Appunti

L’ultima sfida – Novella di Anna Lauwaert

“When the Gods want to punish you, they answer your prayers”

Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale.
Grazie a Pascale per la fedele collaborazione

Dopo sette lunghi biblici anni di solitudine, Charlotte fece un’incontro. Cioè, davanti allo scaffale delle marmellate, andò sull’estrema punta dei piedi. Si stirò fino a sentire la cintura della sua gonna scendere di diversi centimetri ed a rischiare una lussazione della spalla. Poi, coll’estremissima punta dei polpastrelli, riuscì a far oscillare il vasetto. Al momento in cui iniziò la sua caduta, Charlotte lo afferrò con decisione, dimostrando che questa tecnica era frutto di lunga esperienza. È dopo che le cose andarono storto. Ritornando alla sua altezza normale, abbassò i talloni di colpo e picchiò violentemente il gomito contro il carrello di merce che un venditore stava distribuendo sui ripiani dello scaffale dei biscotti. Lo spigolo del carrello colpì precisamente il nervo radiale nel suo tratto più superficiale durante il superamento dell’epicondilo. Il dolore fu folgorante e squisito (come dicono i dottori) provocando istantaneamente l’apertura della mano e quindi la caduta secondo una traiettoria obliqua e micidiale del vasetto di confettura che andò ad esplodere come una bomba ai piedi di un signore che stava lì, per puro caso, anche lui a scegliere una confettura.

-“Merde!” – disse Charlotte di riflesso, forte e distintamente. Le era scappato come il vasetto, bruscamente, assolutamente senza volerlo. Non seppe nemmeno se fosse per il dolore del gomito, l’esplosione del vasetto, la brutta figura o il pantalone di quel signore impasticciato da “Rapsodie de Fruits, Orange & Gingembre, sans addition de sucre”…

-“Aha! – disse quel signore – vous parlez français…?”

-“Mi scusi, mon Dieu! mi scusi, mi scusi… Sono mortificata…” – balbettò Charlotte.

Il ché confermò che, probabilmente, Charlotte parlava davvero francese. Addizionando il fatto che nel suo caddy c’erano già una bottiglia di Sauterne, due voluttuosi meloni Galia che significa “the wave of God” provenienti da Kikar Sedom, una valle vicina al Mar Morto dove sorgevano Sedom e Amora cioè Sodomo e Gomora, città di tutti i peccati… una confezione di 5 di Barilla che ricordava il 5 di Chanel che le donne mettono di notte invece del pigiamino, uno spicco di Parmigiano Reggiano ed il mancato vasetto di marmellata della marca St. Dalfour, il signore che era stato addestrato a ragionamenti veloci e logici, dedusse che questa signora era golosa, straordinaria connaisseur di meloni, in stato di mancanza di tenerezza e probabilmente non faceva parte delle arpie sinistroide che boicottano i prodotti in provenienza d’Israele…Positivo, tutto sommato… molto positivo.

-“Hm… Hm… Non siamo stati presentati… – disse il signore – mi permetta…” poi s’inclinò un po’ e, molto dignitosamente, disse:

-“My name is Benatar, Ruben Benatar…”

-“Un ebreo! – esclamò Charlotte dentro di sé – mancava quella…”

Sconvolta per via del succo di marmellata che cominciava a colare per terra e dell’alto parlante che aveva già detto due volte “Servizio-pulizia-nel-reparto-conserve-con-acqua”, si raddrizzò, non tese la mano nemmeno lei e balbettò:

-“Piacere… Charlotte… sì, Charlotte… Carlotta insomma… sono positivamente mortificata…”

Intanto la signora preposta alle pulizie era arrivata. Con una spugna abbondantemente bagnata, puliva la parte inferiore della gamba del pantalone del signore… L’acqua finì per correre pure nella sua scarpa al ché egli disse con un sorriso molto cortese:

-“Grazie infinite… il resto sarà per la lavanderia…”

Poi, vedendo che Charlotte stava lì completamente impappinata davanti alle schegge di vetro che lentamente sprofondavano nella marmellata come un sottomarino nella manovra di inabissamento, la prese per il braccio del gomito che aveva causato il disastro e la condusse verso il tea room sulla terrazza del supermercato dicendo:

-“Permette…”

Charlotte seguì e cominciò a riprendersi solo quando, seduti tutti e due, si accorse che la cameriera stava aspettando già da qualche minuto per prendere l’ordinazione…

-“Un caffè…” – disse Charlotte.

-“Con latte?”

-“No, un caffè normale… con acqua…” – balbettò Charlotte e poi aggiunse sottovoce alzando una mano rassegnata nella direzione della cameriera che si era già allontanata – “arabica…”

-“So! … – disse il signor Benatar in inglese – non tutto il male viene per nuocere…”

Charlotte alzò gli occhi e, per la prima volta, guardò la sua vittima. Era un uomo d’apparenza mediterranea, alto, dalla pelle scura, abbastanza snello, coi cappelli brizzolati, occhi intensi e ciglia lunghissime. Un bel tipo… Avrebbe potuto essere un arabo, comunque un orientale e le venne in mente Kabir Bedi… Però, questo non era Bedi ma Benatar… bè si, un ebreo…

-“Scusi – disse Charlotte – come ha detto di chiamarsi? Benatar, vero? Quando ero piccola c’erano dei Benatar nella mia classe… No, no… non qua… Qui sono straniera…”

-“Lei è qui in vacanza?”

-“No, provvisoriamente stabile…”

-“Aha” – pensò il signor Benatar che alla morte di sua moglie era caduto dalla profusione verbale eccessiva nell’eccesso di silenzio – magari c’è qualcosa da raccontarci…”

-“Ah, capisco” – disse fingendo di non aver notato che Charlotte non portava una vera, bensì un anello con un diamante molto classico e discreto ma sicuramente di valore. I suoi vestiti erano poco più di stracci, tenuti bene ma assolutamente fuori moda. Chiaramente Charlotte non dava importanza né ai vestiti, né alla pettinatura. Non portava nemmeno trucco. Era l’opposto di fu sua povera moglie Violette che aveva speso un capitale per continuare ad apparire bella e soprattutto giovane. Quanti anni poteva avere questa Carlotta? Dai cappelli quasi grigi e dalle rughe si poteva dedurre.. tra 50 e 60 anni… Professione? c’erano pochi indizi… 

-“Capisco – disse un po’ furbescamente – suo marito è qua per lavoro…”

-“No – disse Charlotte cadendo nella trappola – sono venuta qua per motivi personali, non sono sposata, enfin… non più… da molti anni…”

-“Non volevo essere indiscreto…” – disse il Signor Benatar che sapeva di esserlo…

-“Non è indiscrezione” – disse Charlotte sorridendo per la prima volta il ché accentuava le rughe, soprattutto quelle amare attorno alla bocca – Ormai siamo tutti stati più o meno sposati qualche volta nella nostra vita. Ai miei tempi non c’erano vaccini contro il morbillo, la scarlattina, gli orecchioni, la pertosse, il matrimonio… Tutti i bambini facevano le malattie infantili e poi, a lungo andare, producevano anticorpi…”

-“Malattie comunque pericolose. Qualcuno ne ha tenuto dei… diciamo… postumi…”

-“Bè, si – disse Charlotte – credo che tutti noi abbiamo addosso più o meno pesanti strascichi…”

Ora, il punto importante diventò di trovare la scusa per, insomma, rivedersi… Trovare un motivo per incontrarsi un’altra volta, almeno da poter decidere se si o no da questa donna ci si potesse aspettare altro che lo spreco della migliore confettura attualmente sul mercato.

-“Mi scusi – disse Charlotte alzandosi di scatto – devo andare, il mio cane mi aspetta in macchina. Guardi, mi dispiace per il danno al suo vestito. Mi mandi la fattura della tintoria…”

Estrasse dalla sua borsetta un biglietto da visita molto formale come quelli che usavano gli uomini quando nel galateo era ancora normale di mandare un mazzo di fiori accompagnato da un cartoncino.

Il Signor Benatar si alzò per salutare, ma Charlotte si era già allontanata senza tendere la mano. Egli si risedette sorpreso, con il caffè da pagare, il pantalone da portare in tintoria e l’impressione di aver perso la partita.

1 continua

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