Primo piano

Piccole Donne di Greta Gerwin

Ripubblichiamo oggi, per la festa della Donna, 8 marzo 2023, questo articolo su di una trasposizione cinematografica su un romanzo di formazione, al centro del quale agiscono piccole (grandi) fonne

Liz Taylor dai capelli biondi. Kristen Dunst bambina. Cos’hanno in comune? L’aver avuto entrambe il ruolo di Amy, la minore delle sorelle March, nelle varie versioni dell’adattamento cinematografico di Piccole Donne. Questo, per dare l’idea di quante rivisitazioni sul piccolo e grande schermo abbia avuto il romanzo velatamente autobiografico di Luisa Marie Alcott, pubblicato nel 1868. Quando l’autrice aveva 36 anni.

Nel 2019 (2020 per l’Italia), Greta Gerwin, classe 1983, ci ha riprovato. Inserita da Times, nel 2018, tra le 100 persone più influenti al mondo, giovane regista femminista, che ha debuttato nel 2017 con “Lady Bird”, e che adesso (forse) si consacrerà con Barbie (in uscita, 2023) ricrea la sua musa Saoirse Ronan (già nel precedente film) nel ruolo della protagonista Jospehine “Jo” March.

Il film ha il pregio di offrire una nuova versione dell’intreccio: inizia infatti in flash back, quando Jo è già una scrittrice, e Beth sta già morendo; ma ha il difetto di dare per scontato che gli spettatori conoscano già la (d’altronde celebre) storia, così che il film risulta un continuo alternarsi di ricordi, passato e presente.

Emma Watson (ex Hermione di Harry Potter) interpreta Meg, colei che ha come aspirazione il matrimonio (con John Brooke, alsias James Norton, ex principe Andrea in War and Peace 2015), e regge bene la recitazione; florence Pugh è la vanesia Amy, venendo per questo candidata al premio oscar come miglior attrice non protagonista, ma risulta forse un po’ troppo grande (è classe ’96) per il ruolo della sorella più piccola, Eliza Scanlen è la dolce Beth, colei che muore. Saoirse Ronan, egocentrica e un po’’ schizzoide, è calata nella parte di Jo; Luis Garrel in quella del suo futuro marito, con uno stereotipo un po’ fisso dell’immigrato francese; infine il sopravvalutato Timothée Chamelet (ex compagno sempre della Ronan, sempre in Lady Bird del 2017), è Laurie, don Giovanni dinoccolato.

Questa nuova rilettura riesce, insomma, coinvolgente ma forse un po’ troppo lunga (134 minuti, vissuti pesantemente), tuttavia con una bella ambientazione, senza la tematica del BLM e dell’inclusività forzata (buono il riferimento alla schiavitù abolita dopo la Guerra d’Indipendenza).

Relatore

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