Primo piano

Buon Compleanno, Eutanasia ! – di Benedetta Galetti

2016

Si aprono i festeggiamenti indetti dall’associazione olandese che combatte, ormai da decessi [o… decenni? ndR] e con grandi successi, a favore del diritto alla morte (NVVE).

Dopo 15 anni dall’entrata in vigore (10 aprile 2001) della legge che permette di scegliere la morte, è tempo di bilanci. Questi ultimi indicano che l’attività e le battaglie politiche dell’associazione hanno portato ottimi risultati. Si è passati dalle 1882 persone morte in seguito a eutanasia nel 2002, alle 5306 nel 2014. Un incremento notevole, non c’è che dire. Questo a dimostrazione che una legislazione liberale, in materia di eutanasia, non è in grado di contenere gli abusi.

Alfine di pubblicizzare i successi e di raccogliere nuovi consensi per le prossime battaglie (stanno combattendo a favore della kill pill, una pillola mortale che tutti i pensionati potranno ritirare in farmacia il giorno del loro settantesimo compleanno – a principale beneficio delle casse della corrispettiva AVS olandese), l’Associazione ha previsto un programma serrato che, inaugurato il 13 febbraio terminerà il 20, e prevede proiezioni di film, documentari, dibattiti e work-shop per i più giovani, ancora ahimè ignari di tutti i diritti riconosciuti dal loro Stato.

Indipendentemente dal fatto che festeggiare il diritto alla morte risulta quanto meno macabro, cosa si festeggia? Di cosa essere tanto felici da indire un’intera settimana di attività? Ve lo dico io. Si festeggia il diritto (perché in Olanda essere uccisi è un diritto) di essere abbandonati e di non essere amati. Coloro che soffrono di una malattia incurabile (anche il diabete è incurabile!) hanno il diritto di chiedere di essere uccisi, in nome prima di tutto della dignità umana e poi, chiaramente, della libertà personale. Lo Stato garantisce che un medico, formato apposta, lo faccia. Magari lo stesso medico che la mattina ha cercato in tutti i modi di salvare una nonagenaria che voleva vivere, il pomeriggio uccide un ragazzo tetraplegico (perché è bene ricordare che non è necessario essere nella fase terminale della vita per poter beneficiare di questo servizio).

Peccato però che i dati che arrivano dall’Olanda testimoniano tutto, ma sicuramente non il rispetto della dignità umana e della libertà personale. Eh sì, perché riconoscere a un individuo il diritto di essere ucciso, significa ammettere che ormai non ha più valore, che in fondo lo Stato condivide il suo senso d’inutilità. E questo significa violare in maniera fragrante la dignità umana. Ma non si può nemmeno dire che la libertà personale sia rispettata. Lasciando perdere il fatto che, a mio avviso, anche colui che chiede volontariamente di essere ucciso, non per forza sta prevalendosi della sua libertà, i dati dimostrano che l’eutanasia viene praticata anche in assenza di una richiesta precisa e cosciente della persona in causa. Non apro il discorso sul Protocollo di Groningen, che prevede la possibilità per l’equipe medica di uccidere o lasciar morire un neonato affetto da determinate patologie, ma lo cito semplicemente per dire che anche in questo particolare frangente non è certo la libertà personale a essere messa di mezzo.

In Svizzera, niente settimana dell’eutanasia? Ebbene no! Siamo già abbastanza famosi così, con inglesi, francesi e tedeschi che vengono accolti qui per tornare a casa in una cassa da morto o in un urna (nel modico prezzo fissato dalle associazioni è compreso anche il servizio di spedizione).

Ciò detto, sbagliando, s’impara. Potremmo sempre indire la settimana del suicidio assistito. È vero, non abbiamo ancora 5000 suicidi da festeggiare, ma diamo tempo al tempo. Per il momento muoiono già più persone con l’aiuto delle varie associazioni Svizzere che sulle strade. Con la politica rivolta alla sicurezza stradale, il menefreghismo nei confronti degli abusi operati dalle associazioni e la totale manipolazione mediatica, presto anche noi avremmo 5000 morti da festeggiare.

Il malato, indipendentemente da qualsiasi considerazione, ha bisogno di essere accompagnato (nel vero senso della parola, cioè camminare insieme, fare un pezzo di strada insieme, sostenendo), di non essere ucciso socialmente, di sentire che cambia qualcosa per qualcuno sei lui è vivo o morto. E il desiderio di un malato, giunto il momento, è quello di morire tranquillamente, accanto ai propri cari, senza dolori, magari a casa. Questa è la vera eutanasia. Eh sì, perché quello che tutti ci siamo dimenticati è l’origine di questo termine. Eutanasia significava buona morte, nella sua dimensione interna, spirituale (ars bene moriendi) e nella sua dimensione esterna, fisica. Ma allora cos’è quella che festeggiano gli Olandesi quest’intera settimana? Quella che loro chiamano impropriamente eutanasia, è omicidio.

La buona morte esiste? Io credo di sì e credo che quella che il filosofo Bacone chiamava eutanasia interna sia precisamente la buona morte. Ma non è affidata a nessuna associazione per il diritto alla morte. Non sono loro ad occuparsene. La buona morte è quella che la medicina palliativa, con fatica, ha lo scopo di sviluppare. È per questo motivo che credo che accanto alla settimana che commemora gli omicidi commessi, ce ne dovrebbe essere perlomeno una a favore delle cure palliative.

Benedetta Galetti
Giurista e assistente di ricerca all’Università di diritto di Friburgo

Relatore

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    • no, non è una battuta; è il dio della scrittura che mi ha punita. Ho preso in giro il mio moroso per un refuso nella prima riga di un articolo, e ho commesso la stessa distrazione...

  • "Eh sì, perché riconoscere a un individuo il diritto di essere ucciso, significa ammettere che ormai non ha più valore, che in fondo lo Stato condivide il suo senso d’inutilità. E questo significa violare in maniera fragrante la dignità umana". Un'affermazione come questa dimostra che non abbiate idea di come si senta un malato terminale, dimostra che non sapete nemmeno lontanamente il significato dell'espressione "accanimento terapeutico" e dimostra un bigottismo da Medio Evo, nonché una forte ignoranza in merito al tema di cui sopra. Non è il diritto ad essere ucciso in discussione, è il diritto di risparmiarsi inutili sofferenze. Un articolo in cui si sputano sentenze come escrementi dall'ano. Purtroppo conosco la questione da vicino e mi stupisco che ancora esistano punti di vista ristretti come i vostri, esposti con la sicurezza di chi è certo di essere nel giusto. Senza nemmeno aver mai chiesto qualcosa a riguardo ad un malato terminale. Filosofeggiare su una condizione (di estrema sofferenza) che non si conosce dimostra un'immaturità preoccupante, oltre che una mancanza di umiltà estrema. Avete citato Francis Bacon, dimenticandovi questa "Chi non applica nuovi rimedi dev'essere pronto a nuovi mali; perché il tempo è il più grande degli innovatori".

    • Avete... Non sapete... Qui per la verità Lei se la prende con la gentile Autrice, nei confronti della quale potrebbe mostrarsi un po' più urbano.

      • Mi spiace deluderla, non conosco l'autrice, quindi non so se sia gentile o una mascalzona e non mi interessa approfondire. Conosco però l'argomento in questione per esperienza diretta. Quindi esprimo con forza il mio dissenso. In modo magari poco mediato, forse anche caustico e mal educato. Sarà che non ho nessuna intenzione di passare per "gentile". Buona giornata.

        • Ben detto. Nella nostra società aperta ognuno ha il diritto democratico di essere MALEDUCATO. Nessuno glielo toglierà.

          Dal canto mio opto senza esitare per la gentile Benedetta.

          OSS. Ricevere da Lei un augurio di "buona giornata"... è davvero problematico!

          • L'augurio era sincero, quanto il mio sfogo. Mi dispiace dissentire sull'"apertura" della nostra società. Se fosse così aperta come lei sostiene, non ci si scandalizzerebbe tanto quando qualcuno, usando il suo nome per intero e senza ricorrere a pseudonimi, si dice contrario con forza ad un parere diverso. Le rinnovo l'augurio. Maleducatamente.

          • Anche se porto fieramente il nome di quel famoso Londinese del 1888... persino i paracarri lo sanno chi sono!

    • “Un'affermazione come questa dimostra che non abbiate idea di come si senta un malato terminale, dimostra che non sapete nemmeno lontanamente il significato dell'espressione "accanimento terapeutico" e dimostra un bigottismo da Medio Evo, nonché una forte ignoranza in merito al tema di cui sopra. Non è il diritto ad essere ucciso in discussione, è il diritto di risparmiarsi inutili sofferenze.”

      Il primo istinto leggendo le sue parole è stato quello di risponderle che mi stupisce molto che, dato che lei è addentro nel tema, non abbia saputo cogliere il senso più ampio dell’articolo, il quale non entra in merito alla scelta, estrema e sofferta di un malato terminale, di porre fine alla propria esistenza, quanto piuttosto alla carente visione politica, societaria e non da ultimo umana sul tema.

      Magari le sono sfuggiti negli ultimi anni i nomi di Gill Pharaoh, Daniel James, Lucio Magri, dell’insegnante “Anne”, persone che nonostante non soffrissero di una malattia terminale, hanno deciso di porre fine alla propria vita grazie al
      vuoto legislativo venutosi a creare in Svizzera.
      La teoria (e la legge) impone inoltre che la persona che presta l’assistenza al suicidio si assicuri dell’irrevocabile volontà di morire della persona assistita. Il dato statistico che circa il 40 % delle persone, accedono al suicidio assistito
      entro 14 giorni dal loro primo contatto con le associazioni, mi lascia qualche
      perplessità in proposito. Il fatto che a una conferenza che aveva come ospite il presidente di un’associazione di aiuto al suicidio, egli risponda tranquillamente di no, alla domanda se non avesse mai avuto paura di aver sbagliato, motivando che aiuterebbe chiunque gliene facesse richiesta, malato o meno che sia, mi toglie qualsiasi ulteriore dubbio sul fatto che alla base ci sia un problema e che sia necessaria una riflessione approfondita sul tema.

      Quello che leggo nell’articolo è la giustificata domanda di chi, conoscendo, mi permetta, molto bene il tema, si è fermata davanti a questi fatti (quando potrebbe utilizzare il proprio tempo per fare altro) e si è domandata se non stiamo, nonostante tutto, facendo qualcosa di sbagliato. Non entra nel merito della questione, molto personale ed emotiva del malato terminale, ma piuttosto in quella riguardante la decisione se vogliamo una società nella quale chiunque possa decidere, davanti a un ostacolo, di porre liberamente fine alla propria vita con una pillola acquistabile senza ricetta in farmacia, oppure una in cui il valore della vita debba ancora essere difeso e una persona in difficoltà, aiutata.

      Peter Singer, per citare solo una tra le voci più eminenti ed estrema su questo tema, sostiene che una vita priva di coscienza, senza interazioni sociali, mentali e fisiche con altri esseri non abbia alcun valore. La sorprenderà sapere che in questa classe rientrano, secondo diversi filosofi, i neonati fino a un mese di vita.

      Visto che le piace l’innovazione, concluderò con un filosofo più recente di Bacon: “Non sono d'accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo”. In questo caso ancora più sereno a difendere questo diritto, poiché sono pienamente d’accordo con Benedetta. Ma magari, data l’espressione “Un articolo in cui si sputano sentenze come escrementi dall'ano”, si sarà perso anche quello.

      • Come avrà intuito dal mio commento, non sono una persona che tende ad "addolcire la pillola". Quando leggo qualcosa che secondo me è profondamente ingiusto, anche se ben espresso, sento il dovere di rispondere con veemenza, ben cosciente che il modo spesso è più importante del concetto espresso e altrettanto consapevole del rischio che corro nell'essere frainteso, proprio a causa del modo utilizzato per esprimermi.
        Detto questo le do ragione, non ho colto diverse parti dell'articolo non perché non le abbia lette, ma perché la questione politica riguardo alla materia in discussione ha sempre dato voce a diverse parti e (quasi mai) ascoltato chi davvero si trova in un letto d'ospedale con le piaghe da decubito, stanco di questa esistenza.
        La ringrazio per aver citato Evelyn Beatrice Hall, poiché è una scrittrice che ammiro, anche se molto spesso quella frase viene erroneamente attribuita a Voltaire, il quale non l'ha mai menzionata nei suoi scritti. Io non ho nulla contro la libertà di espressione, anzi, se non fossi per la libertà non mi sarei espresso in maniera così cruda. Sempre perché sostengo la libertà, anche di scelta, rimango convinto che bisognerebbe superare alcuni tabù legati alla morte e accettare il desiderio di farla finita senza troppi giudizi morali. Poiché, come Voltaire insegnava, vi è un'enorme differenza tra la morale e l'etica.

    • Caro Signor Scanziani,
      la ringrazio per il commento, poiché mi offre l'occasione di chiarire un concetto molto importante. L'eutanasia (attiva e diretta, perché di questo si sta parlando) ci viene presentata come l'alternativa all'accanimento terapeutico. E questo è precisamente l'argomento più sviluppato dai sostenitori, nonché appunto dalle varie associazioni. Ma così non è. Tra l'eutanasia e l'accanimento c'è un abisso. Un conto è accanirmi su una persona che ha il diritto sacrosanto di morire, con i tempi voluti dalla natura (o da Dio, per chi ci crede) e un conto è non ucciderla. Smettere di fare esami su esami e infilare aghi in un braccio ormai privo di reazioni non è eutanasia, ma è semplicemente rispetto per il diritto alla vita e la dignità della persona in questione. Ma qui appunto non si parla di questo. L'ex presidente della maggiore associazione inglese per il diritto alla morte rivela che effettivamente non ha più senso, oggi come oggi, parlare del diritto a una morte dignitosa. Questo perché, quando la maggior parte delle associazioni sono nate (anni '70) si abusava delle possibilità offerte dalla medicina e ci si accaniva dunque sui pazienti, mentre oggi, grazie al cielo, non è più così. Non la contraddirò se mi dirà che l'ostinazione irragionevole esiste ancora, perché sfortunatamente ha ragione lei. Ciò che voglio dire io è che l'alternativa non è comunque l'eutanasia.
      Sa perché giudico, in una maniera così decisa? Prima di tutto perché mi hanno insegnato a farlo (come spero sia stato insegnato a tutti) e in secondo luogo perché non voglio vivere in uno Stato nel quale la vita del singolo ha valore solo se è sano, solo se è in forze. Giudico perché un'associazione, con la pretesa di difendere i diritti negati, s'intasca legalmente 10'000 franchi a morte. Giudico perché non essendoci una legislazione, ognuno fa un po' come gli pare e gli unici a perdere qualcosa sono i malati e le loro famiglie.
      Le consiglio, a lei e a tutti quelli che vorranno investire un'ora del loro prezioso tempo, di guardare il documentario realizzato con il sostegno di EXIT, dedicato appunto all'attività d'accompagnamento alla morte. Non mi vergogno a dirle che mi sono commossa e arrabbiata nel vederlo. Perché le persone che si rivolgono a loro spesso sono semplicemente desiderose di essere amate e anche, e forse soprattutto, perché gli accompagnatori si paragonano a preti o missionari, a salvatori. Si sentono di avere tra le loro mani la vita e la morte. Ma nessuno (o solo Dio, per i cattolici) ha in mano qualcosa.

      • Cara Signora Galetti,
        la ringrazio per la risposta, sempre educata nei modi a differenza del mio commento al suo articolo. Senza tirare in ballo il Dio dei cattolici, e nessun altro Dio, le posso dire che concordo in pieno sul disgusto che prova legato al lucro che riguarda l'eutanasia. Nonostante mi disgusti, mi stupisce poco poiché lucro e profitto costituiscono la base della società in cui viviamo, quindi non mi stupisco della loro presenza costante e non mi stupisce che lo "Stato" abbia cittadini di classe A e cittadini di classe B. È sempre stato così dalla storia dell'uomo, prima ancora che esistessero dei confini nazionali, prima che esistessero le nazioni. Ammiro che lei lotti per il cambiamento, ma (probabilmente a differenza sua) non ho nessuna fiducia nel genere umano, quindi non mi stupisco dell'enormità degli interessi economici in ballo.
        Le "associazioni" e i politici legati a doppio filo con le industrie farmaceutiche non sono un mistero né in Svizzera né altrove. Come ho scritto, ho vissuto personalmente l'esperienza di vedere a dei miei cari (anche parenti) negata la libertà di scelta in favore di cure palliative, che nulla facevano se non prolungare la loro sofferenza. Quando queste cure non vi erano più e si sceglieva una morte "naturale", le sofferenze erano anche maggiori. Forse la differenza nei nostri punti di vista sta nel fatto che per me la decisione di morire non comportava (nei casi a cui ho assistito) ad una scelta dettata dalla tristezza di non sentirsi più parte di una società, ma semplicemente dalla voglia di farla finita. Rimango quindi convinto che sia un diritto che va concesso a chi lo richiede.
        So che nel mio commento ho usato toni aggressivi e polemici e non me ne pento poiché il tema tocca un nervo scoperto per me. Non mi scuserò dei toni che ho usato, ma la ringrazio di aver compreso che non sono rivolti a lei come persona, ma all'idea che promuove e all'utilizzo della parola omicidio, che trovo fuori luogo e fuorviante rispetto alle reali condizioni di un malato terminale. Io guarderò il documentario che mi ha suggerito di guardare, mi permetta di suggerirle di parlare con un malato terminale la cui volontà non è più quella di continuare a soffrire. Senta le sue ragioni, ascolti il suo punto di vista, capirà che la voglia di andarsene non è per nulla legata alla società, ma alla sofferenza fisica e interiore che accompagna l'esistenza di chi sa di avere i giorni contati.
        La ringrazio della sua pacatezza che, come vede, non fa parte purtroppo del mio carattere, e sono felice di aver avuto la possibilità di confrontarmi con lei direttamente.

        • Caro Sig. Scanziani, mi sono comportata educatamente solo perché nei mesi dedicati a sviluppare questo tema, nella mia testa aleggiava immancabilmente la figura di mio padre morente. E per questo motivo, posso capire che si tratta di temi che non sono temi, ma sono fatti, visi, situazioni che hanno toccato prima di tutto persone per le quali avremmo dato tutto, ma purtroppo non potevamo metterci al loro posto.
          Io lotterò fino allo sfinimento per la cosa più importante che abbiamo, la libertà di scegliere di vivere e quella di essere guardati sempre e comunque come essere degni di vivere, e di vivere, quando è giusto il momento, anche la nostra morte.
          Purtroppo, le cure palliative non sono ancora particolarmente sviluppate...non lo sono a losanna, pensi lei qui da noi. Il Prof universitario Borasio ha dovuto combattere con le unghie e con i denti per convincere medici e universitari che fosse necessario creare una cattedra di cure palliative (svizzero emigrato in Germania perché qui di cure palliative non ne volevano sentir parlare). Non 100 anni fa, ma qualche anno fa. Questo per dirle che è la mentalità che bisogna cambiare. I medici devono accettare il fatto che possono adempiere degnamente la loro missione, anche non salvando vite, ma accompagnandole alla morte.
          Come rileva lei, non sempre le cure palliative funzionano, ma d'altra parte non si tratta nemmeno di un kit pronto all'uso. Il fatto che non funzionino sempre e per tutti, non significa che non ci si debba impegnare nel loro pieno sviluppo.
          Un mio carissimo amico ieri mi ha chiesto se davvero penso che nessuna scelta umana possa essere liberamente espressa in favore della morte. Gli ho risposto che credo di sì, credo sia possibile. Ma credo anche che 5000 persone non possano tutte trovarsi in tale situazione.
          In ultimo, credo ci sia un'incredibile differenza a decidere di non condannare un figlio che ha deciso alleviare il dolore di un proprio genitore e quella di obliterare il dossier di un malato ucciso da un medico.
          Farò tesoro del suo consiglio. Mi sento profondamente non all'altezza di affrontare un tale incontro, ma, mi creda, farò di tutto perché ciò avvenga.
          Concludo nel dirle che secondo me non stiamo dicendo due cose poi tanto diverse. Entrambi stiamo dicendo che l'essere umano non può essere trattato come carne da macello.
          Una buona giornata.

          • Un'ultima cosa: si faccia stupire, si scandalizzi, perché l'essere umano non si può abituare allo schifo. Spero di poter scrivere presto sulle associazioni che esercitano in Svizzera. Il tono della sua prima risposta mi sarà utile, perché, allora sì, li non ci possono essere mezze parole o parole non dette.

          • Purtroppo la mia esperienza mi ha reso cinico, non lo nego. Come vede mi scandalizzo eccome e non ho paura di esprimere le mie idee, la grande differenza, ripeto, sta nel fatto che non mi aspetto nessun cambiamento positivo poiché ritengo che l'essere umano ha lo schifo che egli stesso crea ogni giorno. Come le ho scritto su facebook la ringrazio per la sua maturità, di molto superiore alla mia come si vede nella mia prima forma d'espressione.
            Il fatto che mi sia abituato allo schifo non significa che lo condoni. La nostra è una società curiosa, sono tutti contenti se sei onesto, tranne quando sei onesto con loro. A quel punto diventi uno stronzo.

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