Un articolo del 2016
Un evento storico, un muro che cade. Domani Papa Francesco incontrerà Kirill, Patriarca di Mosca e di tutte le Russie. È la prima volta che il leader della Chiesa cattolica stringe la mano al capo della Chiesa russo-ortodossa. A rendere il meeting ancora più straordinario, il luogo scelto: Cuba.
Un incontro attesissimo, voluto già da Woytila che però non era riuscito nell’intento. L’origine polacca di Giovanni Paolo II e la sua decisione di fondare diocesi cattoliche in Russia avevano ostacolato il dialogo. Ratzinger aveva incontrato Kirill quando ancora non era patriarca. Tocca a Bergoglio compiere questo passo storico, segnare questa tappa importante nelle relazioni tra le due chiese. Proprio a lui, il Papa venuto dall’altra parte del mondo, il Papa umile, quello che già nel 2014 aveva chinato il capo dinanzi a un primate ortodosso, Bartolomeo I, patriarca di Costantinopoli.
Dopo lo Scisma d’Oriente, alcune comunità ucraine rimasero legate alla Chiesa cattolica, per loro fu coniato il termine “uniatismo”, dall’Unione di Brest del 1596 quando un metropolita ucraino si sottomise alla giurisdizione del Papa. Da allora, molti sono stati i tentativi di dialogo tra le due chiese ma è stato solo con Papa Francesco che si è sperato nel disgelo, quando tornando da Istanbul aveva dichiarato di ritenere l’uniatismo concetto di “un’altra epoca”. Una nuova visione della crisi ucraina. Non poteva toccare che a lui questo ruolo, il papa degli ultimi, il papa dell’unità ecumenica, il papa che sempre più riduce l’assolutismo del pontificato. D’altra parte anche Kirill aveva più volte invocato la riconciliazione, ricordando “la parola salvifica di Dio: Vi lascio la pace, vi do la mia pace”, “la Chiesa non può avere un altro messaggio”.
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