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Xi Jinping a Hong Kong | di Vittorio Volpi

Dopo 893 giorni il leader cinese è uscito dalla Cina continentale per celebrare ad Hong Kong il 25mo anniversario del ritorno britannico della ex colonia alla Cina. Era infatti il 1. Luglio del ‘97 quando avveniva l’alzabandiera cinese mentre scendeva il vessillo britannico di fronte all’ultimo governatore inglese Chris Patten ed il principe Carlo. L’accordo maturato tra il “piccolo timoniere” Deng Xiaoping e la leader britannica Tatcher si chiamò “un paese, due sistemi” ed era prevista una durata di cinquant’anni. Lo slogan significava lo spirito dell’accordo che Hong Kong non sarebbe stata né indipendente né sotto la bandiera inglese. Si chiamava Reversion, quindi ritorno alla Cina a tutti gli effetti, ma mantenendo molte delle prerogative che si era data durante il periodo coloniale britannico.

Xi Jinping

Un certo laissez-faire, un’indipendenza nel business, una sua moneta, la borsa, le regole commerciali. In altre parole il rispetto di quelle regole ed istituzioni che avevano fatto di Hong Kong un centro economico finanziario di levatura mondiale anche grazie al suo ruolo tradizionale di porta della Cina dovuta all’intraprendenza e cultura cinese dei suoi tycoon cinesi, di cultura cinese, ma educati in Occidente.

I miei ricordi risalgono al 1973, la mia prima visita d’affari ad Hong Kong. Mi affascinava non solo per la vista del peak, della storica baia delle perle, ma per il dinamismo, il multiculturalismo, la grande integrazione cinesi-stranieri. I negozi di ogni tipo, la modernità, il cibo di ogni provincia cinese, la coesistenza di mandarino-cantonese-cinese.
Conclusi che perlomeno fino alla Reversion  Hong Kong sarebbe stata una base ideale per il business. Oggi le cose sono cambiate drammaticamente. Dopo gli incidenti del 2019, le rivolte civili importanti e seguite da milioni di cittadini, a Pechino si sono spaventati perché era la seconda rivolta dopo Tienanmen e non si vedeva dove avrebbe portato. La rivolta era dovuta ad una legge che Pechino voleva imporre: estradare hongkonghesi passibili di reati di opposizione civile e politica per essere processati  in Cina. Sedata la rivolta con violenza ed arresti, fu seguita dall’imposizione illegale della “legge sulla sicurezza nazionale” (2020) in linea di diritto agli accordi di “un paese, due sistemi” . Da quel momento in poi, silenziata la stampa libera, le cose sono cambiate. Il rischio di essere incriminato, estradato a Pechino e condannato a finire in prigione ha agito da deterrente e riportato alla calma.

Molti stranieri se ne sono andati, più di 150mila e molte le imprese straniere. Il colpo finale lo ha dato la campagna zero-Covid con le sue conseguenze che ha secluso Hong Kong. Per chi arriva dall’estero, tuttora, sono 7 giorni di quarantena. Nessun Manager straniero vuole e può stare una settimana in isolamento prima di un incontro di lavoro.

Dicevamo della visita straordinaria di Xi per marcare l’anniversario. Persino il Financial Times di oggi dedica una pagina intera “Hong Kong, un mondo di opportunità”. Interessante la retorica dei discorsi del nuovo Mao “dopo il vento e la pioggia Hong Kong è rinata dalle sue ceneri, è di nuovo vibrante… ho pensato molto ad Hong Kong. Il mio cuore e quello del Comitato Centrale del Partito sono sempre stati con voi, compatrioti di Hong Kong”.

Tutto prova che “un paese, due sistemi” ha grande vitalità ed assicura prosperità e stabilità ed ha continuato “dopo molta instabilità i cittadini hanno capito una dolorosa lezione che Hong Kong non può essere disordinata, non se lo può permettere” ed ha incitato anche i residenti a contribuire al grande revival della razza cinese.

Un richiamo nazionalistico che certamente farà presa nel resto del paese, mentre l’esito della visita è scontato e positivo, i co-protagonisti  con Xi dello show politico sono stati,  dice il CdS, la polizia, la segretezza, la tolleranza zero del Covid e la censura preventiva della stampa.

V.Volpi

Relatore

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