Ticino

Un Consiglio Federale Criticato – di Tito Tettamanti

Tempi grami per il nostro Governo. La stampa della Confederazione pubblica continue severe critiche sulla sua efficienza. Più cauta la televisione, comprensibilmente per grazia ricevuta. Infatti da noi non esiste il diritto di abbonarsi o meno ai programmi della SSR dato che siamo tutti obbligati a pagare una tassa (!) che colpisce anche coloro che non hanno un televisore. Quali sono queste critiche? La più pesante è quella di mancanza di coesione, frutto anche dell’assenza di collegialità, che origina pure l’inefficienza. Si critica la comunicazione, spesso contraddittoria e che trova vie ufficiose nelle indiscrezioni e anticipazioni che fanno dei domenicali della Svizzera tedesca i bollettini d’informazione della politica federale. A queste indiscrezioni non è aliena la concorrenza fra i sette Consiglieri federali, aggravata dallo zelo irresponsabile dei rispettivi uffici stampa. 

Qualche membro del Governo lamenta che i dossier per le discussioni collettive sono presentati con ritardo, ciò che limita il tempo per un approfondito esame indispensabile per una seria discussione. Si dice che il ritardo sarebbe frutto dell’esigenza di riservatezza al fine di evitare fughe di notizie. Divertente giustificazione se si considera che la stampa, talvolta, commenta in anticipo quanto si dovrebbe riservatamente discutere nelle riunioni di Governo. Ora ci chiediamo: tutto vero? Non è che il nervosismo per le prossime elezioni, i cui risultati potrebbero riflettersi in una diversa composizione del Consiglio federale, giochi un ruolo nelle numerose critiche? Sicuramente. Uno dei più severi critici è il presidente dell’Alleanza del Centro che giudica la politica relativa all’Ucraina un fallimento, chiede un ripensamento della politica economica e afferma categoricamente che «il Consiglio federale non funziona» ipotizzando la possibile non rielezione di qualche attuale membro del Governo. Non va dimenticato che le critiche tendono anche a difendere la presenza del suo Partito in Consiglio federale, che potrebbe venir messa in discussione. Uguale nervosismo in altri partiti e ormai notissimi la severità e l’atteggiamento super critico della signora Keller-Sutter nei confronti del collega di partito Cassis all’origine dei quali si può supporre vi sia l’ipotesi che uno dei loro seggi sia traballante. Ora, fuori da tutti questi giochi, ci dobbiamo porre la domanda se le lamentele sono giustificate e quale sia l’origine vera del mancato funzionamento. Sicuramente l’attuale Governo non passerà alla Storia come il più brillante ed efficiente di tutti i tempi, però, senza voler prendere parte pro o contro singole critiche, è giusto porci la domanda se le insufficienze siano solo attribuibili ai comportamenti attuali. In Svizzera abbiamo sempre diffidato di tenori e prime donne in politica e fatto il possibile per non delegare loro il governo del Paese. Sana diffidenza contadina. 

I tempi sono però cambiati, il mondo si è esasperatamente internazionalizzato mettendo in evidenza il limite di un Esecutivo scelto solo tra i 246 parlamentari più un qualche consigliere di Stato. L’interesse corporativo dei politici e loro partiti esclude l’accesso al Consiglio federale a forze del Paese che porterebbero al Governo una conoscenza internazionale, una rete di contatti, oggi persino competenze tecnologiche pesantemente assenti. Il provincialismo ha i suoi meriti ma è anche un limite. Altro limite è l’obbligo ormai invalso di presentare due candidati dello stesso partito per l’elezione a consigliere federale. Di conseguenza spesso le formazioni politiche avversarie tenderanno ad eleggere il meno profilato o perlomeno il più malleabile, ostacolando le persone forti, spesso le più valide. Sicuramente l’atmosfera è resa più pesante dalla presenza nell’amministrazione dello Stato di funzionari in posizione dirigenziale che provengono direttamente dalla segreteria di un partito, portatori di un DNA che non può che fare a pugni con il doveroso distacco che dovrebbe caratterizzare la burocrazia. Pure nociva, per finire, è l’inflazione di persone addette alla comunicazione nei singoli dipartimenti.

Si dice che a Berna ve ne siano 800. A parte l’ipertrofia fanno il loro mestiere, quello di pubblicizzare, valorizzare il loro capo ed il rispettivo dipartimento, spesso esagerando, ma sappiamo cosa succede nel mondo della comunicazione, e ovviamente si dimentica la discrezione in favore del successo. Se si vuole ritrovare una utilissima collegialità tra i consiglieri questo settore andrebbe seriamente ripensato, riunificato per evitare il settorialismo, e dimensionato. Viviamo nel mondo della comunicazione, vero, ma gli eccessi in ogni campo sono controproducenti. Siamo confrontati con problemi gravi, tra i quali quello della neutralità, i temi politici sono complessi in una società in divenire e sempre più tecnologici, ma ritengo in coscienza che i nostri “Sette” si dovrebbero, moderando le umane ambizioni, porre in assoluta precedenza il problema di come salvaguardare e migliorare il funzionamento della democrazia semi-diretta.

Come svizzero sono orgoglioso del fatto che nel nostro Paese abbiamo al Governo persone perbene, qualità non da poco, specie guardando oltre i confini. La richiesta del Paese è che agiscano come tali.

Pubblicato nel CdT e riproposto con il consenso dell’Autore e della testata

MK

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  • Un Consiglio federale criticato? Da criticare? Forse semplicemente criticabile? Mah… Oppure sono gli stessi governi democratici attuali in un brutto... stato? Sommersi da una ormai riconosciuta crisi umana e culturale, politica e sociale, perfino climatica e ambientale nel senso amplissimo dei termini. Ciò che ci chiede/implora di trasformare le società dell’impossibile, in una dimensione del possibile.

    Già lo disse Crouch nel suo trattato sulla postdemocrazia. È rimasta la forma. Certo, ci sono (anche) i Parlamenti; tuttavia, si dice, svuotati di ogni ragionevole decisione che non corra sulle piste tracciate dal famoso “there is no alternative”. Un guscio vuoto, le democrazie contemporanee? Siamo oramai giunti alla tecnocratica spoliticizzazione? Oppure come direbbero in Romandia: logiciel bloqué.

    Tanto più quando poi «l’arsenale mediatico» insiste sul trito mito del dibattito parlamentare, citato spesso senza pudore, mentre sappiamo che il cambiamento di scala degli scambi economici estraniano i “territori circoscritti” della politica, dal gioco democratico per il semplice motivo che, la loro autonomia, si restringe sempre più in una vera e propria sottomissione alla sedicente “governance” planetaria. Come scrive Deneault nel suo “Governance”, …la governance assegna il nome di “consenso” alla risultante delle decisioni da essa approvate, tra partner …disuguali. Eh sì, tempi grami.

    E qui eccoci all’astensionismo, fenomeno in crescita nei vari territori democratici. Il compito quindi dei “ministri” pubblici si focalizza/riduce, semmai, a quello di “gestire” gli umori dei popoli con l’arte del …bricolage: perfettamente consapevoli che lo sfidare l'élite suprema porterà istantaneamente a scontrarsi con quelle istituzioni globali protettrici del famoso “Uno per cento”.

    Ciò verrà giustificato con il sigillo “dell’adeguamento” se non addirittura del “rinnovamento” delle democrazie. Per cui (anche) la mancanza di "nostrane coesioni federali” è probabilmente… l’indice. Insomma il «dito». Proprio perché la «luna», sappiamo, ha (anche) una sua parte nascosta… proprio come gli iceberg. Ovviamente al mondo niente è perfetto e men che meno le democrazie.

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