Primo piano

Rapito di Bellocchio: un bellissimo documentario

Inutili polemiche aprono tempi burrascosi. Come quella sul sesso degli angeli che impegnava i Bizantini, mentre i Turchi si preparavano a conquistare per sempre l’impero d’Oriente. Non starò qui, pertanto, a riprendere le polemiche tra cristiani ed ebrei che ha suscitato il film “Rapito” di Marco Bellocchio, sulla vicenda di Edgardo Mortara, bambino ebreo battezzato in segreto dalla domestica e, per questo, sottratto nel 1858 alla sua famiglia bolognese, dagli emissari di Papa Pio IX, cresciuto cristiano, divenuto sacerdote, e beato dopo morto.

A dar si volse vita con l’acqua a chi col ferro uccise scriveva Torquato Tasso nella Gerusalemme allor quando Tancredi battezza l’amata Clorinda morente, che egli ha inconsapevolmente ucciso in duello. E non è certo questo il caso di Edgardo, ormai sacerdote diciottenne, che tornato al capezzale della madre morente, le dice “tu mi hai dato la vita, ed io te la restituisco, col battesimo”. Ed ella rifiuta. “Io sono nata ebrea e morirò ebrea” risponde, prima di spirare.

Come è noto, Edgardo – ad oggi beato, tanto quanto Pio IX, il suo “rapitore” – morì novantenne nel 1940, dopo aver scritto, nelle sue Memorie, d’esser stato felice e fortunato per esser stato battezzato e cresciuto in seno alla Chiesa cattolica, tanto da divenirne sacerdote. Sindrome di Stoccolma? Forse sì, forse no.

Altra scena notevole è quella in cui, ormai cresciuto, Edgardo si precipita a baciare con fervore la mano del Pontefice, il quale – forse preso dal rimorso nel vedere Edgardo – cade a terra. E, per questo – per un peccato non commesso – Edgardo deve fare penitenza.

Il film – che eccelle nella ricostruzione delle ambientazioni storiche (presentandosi molto lontano dai prodotti d’oggigiorno che commercializzano, attualizzano e strumentalizzano un Ottocento inesistente) – dimostra come la religione possa essere un elemento divisivo, tanto quanto la politica. Edgardo è un bambino silenzioso, riflessivo, propenso allo studio: rabbino o sacerdote, forse sarebbe divenuto in entrambi i casi un uomo colto e dedito al servizio di Dio, ma la storia non si fa col se. Altra notevole scena è quella in cui il fratello – divenuto bersagliere – nel 1870 entra in Roma e si trova a faccia a faccia con Edgardo, ormai convinto assertore dello Stato Pontificio. Un film incentrato sulla forza distruttiva delle divisioni, religiose e politiche, più che su quello che, invece, potrebbe unire. E, d’altronde, è questo che la storia insegna: poiché siam divisi, calpesti e derisi ora e sempre, nei secoli dei secoli. Sino a quando, almeno, qualcun altro prenderà il potere. E c’è solo da sperare che non sia un nuovo Maometto II o un Khomeini.

Ed è proprio per questo che “Rapito” di Bellocchio a me non ha fatto scalpore, descrivendo – semplicemente – un fatto storico, senza giudicare. Perché a quello ci pensa il popolo dei social, sempre pronto a scagliarsi su tutto, ma ad oggi incapace di insorgere, al contrario della Bologna del 1859 o della Roma del 1870.

Russo Alesi nel padre di Momolo Mortara, padre di Edgardo

Pierobon nei panni di Pio IX (che gli somiglia incredibilmente)

Relatore

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