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Lezioni dalla storia – Tito Tettamanti

La storia dell’Europa moderna, dal 1500 ad oggi, è una storia di rapporti di forza espressi con la violenza e la conquista di territori, stemperatasi nel tempo con la caduta degli assolutismi e l’affermazione dei valori del diritto e della democrazia.
A turno una delle grandi nazioni ha tentato di egemonizzare il Continente.
Leggiamo dapprima di una Spagna che con Carlo V aveva un impero dove non tramontava mai il sole, gli succede la Francia ed il pensiero corre a Luigi XIV, alla Rivoluzione francese, a Napoleone. Con la sconfitta in Russia e quella definitiva a Waterloo anche la Francia viene ridimensionata, l’aspirazione al ruolo egemone passa agli imperi Germanico (Prussia) e Austroungarico. La Gran Bretagna, pur attenta alle evoluzioni sul Continente, va per mari e conquista uno dei più grandi imperi che la storia abbia conosciuto. Fiaccata dai costi delle due grandi guerre e indebolita economicamente deve rinunciare alle superbie imperiali. Con la prima guerra mondiale l’Austria viene ridotta ad una nazione media. La Germania, alla fame e carica di crisi e di debiti – anche per l’intento vendicativo del francese Poincaré espresso nel trattato di Versailles – cerca un folle riscatto seguendo uno psicopatico, Hitler, che gode dell’appoggio della grande industria e la porta in guerra e alle indelebili macchie degli orrendi campi di sterminio. Nel 1945 finisce prostrata e divisa. L’Unione Sovietica, infatti ne prende una parte (la DDR) quale Paese satellite dell’impero comunista e a questo punto diventa lei la nazione con intenti egemoni. Con una serie di Stati europei vassalli e basandosi sull’ideologia marxista vuol dominare l’Europa (e non solo). La guerra fredda e la cortina di ferro ne limitano l’aggressività espansionistica.
Poi cade il muro (1989) e nel 1991 l’Unione Sovietica implode, convalidando il fallimento storico dei regimi comunisti incapaci di nutrire i propri popoli.
Le tentazioni e volontà di egemonia espresse nelle lotte che hanno accompagnato il decorrere dei secoli europei dovrebbero essere arrivate al capolinea, decantatesi in una cultura di democrazia e rispetto del diritto.
La Russia rappresenta quella parte dell’Europa con influenze e sensibilità asiatiche, con le differenze di tonalità che caratterizzano gli Stati europei in competizione tra loro, con quella concorrenza che pur con tributi di sangue e sofferenze, tra i quali 30 anni di fanatiche guerre di religione, ha modellato il successo del mondo occidentale e della sua cultura nei secoli.
Però alla fine della guerra fredda nell’entusiasmo per il crollo di chi ancora avversava nel Continente il modello di civiltà democratica, tutti condividendo le speranze di Fukuyama, non si è pensato a dare forma all’Europa, non si è capito che, pur grati agli USA che per due volte nelle due grandi guerre ci hanno salvato, la difesa dei valori culturali, sociali, economici del Continente non poteva venir demandata agli americani, che prima o dopo, anche per loro legittimi interessi, (e limiti alla possibilità di sforzi finanziari) si sarebbero stancati di assumere l’onere delle spese per la nostra difesa.
Si è pensato di poter risolvere il problema dei rapporti con il mondo russofilo riducendo la Russia ad una nazione con il PIL del Belgio. Non basta vincere le guerre, bisogna saper vincere la pace. Non so come i discorsi tra Bush, Clinton e Putin per modellare il futuro, le possibilità di accesso o accordi con la Nato si siano svolti, ma sappiamo che euforici e distratti la ristrutturazione politica del Continente europeo con la presenza delle nazioni russofile non è stata seriamente concepita, approfondita e quindi realizzata. Queste nostre possibili mancanze, questi pesanti errori politici, per quanto gravi possano essere, non giustificano la mossa del tardo comunista Putin, erede delle politiche di Lenin e Stalin e prodotto del KGB, portato a commettere lo stesso errore concettuale di Hitler, credere con la follia della guerra di ricostruire l’impero sovietico. Il suo inaccettabile comportamento ha fatto sì che oggi siamo, con il mondo democratico europeo, in lotta con un dittatore che rappresenta una concezione superata e inammissibile nel nostro Continente e nella nostra cultura, che pensa di imporsi con l’uso della violenza.
Non siamo tornati alla guerra fredda. Siamo alla guerra economica, che tenta di evitare l’uso di mezzi militari, che comportano distruzione, uccisioni e carneficine per i civili, ma siamo pur sempre coinvolti in una guerra che va combattuta con determinazione per sconfiggere l’avversario, consci dei sacrifici relativi. Il duro scontro in atto oggi è un passaggio obbligato se si vuol portare a termine una fase di cinque secoli di evoluzione dell’Europa per arrivare alla composizione finale del mosaico europeo democratico sia pure con tessere variegate e policrome. L’Ucraina, con tutte le fragilità iniziali, ha scelto da che parte stare, vuol essere una democrazia coerente con la civiltà europea.
Chi sta con l’Ucraina, sta con la Storia.

MK

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