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La scaltrezza salvò Ulisse dalle grinfie di Polifemo – di Gianfranco Soldati

Rubo nozioni storiche e letterarie, frammischiandole a miei commenti, a Peter von Matt: nel suo “Esquisse d’un tableau historique des progrès de l’esprit humain” del 1793 (la rivoluzione francese era in corso da 4 anni), Nicolas de Condorcet giunge alla conclusione altamente illusoria (sfuggirà per un miracolo alla ghigliottina riuscendo a morire prima, non di suicidio) che verrà il momento in cui il sole illuminerà solo uomini liberi che riconosceranno come solo maestro la ragione (non “La Regione”, quotidiano del Sopraceneri che, in rappresentanza del socialismo, detiene adesso con il settimanale “Il Caffè” il monopolio del progresso in Ticino). L’idea del progresso come categoria storica universale entrerà nel patrimonio politico e filosofico dell’umanità, in particolare con Immanuel Kant e poi con Georg Hegel e Karl Marx. Legittimo e logico quindi pensare che questi ultimi due sono, per dirla gendericamente, i genitori 1 e 2 del socialismo, Kant il nonno 1 e Condorcet il bisnonno 1. Ma mi coglie un dubbio: forse il progenitore 1 vero dei progressisti per antonomasia e autocertificazione è stato Maometto.

Ogni cultura nazionale celebra le proprie origini, anche a costo di inventarle. La Svizzera lo ha fatto, efficacemente aiutata da Friedrich Schiller e Gioachino Rossini con il loro “Guglielmo Tell” in prosa e in musica, ammirati perfino dal massimo scrittore tedesco, Johann Wolfgang von Goethe. Il primo a raccontare il mito svizzero come vicenda storica è stato Aegidius Tschudi (1505-1572) con il suo “Chronicon Helveticum”. A completare l’impresa, con una visione bucolica (fondata su natura, ragione e libertà) della vita nelle vallate alpine discoste, in contrapposizione a quella corrotta delle città, ha poi provveduto un rampollo di un’aristocratica famiglia bernese, Albrecht von Haller, con tutto un seguito di storici e letterati di Oltre Gottardo. Su su fino a Gottfried Keller, che in pieno Ottocento fu strenuo difensore di un’immagine della Svizzera come, senza nessuna pretesa di filosofica saggezza, la intendo io. Il Novecento vedrà invece all’opera i demolitori del mito svizzero, a cominciare dal genitore 1 Max Frisch, osannato dalle sinistre perché un mito non può stare all’origine del progresso universale da loro monopolizzato, per finire con il pronipote 1 (evidente la mia ammirazione per il genderismo) che altri non è che Thomas Maissen.

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Alexis de Tocqueville ha raggiunto la celebrità mondiale, con un’infinità di ammiratori e laudatori ma, credo, con ben pochi lettori, con il suo “La democrazia in America”, di cui Armando Dadò ha preannunciato una prossima riedizione nella sua collana “I Cristalli”. Il concetto di giustizia è per propria natura un prodotto della ragione, un’istanza di tutto il genere umano e delle sue comuni convinzioni morali. In democrazia a decidere è la maggioranza, con risultati che possono essere in aperto contrasto con il suddetto concetto di giustizia. Opponendosi ad una legge ingiusta non si nega il diritto della maggioranza di decidere e quindi comandare, ma ci si appella, in contrasto con la sovranità del popolo, a quella del genere umano. In altre parole de Tocqueville propugna la preponderanza del diritto internazionale su quello nazionale. Suscitando così un dibattito che potrebbe essere quanto mai attuale in vista della prossima votazione del 28 febbraio sull’iniziativa per l’espulsione dei criminali stranieri. A mio parere una presa di posizione alquanto tirata per i capelli, quasi un sofisma, perché lo storico militare dimentica che la legge nazionale viene democraticamente votata, mentre quella internazionale è frutto di elucubrazioni di giuristi, professor(on)i e consessi tipo tribunali della Rivoluzione o ONU, mai sottoposti a verifiche democratiche. Non abbiamo forse visto Mu’ammar Gheddafi presidente, fin che lo colse inopinata morte, della Commissione dell’ONU per i Diritti dell’Uomo e dei Popoli? Il popolo democratico vota, il genere umano no.

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Belle queste considerazioni di von Matt: “immagini rappresentative della Svizzera non sono la Bahnhofstrasse di Zurigo o il quartiere delle banche di Ginevra e neppure il porto sul Reno di Basilea, ma sempre e soltanto il Gottardo ammantato di nebbia”. E ancora: “la prima carrozzabile del Gottardo fu aperta solo nel 1830. Goethe non la vide mai”.

Di Alessandro Martini: un Gottardo che sempre più va perdendo l’appellativo di santo in Ticino, e già lo ha perso da Hospenthal verso il Nord.

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Friedrich Dürrenmatt, massimo scrittore e drammaturgo svizzero, nella sua pièce che lo ha reso celebre, “La visita della vecchia signora”, guardando alla rovina della natura prevede in pratica la prossima scomparsa dell’uomo e indica le discariche di scorie radioattive come uniche testimonianze che rimarranno a prova del fatto che una volta è esistita la scimmia predatrice chiamata uomo.

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Giudicando la letteratura che racconta dello straniero in Svizzera von Matt si dice convinto che “straniero in Svizzera e svizzero in terra straniera sono temi di pari livello”. Il fatto che i nostri emigranti dell’Ottocento siano partiti in massa per guadagnarsi il pane in terre quasi disabitate, a forza di lacrime e sudore, non lo riguarda. E neppure lo concerne il fatto che l’attuale immigrazione si fa quasi esclusivamente da parte di richiedenti l’asilo che dovremo per forza mantenere, non essendo in grado di fornir loro adeguati posti di lavoro. Con in più il pericolo incombente di una religione della quale si deve, suaviter gesagt, almeno diffidare.

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Il sentimento di appartenenza alla nazione è alla radice della formazione di ogni Stato. E`un fenomeno che si può definire in senso negativo come sciovinismo, nazionalismo, spirito campanilista o xenofobìa, in senso positivo come spirito comunitario, coesione, sicurezza culturale o consapevolezza delle tradizioni. La differenza è abissale nella formulazione filologica, ma di ben poca consistenza nel contenuto essenziale. Le frontiere non sono state tracciate dove le popolazioni si sentivano bene, ma solo dove le popolazioni si sentivano bene per la presenza di frontiere che le distinguevano dallo straniero. È, mi sembra, una verità lapalissiana.

Von Matt ha poi un sobbalzo di entusiasmo nazionalista quando scrive delle “effettive specificità svizzere come l’arte del compromesso, l’impossibilità di concentrare il potere nelle mani di un singolo e il sostegno sovraproporzionale alle minoranze. Ciò di cui oggi il mondo avrebbe maggior bisogno è la capacità politica della Svizzera, la sua cultura della conciliazione maturata nei secoli”. Roba da farmi venir la voglia di proporlo per una presidenza onoraria di qualche sezione cantonale (von Matt vive nel canton Zurigo, ha frequentato scuole a Lucerna e è nato a Stans, Canton Obwalden) del partito di Blocher (e mio).

La scaltrezza è una delle armi più antiche dell’uomo. Ha permesso a Ulisse di salvare se stesso ed i compagni dalle grinfie di Polifemo. Usare l’intrigo contro una legge ingiusta è legittimo, contro una legge giusta è un male, afferma ancora il filologo zurighese. Il problema, mi sembra, è insito nella definizione di giusto e ingiusto, che resta, poiché la distinzione è devoluta alla mente umana, un fatto puramente soggettivo.

Gianfranco Soldati

Relatore

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  • Egregio dott. Soldati, per dirla tutta c’è stato un momento in cui ho perfino pensato - leggendola - che arrivasse a citare, (per sostenere la tesi {molto ideologica} di una “sana” e… aristocratica tradizione svizzera) il famoso (ovviamente per alcuni perfino {simmetricamente} famigerato) Gonzague de Reynold…

  • Gentile concettisparsi,
    guardi che la tesi di una sana e aristocratica tradizione svizzera non è la mia, ma quella che Peter von Matt deduce dalla lettura di testi di autori svizzeri che solo in parte condivide e per altra parte contesta.
    Qualunque siano le vere tradizioni svizzeri, per me la Svizzera resta complessivamente un ottimo risultato, anche se le critiche da muovere ai suoi attuali "conduttori" sono parecchie.
    La ringrazio per avermi almeno letto, con cordiali saluti.

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