Spassoso come Pulp Fiction di Tarantino, ma senza sangue, a parte un pollice maciullato visto da lontano. Il regista mi ha confessato che la mancanza di sangue è voluta. Hanno girato il film in un giorno! Non c’era tempo per creare una parvenza credibile di sangue-ketchup che, mi dice, é molto complessa. Oltre che difficile da pulire per continuare poi le riprese, senza sangue, nello stesso giorno.
E il pubblico della stampa aumenta ancora. Per poi essere un po’ freddino con gli applausi alla fine. Il regista posa uno sguardo intelligentissimo, intenso e, a volte, sconfortato sulla nostra società. Si parte con la scena della decapitazione di un nobile con la pipa in bocca, tenuta caparbiamente tra i denti anche sul patibolo, ai tempi della rivoluzione francese. E si capisce subito che la rivoluzione è anche il terrore di Marat e non solo le buone idee di Robespierre. Qui inizia la nostra storia moderna. E si continua con scene di una guerra “scema” (l’Ucraina ?) dove i soldati muoiono in modo stupido, come lo è sempre in guerra, per ideali che poi si trasformano in un accaparrarsi di monili d’oro, un cesso, tappeti… accatastati su un carro armato, simbolo della cosiddetta “vittoria” sul nemico. E poi siamo nella Parigi di oggi. La realtà vista così come è, senza commenti, senza prese di posizione conclamate. Ma si capisce cosa vuol significare lo sguardo implacabile e quasi documentarista del regista: nobili decaduti diventati clochards, borghesi allo shopping di cose inutili, zingari con i loro campi distrutti dalla polizia, i loro “stracci” confiscati e messi in discarica, immigrati qua e là. Tutti molto dignitosi e fieri di essere ciò che rappresentano, che la vita gli fa vivere. E sopra di loro, il capo della polizia, con fotocamere e telecamere alla finestra, a controllare tutto. E’ lo spaccato puro e semplice di ciò che viviamo al quotidiano. Si svolgono non-storie che illustrano il nostro vivere – mal di vivere o benessere? – . Un rullo compressore passa pesantemente schiacciando la vita. Anche la poesia entra nella storia, e la musica, naturalmente. Una porta quasi invisibile su un muro grigio-sporco. Si apre e si entra in un giardino verde, fiorito, con le oche, i gabbiani, con l’acqua pura e una signora sorridente e accogliente che dà il benvenuto al visitatore. Poi, verso la fine del film, questo giardino rigoglioso e vitale andrà in abbandono e deperimento, vorrà dire qualcosa…
Le immagini mi hanno ipnotizzato e l’ho apprezzato moltissimo. Ho guardato con simpatia Ghezzi (quello di “Fuori Orario” su RAI 3) che impersona un nobile castellano senza risorse, il cui castello viene considerato monumento protetto. Non ha i mezzi per restaurarlo e viene “sfrattato”. Lui e la sua famiglia, compresa la figlia un po’ puttana per “necessità”: usa i soldi per i vestiti di costose boutique. Film intelligente ma non intellettuale (nel senso del pesante della cultura), piacevole e che fa ragionare e mette in questione il nostro evolverci dalla dopo-rivoluzione-francese, passando per la lotta di classe e la democrazia, le conquiste, gli errori, le ideologie, qui da noi, in Europa.
E qui siamo tra i ragazzi adolescenti, dai 16 ai 18, direi. Una compagnia affiatata unita dalla passione per lo skate-board. Evoluzioni accompagnate da musica molto raffinata e curata. Il protagonista porta al collo un’impronta in plastica di denti da vampiro, canini ben sviluppati. E si capisce subito perché: la sua attività è quella di procurare “vacche da mungere”, come dice, per definire chi dà il proprio sangue a pagamento all’ambulanza gestita da un suo buon conoscente e “complice.” Complice perchè lo induce a procurargli “donatori a pagamento” per un mercato nero che, apparentemente, è in piena espansione. Lui e gli amici vivono di questo, facendosi succhiare il sangue. La passione per lo skate, per la boxe, per la compagnia tra uomini si concretizza con immagini di tenera intimità tra il giovane Miguel ed il suo giovane amico Johnny. Amici di infanzia e amanti. E’ l’amore che fa girare il mondo, loro hanno amplificato la loro amicizia in amore fisico: passione sottolineata dal regista con riprese colorate di rosso-passione, appunto. E c’è anche l’amore per le loro mamme e l’affetto protettivo ai compagni skaters.
Il regista è giovane e si insinua facilmente nell’ambiente giovanile creativo e poetico di questi skaters atletici, equilibristi e instancabili. Ma anche ascoltatori delle poesie/rap di uno di loro, e “inventori” di modi di dire assolutamente ficcanti: dalle diverse modalità di tenere le dita per inalare la colla (mi ricordo la spiegazione della posizione “Nike” con le dita a forma del marchio e, aggiunge il ragazzo, mimando lo “sniffo”: – Just do it! – , come nella pubblicità…) alla loro definizione dei soldi, non franchi, euro o pesos ma Tubees, definendo il loro valore sulla base del costo dei files di musica da scaricare….
Il finale, molto intenso, mostra Miguel, separato dagli avvenimenti della vita dal “suo” Johnny, che cammina solo in mezzo alla campagna. Improvvisamente appare Johnny a cavalcioni su di lui. Realtà o fontasia di Miguel? Il regista decide di lasciare decidere a noi se la coppia è reale o ideale.
Desio Rivera
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