Editoriale

“L’odio coltivato da quanti si considerano buoni e tolleranti” – Il pensiero del giorno a Carlo Lottieri

Leone da tastiera (Keyboard warrior). Wiki commons (Glenn Carstens Peters)

“(…) Chi per definizione è cattivo deve essere sempre tale e non deve e in nessuna circostanza affermare qualcosa di condivisibile.

Succede lo stesso in Europa. È il paradosso dell’odio coltivato da quanti si considerano buoni e tolleranti, così da essere costantemente in lotta contro quelli che considerano cattivi e intolleranti. Una raffinata riflessione sul tema era già stata sviluppata dal giurista tedesco Carl Schmitt, quando aveva rilevato come un certo pacifismo democratico – incapace di accettare la possibilità della guerra – avesse modificato la natura del «nemico», che aveva smesso di essere un normale avversario per diventare un nemico assoluto. Qualcuno che, a conflitto finito, doveva necessariamente essere annichilito, distrutto, cancellato.” (citazione dal CdT)

Carlo Lottieri, filosofo e professore alla Facoltà di Teologia

* * *

“Hater” è una parola molto alla moda. I Buonisti odiano gli Haters (come dice Lottieri). “Noi odiamo gli odiatori” mi ha dichiarato uno di loro, serafico.

Relatore

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  • Pure il sottoscritto ha letto con interesse e attenzione lo scritto in questione. Anche un po’ sorpreso per la verità. Ritengo che il prof.Lottieri abbia sollevato uno dei temi centrali relativi a quella che viene definita come la ricerca di una minima “correttezza informativa”.

    Nel mio piccolo sono tuttavia convinto che debba essere assai “scomodo” - per molti “operatori mediatici” accreditati presso testate di prestigio e di grande diffusione - dover utilizzare alcuni termini molto/troppo in uso nel linguaggio corrente per descrivere i fatti in quella difficile, se non impossibile, ricerca di quell’equidistanza informativa sempre più effimera.

    Detto questo ritengo che ci sarà pure qualcuno di loro, rèduce da una minima lettura saggistica specifica, che l’abbia perfino reso attento alla pericolosa ambiguità insita, per esempio, nello sguainare senza particolari ripensamenti termini pericolosamente ambivalenti come quelli di «violenza», «odio», (appunto) oppure «discriminazione». Per cui evito di esprimermi sul termine “odio” evocato nell’articolo perché già ben inquadrato dal professore della facoltà di Teologia.

    Il discorso vale, a mio parere, anche quando si parla di «discriminazione» e ben sappiamo che non si usa il termine per descrivere, ovviamente, quei territori dove la compresenza tra estrema ricchezza e estrema povertà è la regola; scenario in attesa di esportazione planetaria. Territori dove la ricchezza la si blinda in distretti protetti (veri e propri muri, ... «muro» ecco un altro termine assai ideologizzato) da qualificate guardie armate mentre fuori -nella società della maggioranza- cresce fatale, l’inquietudine, o la violenza. Perché lì fuori, la “sana” competizione economica ha già ottenuto e consolidato la sua «discriminante» stratificazione sociale.

    Quando si parla di "violenza" si trascura di parlare, per esempio, di quella esercitata allorquando un intera comunità viene privata del lavoro a causa di un’avida delocalizzazione finalizzata alla sostituzione di una manodopera attiva e capace (e giustamente retribuita), con quella "sostitutiva", assunta in un regime di schiavitù per incrementare il profitto. Manifestazione del potere del grande capitale «segregazionista» che diventa violento? nei confronti di gruppi subordinati con la complicità di una politica spesso “di centro” che convalida, tuttavia, un'economia degli estremi. Per cui aggiungerei senza troppi giri di parole anche il termine «centro» nel contenitore dei termini che meriterebbero una necessaria riflessione in tal senso.

  • Eh si! I "cattivi" sono il sale della terra, senza di loro non ci sarebbe stato progresso sociale, economico, tecnologico. I "buoni" servono a poco (direi un cazzo) almeno fino a quando fra di loro non emerge un "cattivo".

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