dal portale www.pietroichino.it
In molti nei giorni scorsi hanno manifestato disagio per la fine della quieta latitanza parigina di una decina di ex-brigatisti o assimilati: hanno osservato che gli “anni di piombo” sono ormai cosa del passato remoto e che a queste persone si cerca di imporre l’espiazione di una pena per delitti commessi quaranta o addirittura cinquant’anni or sono. Eppure, che su quei delitti tutti torniamo a riflettere è ancora necessario. Molti e molto rilevanti argomenti sono stati addotti a questo proposito nei giorni scorsi da chi ne ha assai più titolo di me, come Benedetta Tobagi, Olga D’Antona, Giovanni Maria Flick o Armando Spataro; a questi aggiungo la menzione di un minuscolo episodio dei giorni scorsi, che mi riguarda.
Il 25 aprile scorso avevo pubblicato un articoletto controcorrente, nel quale mi proponevo di andare un po’ al di là delle consuete celebrazioni retoriche della Festa della Liberazione, invitando a riflettere sulle circostanze nelle quali il regime fascista è nato, favorito anche da clamorosi errori e omissioni delle forze antifasciste.
Questo articolo ha scatenato su Twitter e Facebook, oltre che sul mio account email, uno Tsunami di attacchi durissimi, in molti casi anche violenti, in alcuni dei quali si auspica addirittura che qualcuno si prenda la briga di tapparmi la bocca per sempre. È la logica mafiosa che a suo tempo le Brigate Rosse avevano fatto tragicamente propria: “Colpirne uno per educarne cento”.
E non è la prima volta: negli anni passati, di messaggi di questo genere me ne sono arrivati a decine, di volta in volta per reazione a quanto ho sostenuto in materia di scarso rendimento del lavoro nel settore pubblico, di riforma dei licenziamenti, o di necessità di valutazione degli insegnanti ecc. (nessuna possibilità di dialogo con questi “leoni da tastiera”: anche in quest’ultimo caso, quando ho pubblicato una risposta ragionata ai loro attacchi, sono spariti tutti, come per incanto).
Forse, allora, non è così vero che gli anni di piombo appartengono soltanto al nostro passato remoto.
prof. Pietro Ichino
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