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Occhio alla burocrazia – di Tito Tettamanti

Max Weber, uno dei padri della sociologia, tesseva le lodi della burocrazia già oltre un secolo fa. La funzione di amministrazione, coordinamento e talvolta gestione di strutture della società nelle diverse espressioni è incontestabile e l’importanza non è che aumentata dei nostri giorni in virtù della sempre maggior complessità. Vi è una burocrazia nel campo delle attività private, come una nel sempre più ampio settore pubblico. Data l’importanza assunta da queste funzioni si pone il problema della supervisione, anche perché tanto più ampio diventa il potere burocratico sempre maggiore la sua influenza e di conseguenza la necessità del controllo. Nel campo del privato questo controllo esiste e comunque è di competenza dei singoli operatori in consonanza con la loro struttura giuridica. Vi è comunque un indiretto ma efficace indice dato dalla redditività delle diverse attività economiche e di riflesso dell’incidenza del costo di singole funzioni aziendali. Per grosse società vi è pure la costante attenzione critica dei media finanziari. Non così nel settore statale per due ragioni. La redditività non è uno dei criteri di giudizio per attività che hanno il fine di produrre beni o servizi di utilità pubblica per le quali è impossibile o comunque difficile giudicare il risultato con il metro economico. Fondamentale per contro la valutazione dell’efficienza. All’oggettiva difficoltà del controllo – specie relativamente al giudizio sui costi – si aggiunge il fatto che nel settore pubblico spesso il controllore dipende dal controllato. Mi spiego meglio: qualunque membro di un esecutivo non può operare senza la continua collaborazione e talvolta persino la propositività della burocrazia con la conseguenza che il rapporto di dipendenza rischia di invertirsi. Anche i parlamentari debbono incessantemente ricorrere a componenti dell’amministrazione per informazioni, consigli, ricerche. Ciò crea uno stato più o meno importante di connivenza, a seconda anche delle personalità in causa, e non per nulla nei decenni passati sono stati pubblicati libri che illustravano come la Svizzera in sostanza sia retta dall’amministrazione federale. Data una simile situazione dobbiamo essere lieti se persone ed istituti di studi si sostituiscano quale controllore fornendoci dati ed elementi che permettano un giudizio inequivocabile e al quale in democrazia l’amministrazione statale non si deve poter sottrarre. Uno di questi studi effettuato recentemente dall’Istituto di economia svizzera dell’Università di Lucerna ci fornisce alcuni dati di indubbio interesse. Veniamo a sapere che lo Stato nelle sue diverse articolazioni è il più grande datore di lavoro svizzero. Preoccupante è il fatto che l’impiego pubblico tra il 2011 e il 2019 sia aumentato del 12% mentre quello nel settore privato del 9,7%. Preoccupante anche quale trend perché non andrebbe mai dimenticato che i mezzi per sopperire ai costi del pubblico sono originati dal privato. Anche il dato che il salario mediano lordo annuo (2019) per impiegato statale si attesta sui 117.176 franchi mentre nell’economia privata è di 88.596 franchi, stupisce. Ai tempi addirittura la differenza era nell’altro senso e la si riteneva giustificata dalla sicurezza data dal posto a vita, dall’assenza del rischio di licenziamento per chi lavora per lo
Stato. Il 7,3% del PIL nazionale è destinato alla burocrazia ai diversi livelli: Confederazione, Cantoni, Comuni, con un aumento di ben11,3 miliardi di franchi tra il 2008 ed il 2019. L’onere pro capite annuo per ogni residente si attesta sui diversi biglietti da mille ma varia a seconda dei Cantoni. I più spendaccioni sono Ginevra con 8.767 franchi e Basilea Città con 8.528 franchi per abitante, mentre in Argovia si scende a 3.419 franchi ed in Ticino con 5.710 franchi siamo nel mezzo della classifica. Importante premessa per il controllo è la trasparenza e anche questa non è sempre facile da ottenere, anzi preoccupante come all’occasione di campagne per votazioni federali, dati forniti dall’amministrazione si rivelino errati o comunque discutibili. La sensazione è che si tenti di forzare la realtà per sostenere le tesi governative, come nel caso del piano per l’energia 2050 con previsioni pesantemente errate. Viviamo anche nel tempo della «consulentite ». Si ricorre sempre più di frequente a consulenze ed esperti esterni. Per questi pareri la Confederazione spende 745 milioni di franchi all’anno. Somma enorme se si considera che i burocrati dovrebbero essere esperti nel campo proprio, circostanza determinante all’atto della loro nomina e promozione. Si ricorre troppo facilmente ai pareri esterni per far assumere la responsabilità ad altri, o si ricorre a chi già è dello stesso parere per dare un crisma di maggior autorevolezza alla proposta. Lo studio ci rivela anche che la Svizzera non è quell’allievo modello che tutti pensano, per le spese amministrative tra i Paesi europei pare ci troviamo a metà classifica. Una miniera di dati, specie per i nostri politici, augurandoci che la lettura sia loro di ispirazione.

Pubblicato nel CdT e riproposto con il consenso dell’Autore e della testata.

MK

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