Primo piano

L’ultima sfida 5

A pensarci bene, era davvero stata une bella serata, così all’improvviso. E di nuovo si chiesero, tutti e due, se fosse il caso di rivedersi. Mancava solo la scusa. Ma le scuse si trovano ed il martedì di due settimane dopo Charlotte cercò il numero di telefono di Ruben nelle rubrica via Internet.

-“Errebi, je vous écoute…” – rispose Ruben su tono scherzoso, al ché Charlotte pensò che egli aveva sicuramente un telefono munito da quel aggeggio sofisticato che indica sul “display” il numero di chi chiama.

-“Buongiorno, – disse Charlotte – sono Charlotte…”

-“Buongiorno, comunque… come va…”

-“Bene e lei?”

-“Si, bene, bene…”

-“Ecco… mi sono accorta che abbiamo dimenticato di saldare il conto della lavanderia…”

-“Quale lavanderia?”

-“Bè, il pantalone dalla confettura…”

-“Ah, questo… non se ne parla più…”

-“Allora, volevo dire, venerdì questo… io dovrei passare in città… difatti devo andare in libreria…”

-“Bene – disse Ruben- vuole venire a salutarmi?… Ho un impegno fine pomeriggio, ma prima…”

-“Ma sì… mi dica l’ora…”

-“Le 14.00… suppongo che ha il mio indirizzo…”

-“Si, si… pagine bianche… rubrica Internet… alle 14.00… d’accordo…”

-“Benvenuta.” – disse Ruben aprendo la porta.

-“Oddio, Oddio!!! – pensò Charlotte entrando – Che casino! ma qui è molto peggio di casa mia! Mon Dieu quel fourbi!”

Era un appartamento grande ma talmente ingombrato che si riduceva ad un mero corridoio di passaggio… Si doveva stare attenta a non toccare, per inavvertenza, l’uno o l’altro scaffale che avrebbe fatto crollare tutto il resto come il famoso domino.

Charlotte strinse le braccia ed il guinzaglio di suo cane lungo il corpo e seguirono Ruben verso l’unica poltrona che non era intasata da libri, oggetti, cose e stravaganze. Pappagalli ara camminavano in libertà ed ispiravano terrore ai visitatori. Il povero cane si appiattì sotto la poltrona e non si fece più vedere fino alla fine della visita…

-“Preeeego… – disse Ruben – si accomodi…”

Per far bella figura, Charlotte, questa volta, per una volta, si era vestita da donna: escarpins color tête de nègre ed in tono, borsetta comperata espressamente per l’occasione, collant moda con lycra brillante 20 den, gonna corta marrone ed ampio maglione beige che avrebbe dovuto dissimulare qualche imperfezione della sua silhouette. Come gioielli portava semplici bracciali d’oro, una spilla ed orecchini di diamante, molto BCBG (bon chic, bon genre). Però, all’improvviso Charlotte fu colpita da un dettaglio che stonava! C’era un incredibile disordine tra oro bianco dell’anello e della spilla e l’oro giallo dei bracciali e degli orecchini… Bè… non aveva niente di più assortito. Così, all’improvviso, sentì terribilmente quello screzio che denotava una imperdonabile mancanza di gusto… Accidenti! A ripensarci adesso, avrebbe dovuto mettere tutto oro giallo poiché pure i suoi occhiali erano bordati di giallo. No! Avrebbe dovuto mettere le perle. Subito si sentì imbarazzata e si sedette sul bordo della poltrona con le dita incrociate depositate sopra le ginocchia strette, dopo aver tirato la gonna il più in giù possibile. Perché mai aveva pensato di mettere una gonna stretta e corta invece di metterne una lunga ed ampia…

Ruben invece era relax, a casa sua e completamente cool… Colpivano i suoi grandissimi occhiali rotondi bordati di rosso e la sua camicia blu con pesciolini azzurri… Al collo portava una grossa catena ed all’anulare un anello con un simbolo ebraico che era sicuramente un ricordo di suo padre.

Charlotte diede un’occhiata discreta. Sui muri spiccavano diverse tele moderne, non figurative dai colori molto vivi con gialli e rossi incandescenti.

Uno dei pappagalli seguitava a dire “Baruch… Baruch…”

-“Parlano davvero?” – chiese Charlotte  per rompere il ghiaccio.

-“Si – disse Ruben – ma sono pigri… Ayelet, vieni qua, dì un po’ bene Baruh Abba…”

-“Baruuuuh Abbaaaaa” – ripeté il pappagallo. Doveva essere una femmina. Prima venne ad appollaiarsi sullo schienale dietro Ruben. Poi gli mordicchiò l’orecchio in modo terribilmente voluttuoso come per significare a Charlotte che qui l’amante era lei e non c’era posto per nessun’altra femmina.

Il cane si spinse ancora un po’ di più sotto la poltrona.

-“Un tè?”- chiese Ruben.

-“No grazie – disse Charlotte inventando una scusa al volo – Difatti non posso stare troppo a lungo perché la mia macchina fa un rumore strano e vorrei passare in garage ancora questa sera…”

Chiacchierarono di libri, pittura, biblioteca e collezioni. Alla morte di sua moglie, Ruben aveva iniziato a mettere ordine nelle cianfrusaglie della casa. Poi, un oggetto attirandone un altro, era caduto nella trappola delle collezioni. Era diventata una passione, un modo inconscio di riempire il vuoto, una ragione per correre alle mostre ed alle aste, non per acquistare ma per conquistare. I suoi figli erano ai quattro angoli del mondo. Violette aveva occupato lo spazio di tutta una vita con le sue stravaganze, i suoi capricci, la sua voce acuta e la sua frenesia di vivere. Tutto di un tratto, con lei era sparita la vita stessa e Ruben era cascato nel vuoto. Così, lentamente, aveva iniziato a frequentare più assiduamente concerti e musei e collezionare. Aveva pure iniziato a frequentare la sinagoga rimproverando quotidianamente l’Altissimo per la morte di Violette e la solitudine venuta troppo presto. Ora che si erano ritirati dagli affari e che avrebbero potuto godersi la vecchiaia viaggiando e visitando i loro figli, il lutto lo aveva reso sedentario e rinchiuso.

-“Aha… – pensò Charlotte – adesso capisco perché vive coi pappagalli…”

Poi parlarono dei loro figli.

-“I figli… – disse Charlotte, pensierosa – Hanno i loro problemi, le loro idee, le loro soluzioni… Io non reggo più… Mi sveglio di notte e sono angosciata davanti alla difficoltà della loro vita. Se avessi saputo come il mondo in cui devono vivere sarebbe diventato barbaro, non avrei avuto figli. Non mi perdono il mio egoismo: ho desiderato dei figli ed ora non sono capace di aiutarli. Se i giovani capissero quanto la vita è dura e deludente, non avrebbero più figli… Quando capisci, è troppo tardi…”

Nei tempi si facevano figli perché non si sapeva come non farli. Si pensava che i figli fossero una benedizione. Chi sa se il mondo era sempre stato così terribile… probabilmente… Ma si poteva anche parlare di argomenti meno drammatici.

Quindi, Ruben aprì una vetrina che conteneva una favolosa collezione di netsuke e piccole sculture erotiche giapponesi.

-“Hm, hm – disse Charlotte per apparire completamente indifferente alle posizioni oscene dei piccoli personaggi che si accoppiavano indecentemente – avorio… antico… Purtroppo il divieto del commercio d’avorio non ha fatto altro che far salire i prezzi sul mercato nero… poveri elefanti…”

E da lì passarono ad un armadio pieno di statue e maschere africane, l’una più spaventosa dell’altra. Sicuramente erano state acquistate presso antiquari o commercianti d’oggetti d’arte che non lesinavano sui prezzi.

-“Peccato – disse Charlotte – peccato che quando eravamo in Africa i miei genitori non erano sensibili all’arte… Avremmo potuto portare oggetti meravigliosi…”

-“È stata in Africa?” – chiese Ruben sperando di ricevere qualche dettaglio.

Charlotte fece solo quello stesso gesto triste con la mano e che non aveva significato che per se stessa. Non aggiunse nulla, invece si alzò dicendo al cane:

-“Chai, vieni amore… andiamo…”

Il cane uscì prudentemente da sotto la poltrona guardandosi attorno per evitare ogni incontro improvviso con questi orribili uccellaci pieni di piume variopinte e dai versi rauchi. Si strinse vicino alle gambe della sua padrona e tirò sul guinzaglio in direzione della porta d’uscita.

-“Come si chiama?” – chiese Ruben sorpreso.

-“Si chiama Chai” – disse Charlotte 

-“Chai… la vita…- ripeté Ruben pensieroso ma senza chiedere ulteriori informazioni – Grazie per questa brevissima vista… Magari ci rivediamo?…”

-“Certo, ci rivediamo… Sarebbe il tempo giusto per andare a visitare le Isole di Brissago, prima che chiudano per l’inverno…”

Ma Ruben non aveva nessuna voglia di visitare isole né di Brissago così umide, né di altrove. Charlotte prese congedo senza che un altro appuntamento fosse stato fissato.

-“A proposito – disse Ruben chinandosi sopra il corrimano centrale della scala mentre Charlotte stava già scendendo  – sa chi è Ruben?”

-“Certo! Quel mascalzone che vendette il suo fratellino agli arabi…” disse Charlotte sghignazzando per la frecciatina birichina.

E poi Ruben sentì sbattere il portone d’entrata.

5 continua
Relatore

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