu il loro pensiero allorquando gli operai continentali diventarono vittime predestinate delle fabbriche ...“chiuse per delocalizzazione”.) Tanto per dire quanto sia difficile, se non impossibile stabilire una graduatoria geopolitica dell’emarginazione. Forse perché, gli attivisti, li si scopre raramente nella loro vera e autentica collocazione sociale assai contraddittoria: spesso lontani dai disagi della gente comune per ovvia condizione economica, “murati” nei loro limbi residenziali protetti dai flussi di povertà planetaria. Ciò che potrebbe richiamarci al famoso …”not in my backyard”.
E così il “fantasma della dissidenza" viene lasciato, con destrezza tattica, a figure caricaturali interpellate al solo scopo di evidenziarne l’inadeguatezza. Per giunta si è perfino costretti a dover pure assistere a giornalistiche requisitorie da ...inquisizione, mosse con “mediatica acredine” nei confronti di ospiti ritenuti, a priori, “volgari sovranisti ”(sic), anche solo perché deboli titolari di posizioni “minimamente critiche” rispetto dottrina informativa dilagante. Ciò rimanda ai grandi inquisitori che somministravano agli eretici, feroci anatemi. Quasi che l’intervistante di turno voglia mostrare ai colleghi d’arte… l’arte di mettere in difficoltà i …beceri dissidenti. Insomma: il delirio di quell’informazione intimidatoria che vorrebbe imporsi (anche) quale unico argine alle - dialetticamente detestate - fake-news-da-social. Contraria – in astratto – al “populismo emotivo”, nei fatti, tuttavia, subdolamente artefice.