Primo piano

La crisi dei partiti storici, quale rimedio? – di Franco Gianoni

In questo ponderoso e notevolissimo articolo, che abbiamo ricevuto oggi e che ci affrettiamo a pubblicare (lo lasceremo in Primo Piano per 24 ore), l’avvocato Franco Gianoni propone “una solida alleanza tra il PPD e il PLR”; e sembra “rispondere” in qualche misura alle avances del presidente Cattaneo.

L’articolo farà sobbalzare sulla sedia qualche colonnello di via Monte Boglia a causa della (ipotetica) evenienza: la Lega “scomparirà completando una parabola come quella percorsa dal PSA”. Io direi però che il PSA… non è affatto scomparso – con Bertoli, Carobbio Guscetti e compagnia bella sempre in pista -, anche se i giorni che vive non sono proprio i suoi giorni migliori.

La Redazione formula all’indirizzo dell’avvocato Franco Gianoni e del comune amico dottor Gianfranco Soldati il più cordiale augurio di un felice Anno Nuovo, pieno di soddisfazioni e di buona salute.

NOTA. Ci siamo permessi di utilizzare come foto di copertina una maliziosa immagine tratta dal foglio leghista. 

***

Personalmente ritengo che l’ideologia del mio partito, il PPD, sia la sintesi di quella degli altri due partiti storici, Liberale Radicale e Socialista.

Del partito Liberale Radicale, il quale da sempre ha messo l’accento sulla Libertà e sull’economia di mercato, il capitalismo. Giustamente, perché la Libertà è il bene supremo e il capitalismo per il semplice motivo che la torta prima di dividerla va fatta: è l’evidenza stessa.

Del partito socialista, il quale è nato dagli eccessi del capitalismo, stigmatizzandoli all’insegna della solidarietà, la quale è la figlia laica della carità cristiana, contribuendo così a creare un capitalismo democratico ed etico secondo la concezione di Max Weber.

Da questa sintesi deriva un programma politico cartesiano, costante nel tempo e nello spazio che, io penso, dovrebbe essere propugnato da tutti in Democrazia e mi spiego.

Il progresso economico, ossia la produzione di ricchezza, è la condizione del progresso sociale. E la ricchezza è il prodotto diretto di tre fattori: la terra, il lavoro e il capitale. Di conseguenza ognuno di questi tre elementi ha il diritto a una equa ripartizione della ricchezza  prodotta.

Un tempo si pensava che la terra fosse inesauribile, ossia che si potesse sfruttarla a piacimento e impunemente. Oggi tutti sanno che non è così, per cui una parte della ricchezza deve necessariamente essere destinata alla conservazione della sua integrità. Ne va della nostra esistenza. Basta pensare al surriscaldamento atmosferico e alle epidemie degli insetti, in particolare delle api, le catalizzatrici della vegetazione, messe in pericolo dai pesticidi.

La fonte della popolazione è la famiglia e la sua recessione comporta fatalmente un continuo aumento della media dell’invecchiamento delle persone, schiacciando sempre più le generazioni future e di minando la formazione del cittadino, ciò che pregiudica il buon funzionamento delle istituzioni. Quindi una giusta parte della ricchezza deve esserle attribuita, non mediante l’assistenza, ma attraverso la giusta retribuzione del lavoratore in senso lato, il quale se  viene sfruttato si ribella (rinuncia al rischio, quindi all’innovazione,  resistenza passiva e sciopero). Quale è infatti il lavoro meno redditizio? Quello dello schiavo, perché non ha nessun interesse nello sviluppo economico in quanto escluso da quello sociale.

Senza capitale non vi è investimento e senza investimento non vi è produzione di ricchezza, lo attestano le difficoltà delle economie dei paesi sottosviluppati, già sottolineate da John Stuart Mills (1806 1873). Quindi il capitale deve avere una giusta retribuzione, diversamente emigra verso lidi più redditizi o il risparmio, che ne è la fonte, ristagna.

Per natura, ognuno dei tre elementi cerca di tirare il più possibile il lenzuolo dalla sua parte. Ma è appunto compito dei Partiti  operare in modo che il riparto sia il più equo possibile,  anche perché ne deriveranno tre  vantaggi, oltretutto, evolutivi: l’aumento della redditività di ognuno di essi, quindi della torta da dividere, la promozione culturale (grazie alla fecondità del superfluo, per dirla con  Nuccio Ordine nel suo bel trattato “L’Utilità dell’Inutile”) e il consenso nelle Istituzioni.

Oggi, i valori permangono, per cui il ruolo dei partiti storici non è per nulla mutato, è la loro influenza sulla collettività che è notevolmente diminuita ovunque. Ciò è dovuto alla crisi generale dell’autorità e della responsabilità a tutti i livelli e a tutte le latitudini. Nessuna meraviglia quindi se, anche in Ticino, i partiti storici hanno perso parte della loro attrattività sull’elettorato.

Così è del PPD e tra le cause spicca la diminuzione della coesione della famiglia, sulla quale si basa essenzialmente la sua ideologia. Certo il conflitto generazionale è sempre esistito ed è bene che esista, perché contribuisce all’ emancipazione dell’individuo e a fare evolvere le mentalità in consonanza con l’evoluzione economica, sociale e culturale. A condizione però che non diventi ribellione, all’insegna della divisa del movimento giovanile del ‘68: “è proibito proibire”, divisa da estendere secondo “gli insorti” a tutti i campi e non solo a quello famigliare. Ciò che ha fatto dire al presidente François Mitterand, che sicuramente non poteva essere sospettato di tendenze di destra: quella è “la rivoluzione dei capelli lunghi e delle idee corte”. Quella ribellione, oggi ha sì perso molto della sua irruenza iniziale, ma ha sicuramente contribuito molto a minare l’autorità e con essa la responsabilità, in quanto i due termini formano un binomio indissolubile.

Ne segue che oggi e lo sarà sempre, la famiglia rimane un elemento primordiale per l’ordine e il progresso politico sociale e culturale, per cui la sua difesa è un dovere collettivo, in quanto non è possibile dimenticare che gli elementi costitutivi dello Stato sono il territorio, la popolazione appunto e le istituzioni. Un fatto storico merita di essere ricordato a comprova dell’importanza della famiglia: nel 1924 l’URSS, nell’ambito della “Nuova Politica Economica”, abolì puramente e semplicemente il divorzio, per ovviare alle gravi conseguenze sociali, economiche e politiche di quello agevolato introdotto nel 1917. Oggi questo sarebbe impossibile, tenuto conto dell’evoluzione economica, sociale e culturale, per cui se il solco tra i coniugi è definitivamente compromesso, la sola soluzione ragionevole è il divorzio; tuttavia la facilità con la quale si divorzia è irresponsabilità illimitata, tenuto conto delle conseguenze disastrose che ne derivano per il singolo cittadino e per la collettività.

Pure ha contribuito a diminuire l’efficacia ideologica l’indebolimento del il referente cristiano: oggi il dissidio tra clericalismo e laicità (da distinguere nettamente dal laicismo), ha perso l’asprezza di un tempo, ciò che evidentemente è un bene.

Così è del partito Liberale Radicale, in particolare perché, in Occidente, la libertà e la laicità sono diventati indiscussi beni comuni; però la libertà nominale della Rivoluzione francese (detta anche borghese) doveva essere estesa e, soprattutto, concretizzata e ciò era possibile solo grazie al progresso economico. Ma questo progresso ha fatto perdere al partito Liberale Radicale buona parte del potere derivante dal clientelismo; aggiungasi che gli eccessi del capitalismo hanno pure contribuito a far perdere a detto partito lo smalto di un tempo.

Va però detto che l’attuale grave crisi economica (suscitando una generale presa di coscienza, anche nella sinistra, dell’importanza dell’economia), ha ridato a questo partito un ossigeno insperato. Questo perché tradizionalmente é sempre stato il simbolo del capitalismo, quindi dello sviluppo economico e oggi il profitto è onorato da tutti.

 Non a caso Matteo Renzi in Italia e Manuel Valls in Francia, fanno una politica che richiama in buona parte quelle del presidente Ronald Reagan in USA e di Margaret Thatcher in Inghilterra, discepoli di Guisot, padre del “laissez faire, laissez aller”; prima di loro, a quest’ultimo, si era ispirato il cancelliere socialista, Gerhard Schröder.

Quindi, sotto questo profilo detto Partito ha riacquistato attrattività nell’elettorato, il quale vede soprattutto in esso la strada per uscire dalla crisi.

Così è del partito Socialista, il quale ha esaurito buona parte della sua attrattività sui lavoratori, pure a seguito dello sviluppo economico. Infatti, dove è finito il famoso motto marxista “la proprietà è un furto”? Già in occasione del congresso di Bad-Godesberg del 1959 i socialisti tedeschi hanno abbandonato il marxismo per adottare l’economia di mercato. Più recentemente Lionel Jospin, segretario del partito Socialista francese durante l’era di Mitterand, così si è espresso: “La realtà si è incaricata di ricordarci categoricamente e duramente che le leggi dell’economia esistono”. Questa evoluzione è stata favorita anche dall’apparizione di un gruppo intermedio, scaturito dalla strategia dell’accumulazione (“proletari ma eredi”), che persegue obiettivi intergenerazionali. Obiettivi che riposano sulla trasmissione ai figli di un patrimonio culturale ed educativo e di un patrimonio immobiliare, non di rado anche finanziario. Ciò attesta l’attaccamento all’economia di mercato.

Però, come detto, la solidarietà (la libertà concreta) è tuttora estensibile e perfettibile, per cui il ruolo del partito Socialista, come del resto anche degli altri, non è venuto meno, a condizione però di non rompere l’equilibrio dei tre fattori della ricchezza.

In conclusione, questa evoluzione, che tocca ovunque tutti i Partiti, ha suscitato nell’elettorato un vago sentimento che i Partiti nella forma tradizionale non sono più necessari per la collettività e che il cittadino é più libero e più importante senza, ciò che ha generato e genera ovunque, il populismo, l’astensionismo e la proliferazione di partiti a scopi settoriali, in urto con le necessità dello Stato moderno. Infatti, allo Stato giacobino di un tempo con compiti limitati a quelli amministrativi (giustizia, polizia, militare e, più tardi, educazione), è succeduto lo Stato sociale (il “Welfare State”) ed economico, la cui attività, oggi, ha invaso ampi settori un tempo di sacrosanto dominio dell’iniziativa privata, tanto è vero che nel modo di gestire ragionevolmente e efficacemente non vi è più una netta distinzione tra pubblico e privato. Di conseguenza, lo Stato, per far fronte alle nuove mansioni, deve necessariamente adottare i criteri di gestione manageriali, per cui deve poter disporre di un potere analogo a quello dell’azienda nel settore privato. Ora, la proliferazione dei partiti provoca uno sbriciolamento del potere, quindi anche della responsabilità, difficilmente conciliabile con i nuovi suoi compiti pubblici. Le conseguenze di questa situazione sono tali da creare disfunzioni suscitanti la sfiducia nelle Istituzioni, declino già denunciato alla fine degli anni 50 dal famoso giornalista del New York Herald Tribune, Walter Lippmann, in “Crepuscolo della Democrazia”.

Allora, quale rimedio? A mio giudizio, a lungo termine, un maggior impegno e rigore nella scuola (sarebbe molto utile potervi mandare anche buona parte dei genitori) e, a medio termine, l’introduzione nelle elezioni del sistema maggioritario. Questo sistema, riducendo i Partiti, di solito, solo a tre, conferirebbe al Legislativo e all’Esecutivo il potere per governare, non solo con coerenza e efficacia, ma anche responsabilmente, oltretutto, con un efficace controllo grazie all’alternanza che per natura comporta. Simile soluzione non costituisce una limitazione della Libertà del cittadino, perché nei partiti rimasti non vi è una sola anima, per cui tutte le aspirazioni individuali ragionevoli possano trovare posto in uno di essi: la Democrazia non è anarchia e implica, secondo Montesquieu, un buon grado di “virtù”. La prova della bontà di questa soluzione si riscontra, al contrario, nel tempo e nello spazio: le disastrose conseguenze della III e la IV Repubblica in Francia, della Repubblica di Weimar in Germania e della I e II Repubblica in Italia, caratterizzate da una sequela di Partiti.

Quindi, a mio giudizio, a medio termine, si impone una solida alleanza tra il PPD e il PLR, già ora possibile in quanto gli steccati di un tempo, salvo per qualche crosta ottocentesca, sono caduti: infatti, l’economia di mercato è propugnata sia dell’uno sia dell’altro nello stesso modo salvo qualche sfumatura, la libertà e la laicità, come detto, sono diventati beni comuni e la religione è rispettata, anche nella sua forma concreta, ossia il culto, un tempo oggetto di acerbe dispute.

E che dire allora della Lega? E’ stata fondata da Giuliano Bignasca, con il quale subito si è immedesimata facendone una specie di “despote éclairé”; nel 2007 è stata salvata da Borradori e ora è sorretta da Gobbi e da Zali e tutto in consonanza con la logica del partito populista. Ma in questo sta la sua vulnerabilità, per cui, a mio giudizio, nell’avvenire o si strutturerà analogamente ai partiti tradizionali, continuando ad attingere forze dall’elettorato di elezione del PLR e del PPD, oppure scomparirà completando una parabola come quella percorsa dal PSA.

Avv. Franco Gianoni 

Relatore

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  • «ponderoso e notevolissimo articolo»… dal profumo otto/novecentesco.
    Il capitalismo alla Max Weber è defunto ormai da (politici) secoli. L’economia attuale si regge in grande misura proprio in contrapposizione ai princìpi espressi dall’articolista e da Weber, così come la crisi della famiglia, che è in buona parte determinata dalle condizioni economiche e culturali incentrate sul consum(ism)o, da non confondere col comunismo. La scuola intesa quale rimedio risulta perfino un concetto ridicolo: la scuola è casomai “espressione” di una società e non tanto l’antidoto delle sue derive socio-economiche. Mitterand e Schröder più che rappresentare il socialismo rappresentavano il loro elettorato coevo. Concluderei (per necessaria brevità) con una «capitale» citazione relativa a libertà, giustizia ed… equità: «La loi, dans un grand souci d'égalité, interdit aux riches comme aux pauvres de coucher sous les ponts, de mendier dans les rues et de voler du pain!» Anatole France.

    Dal profumo otto/novecentesco, ma sempre attuale.

    • « … interdit aux riches comme aux pauvres…» Personalmente sono del parere (comprovato... scientificamente;) che oggi, come oggi, chi ha importanti possibilità finanziarie, è in grado di ottenere perfino notevoli riduzioni di pena rispetto ai nullatenenti, superando in… pratica il letterario sarcasmo di Anatole France.

  • Non penso che il maggioritario possa essere la panacea per tutti i mali.
    Il problema è il positivismo giuridico, sia che lo si esplichi in concordanza che a maggioranza. La legittimità non può infatti discendere dalla legalità ma viceversa. Quindi una seria riflessione sui princìpi da cui far discendere le leggi si impone.
    La scuola, una scuola libera intendo, potrebbe dare un contributo in questo senso.
    Inoltre: la cosiddetta "solidarietà" sarà anche la figlia laica della carità cristiana, ma è una figlia monca di una virtù cristiana: la volontarietà dell'atto di carità, sostituito da un atto di costrizione. Dubito, proprio per questo, che "la religione sia rispettata". Mi pare piuttosto che sia "relegata" in una specie di "riserva delle religioni", nella quale ognuno pratica formalmente il proprio culto, mentre il vero Dio, lo Stato, spadroneggia nella società civile abusando di quella Forza comune che i cittadini gli hanno concesso per difenderli dalla violazione della loro proprietà privata e non per offenderla, come invece costantemente oggi avviene, a tutto vantaggio di un'oligarchia parassitaria partito-burocratica, che sta allontanando sempre più i cittadini, specie le giovani generazioni, dai partiti tradizionali. E la cosa non si risolverà mettendone insieme i cocci, qualunque sia il modo con cui si voglia ricomporre il puzzle.

    • Pur non condividendo la tua limpida impostazione (posso dirlo? posso darti del tu?) ideologica, è sempre interessante ri-leggerti caro Dicolamia.

      Personalmente faccio fatica tuttavia ad immaginarmi, per esempio, il concetto di “scuola libera”. Certo posso supporre un “contenitore” con su scritto “Scuola Libera”. Aggiungiamoci pure società libera. Ma poi nel contenitore, così etichettato, bisognerà pur metterci qualcosa: scuola/società della buona solidarietà; scuola/società del giusto credo; scuola/società del vero progresso; scuola dei leciti diritti/ scuola dei legittimi doveri. C’è comunque il grosso rischio che quel qualcosa lì dentro, (buono/giusto/vero/lecito/legittimo) non sia totalmente libero dagli influssi, diciamo “culturali” di chi fornisce i capitali. E dacché mondo è mondo le cose libere che sono finanziate liberamente, sono sempre liberamente condizionate dal proprio principio… dominante, dagli sponsor, se vogliamo essere grezzi. Un po’ come le repubbliche democratiche, i governi di solidarietà, le economie liberiste. Che è pur vero, vogliono contrapporsi (sull’etichetta) alle «oligarchie parassitarie», ma spesso, molto spesso, ne sono addirittura la pessima imitazione.

      Che dire poi di questa neo-modalità planetaria di gestione (governance, qualcuno l’ha definita) della «società civile» in chiave essenzialmente finanziario-liberal-oligarchica? Modalità volutamente dissociata da qualsiasi idea di territorio, intollerante ad ogni contestazione popolare (stavo per dire… democratica) oserei perfino insinuare: incaricare i governi di spoliticizzare la politica (astensionismo) e che vuole essere la nuova frontiera della regolazione sociale, ma che prescrive il mito della lotta solitaria dell’homo oeconomicus. Sulla sua etichetta (etichetta!) sta scritto: società del vero progresso, dei leciti diritti, dei legittimi doveri, del giusto credo e della… buona solidarietà.

      • Certo che puoi darmi del tu!
        Per scuola libera intendo una pluralità di offerte scolastiche sottratte al monopolio statale e restituite a liberi insegnanti o a gruppi di essi, dal cui confronto possa emergere un "distillato di princìpi condivisi" sui quali uniformare il nostro modo dello stare insieme o, che poi è lo stesso, dai quali far discendere le nostre leggi.
        La democrazia, cioè le decisioni prese a maggioranza, avrebbero come limite la non violazione dei principi condivisi, almeno finché il confronto culturale, esattamente come quello scientifico, non ne faccia decadere alcuni o ne scopra altri che via via emergano, come le lingue, spontaneamente e in piena concordia civica dalla società civile.
        Si obietterà: ma le attuali costituzioni sono già un elenco di princìpi condivisi. Assolutamente no. Tant'è che nella costituzione i principi possono essere cancellati o infilati di sana pianta "a maggioranza".
        E, sempre a maggioranza, contraddetti o sconfessati nei fatti, attraverso leggi ordinarie.
        Esempi, quanti ne vuoi.
        Con questo zibaldone non si va da nessuna parte.
        È un discorso che meriterebbe un approfondimento verbale.
        Ho voluto solo accennartelo.
        Se hai tempo e voglia, come Liberisti ticinesi, abbiamo provocatoriamente redatto un documento, a nome CODEX HELVETICUS, sul quale aprire un dibattito serrato su alcuni princìpi, dai quali dovremmo far discendere le nostre leggi e provato ad immaginare quale tipo di democrazia potrebbe derivarne: una democrazia "pura"con partecipazione a rotazione e per estrazione a sorte dei cittadini all'amministrazione delle nuove istituzioni.
        Puoi scaricarlo dal nostro sito (vedi foto allegata).

        • Grazie per l’articolata risposta. Ho già scaricato (per conoscenza) il “codex”. Pur sempre attento ai diversificati tentativi di dare una risposta alla famosa... struggle for life, resto tuttavia convinto che gli avvenimenti ci/vi superano. Da ciò che si può ricavare dall’esperienza quotidiana postmoderna, rimane pur sempre evidente che il raggio d’azione delle proprie scelte esistenziali si riduce alla lotta (gene egoista/Dawkins) per la conquista di un reddito individuale (homo oeconomicus) finalizzato alla possibilità di consumare: homo consumens. Processo che sembra essere ormai (per ora) l’altrettanto famosa “grande trasformazione” ben descritta da Polany.
          Un saluto cordiale.

          • L'homo oeconomicus mi sta bene, se il reddito che cerca è pagato in "monete oneste".
            Anche l'homo consumens mi sta bene, se non consuma più di quanto lo consente la quota parte del risparmio di un paese messa a disposizione di chi richiede un credito.
            Il problema è, caro mykanban, che oggi viviamo in un mondo di "monete disoneste" e nel quale la banche centrali e commerciali espandono artificialmente il credito oltre le possibilità di risparmio dei cittadini.
            Buona lettura del codex (è una provocazione: lo scopo è quello di far riflettere sul fatto che ogni sistema istituzionale, come ogni postulato, anche se consolidato, può essere emesso in discussione)

          • Eh… caro Dicolamia. Sta proprio lì il busillis. L'homo oeconomicus/consumens è consustanziale alle «monete disoneste». Anzi ne è, nel tempo stesso, artefice e vittima. Cambiare questo stato di cose resta un proposito ambizioso. Così ambizioso da risultare perfino… utopico.

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