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Intervista al Generale Vannacci | di Maurizio Taiana

M: Generale Vannacci, ha dedicato buona parte della sua vita a servire l’Italia sia in patria che in missioni all’estero. In Somalia ha combattuto contro signori della guerra, ha liberato suoi connazionali ostaggi in Costa d’Avorio, Ha presenziato in quelle polveriere che erano (e sono) l’Iraq e l’Afghanistan, per citarne alcune. Quando rischiava la vita per salvare cittadini italiani, quando era sul campo a servire la sua bandiera in mezzo alle sabbie di mezzo mondo, è mai stato messa in discussione la sua buona fede? 

V: No assolutamente. Io ho giurato fedeltà alla patria. Ho giurato di servirla anche a costo della mia vita ed ho agito sempre con un grande senso di responsabilità. Non ho mai avuto dubbi su quello che stavo facendo e devo dire che neanche in Italia mi sono sentito contestare niente. Chiaro poi che le missioni così dette di pace svolte dall’Italia all’estero hanno avuto differente approvazione del pubblico a seconda della sensibilità e dell’orientamento politico. Resto convinto che in genere non sia mai stata messo in dubbio la buona fede degli appartenenti alle forze armate che hanno servito per l’Italia per difendere gli interessi primari della nazione.

M: Il processo alle idee in cui è incappato dopo aver dato alle stampe il suo “Il Mondo al contrario” ad occhio esterno sembra una montatura prettamente politica, ideologica con cui una certa area vuole attaccarne un’altra, e poco importa se quello che è scritto nelle sue pagine è condivisibile o meno, basta utilizzare delle parole “trigger” ed automaticamente il buonista od il malizioso si attivano. Lei che idea si è fatto di questa bufera? 

V: Guardi, il libro è stato premonitore. Descrivo infatti questi meccanismi: ci sono delle tematiche che sono diventate estremamente sensibili su cui è stata imposta una visione univoca, imponendo anche un veto alla critica. Non appena si toccano queste tematiche, qualsiasi interlocutore viene delegittimato, gli viene tolta la dignità, viene dichiarato fobico, quindi deve essere curato, rieducato perché malato mentale. Lo si censura, e visto che è un malato mentale le sue idee non vanno neanche minimamente prese in considerazione.  Questa teoria che io illustro abbastanza specificatamente si è dimostrata veritiera proprio grazie alla pubblicazione dello scritto. Alcuni giornali non hanno neanche letto il testo, ma hanno misurato delle frasi che potessero essere strumentalizzate conducendo una campagna velenosissima, quella più carica d’odio e di discriminazione nei confronti del sottoscritto per farmi apparire come un mostro. Un orco. Peccato per loro che questa volta gli è andata male. Gli è andata male per due motivi: il primo è che non ho mai fatto un passo in dietro; quindi, hanno trovato una resistenza più dura di quella che si aspettavano. Il secondo motivo è che qualcuno ha incominciato a pensare che la libertà d’espressione è uno dei principi cardini sui quali si basano le democrazie. La libertà d’espressione vi è quando le idee non sono sottoposte alle leggi. Le leggi imbrigliano le azioni. Ma in un paese democratico non può esistere una legge che vieti un’idea. È una cosa assurda, delirante. Nelle dittature esistono queste macchinazioni, ma non nei paesi democratici. Io non ne conosco uno dove venga vietato di pensare a qualcosa, nei limiti di legge. Ed il mio libro, escludo categoricamente, vi sia propaganda d’odio. Finalmente, la libertà d’espressione è tornata al centro della discussione, in Italia come all’estero.

M: Prendendo alcuni temi del suo scritto, lei in soldoni chiede una tutela maggiore nei confronti delle vittime aggredite che reagiscono per autodifesa, denuncia il fatto che l’autoctono è sempre l’ultima ruota del carro in un meccanismo di soccorso che premia tutti meno i connazionali e via discorrendo. Ora, non mi fraintenda: sono ben lieto del successo editoriale del suo scritto, ma le idee esposte in fin dei conti non sono già assunte da una buona parte della società (uso un termine brutto: “dei concetti ovvi”)?  

V: Nel libro ho espresso alcuni concetti sulla legittima difesa e della società multiculturale che sono effettivamente ovvi. Sulla legittima difesa, in quanto professionista che ha usato tali tecniche per altri fini rispetto al delitto, posso dire che l’aggressore utilizza delle tecniche per fare in modo che sia sempre in vantaggio sulla vittima. La legittima difesa [in Italia] è basata su due concetti fondamentali: la necessità (se puoi scappare scappa sennò difenditi) e questo legittima l’uso della forza per rispondere all’aggressione. Il secondo parametro è quello della proporzionalità. Io devo difendermi con una reazione che sia proporzionale all’aggressione. È difficile però per un cittadino in una situazione estrema ponderare questa proporzionalità perché come ribadisco nel libro, siccome l’aggressore è colui che ha l’iniziativa, esso è enormemente in vantaggio; quindi, l’aggredito non può cercare in tale condizione di instaurare un qualsivoglia parametro di proporzionalità. Come fa a sapere se l’aggressore è armato e se non cela armi?  Ecco quindi che la proporzionalità, nella mia tesi è sempre a favore dell’aggredito che deve rispondere istantaneamente ad una minaccia.  Sulle società multietniche ribadisco che sia ovvio il fatto che noi viviamo in società che tendano ad integrare popolazioni diverse Io credo che l’ospite debba integrarsi adattandosi ad usi costumi e principi culturali della società che lo ospita.  Le società si stringono attorno a questi principi culturali che fungono da collante. Se non ci fossero, o se venissero a mancare, la società si disgrega. Se colui che viene ospitato ripudia il substrato culturale autoctono e pretende che la società ospitante si pieghi ai suoi principi, questo non è un ospite, ma viene percepito come un invasore. America ed india sono due esempi di società in cui vi è uno scontro palese tra gruppi etnici, per restare su questo presupposto. Cosa dimostra ciò? La società multietnica è un risultato a cui ci siamo dovuti adattare, ma che non l’abbiamo voluta in maniera deliberata e a quanto si evince sono più problematiche di quelle “monoetniche”. Almeno, questa è una mia constatazione personale. 

M: Una delle parti più controverse del suo scritto è forse relativa agli attacchi verso le “Americanate” come la teoria gender, woke e tutte queste devianze d’importazione. Ricordandoci che lei ha combattuto per l’Italia con la NATO (quindi certamente non la si può accusare di essere antioccidentale), è corretto asserire che il suo è un grido d’allarme con cui ci rende attenti verso il tramonto della cultura occidentale, inseguendo tali mode?  

V: Si. L’occidente rischia questo abbandonando la propria identità volente o nolente basata su 2000 anni di cristianesimo – e lo dico da non praticante. Percepisco questa identità in Italia solo camminando, dove ogni tre case vi è una cappella, una chiesa od un monumento che testimonia questa identità. Non bisogna andare in chiesa, non bisogna sentire il prete per percepire questo substrato culturale. Altro esempio: ogni mattina si sentono le campane. Evidentemente, questo è un fatto culturale ed è giusto tenerlo in considerazione quale caratteristica che ha permeato la nostra gente per due millenni. La stessa cosa si può dire per l’Europa. È cresciuta con il cristianesimo nelle sue varie accettazioni, così come tante altre caratteristiche quali le idee liberiste derivate dall’illuminismo, le varie rivoluzioni scientifiche dal rinascimento in poi. Il fatto di voler far rinunciare a tutti i costi, e non si sa bene neanche il perché, a tutti questi simboli identitari in nome di una presunta inclusività ideale falsa, fasulla, ipocrita, secondo me ci pone in una posizione di assoluta debolezza e decadenza. Invito ad essere cauti e prudenti. Poi si può discutere sui temi, ma questo non vuol dire che li debba accettare. Io rivendico che i miei simboli, baluardi, pilastri identitari semplicemente non vengano cancellati in nome di questa idealistica inclusività.

M: Vorrei portarla ad un fatto di cronaca locale: il nostro stato (qui in Ticino, Svizzera) ha appena dato alle stampe un’agenda scolastica per i bambini (dai 9 anni) che verrà distribuita gratuitamente. Le nostre autorità politiche (quelle preposte a tale funzione) hanno inserito due pagine di dottrina gender, dove una ragazza a colpi di forbice si attacca e stacca il cartellino (come fosse un manichino) di donna per scegliere quello che più le piace. Come commenta la notizia? Lei avrebbe una proposta alternativa per quelle due pagine?

V: Le dico, ho le mie idee. Non sono molto favorevole a queste iniziative. Credo siano teorie legittime, però ancora molto in discussione. L’educazione sessuale, di genere sono argomenti estremamente importanti per il quale non si può imporre un pensiero unico. Ritengo che le famiglie debbano istruire in modo preponderante e prevalente i propri figli in base alle proprie sensibilità. Quindi a mio avviso, di queste problematiche non bisognerebbe parlarne nelle scuole se non sia un tema universalmente condiviso come non sembra il caso. Fintanto che non si arriverà ad una condivisione quasi totale di queste tematiche l’istituzione dovrebbe fare un passo in dietro e lasciare questo ruolo alle famiglie. Ribadisco che questi sono pareri miei personali quale cittadino.  Si potrebbe valutare invece un corso facoltativo, dove i genitori decidono se far trattare questi moduli o meno ai loro figli. Io non sono contrario di principio ad una modalità simile, però capisco che vi siano sentimenti contrastanti sul tema. Quindi ecco, invece che imporre questi temi, renderli facoltativi con accompagnamento adeguato potrebbe fare felice tutte le parti. 

M: Ultime battute. Possiamo aiutarla? Vuole lanciare un messaggio ai nostri lettori?

V: Ringrazio tutti quelli si sono sentiti coinvolti in questa tematica quale sostenitore della libertà d’espressione; sono molto contento di tutto il supporto, la vicinanza e la solidarietà che ho ricevuto da tutti i cittadini, italiani ed esteri in questa attività. Grazie!

M.P.T – riproduzione integrale possibile previo consenso.

Relatore

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