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Shambhala – Amore, spiritualità e poligamia in Tibet.

Recensione a cura di Desio Rivera

Piazza Grande

Shambhala 

v.o. Tibetano/Nepalese, sottotitoli inglese e francese.

Eh si! Anche qui niente sottotitoli in italiano!

Sei anni dopo la sua partecipazione all’Open Doors Hub di Locarno, Min Bahadur Bham è tornato sulla Riviera del Ticino per presentare il suo ultimo lungometraggio, in Piazza Grande. Il sontuoso Shambhala è ambientato in un villaggio arroccato in alto sull’Himalaya dove la poliandria – in cui una donna prende più mariti – è la norma.

Sontuoso lo è: visioni del Tibet, delle sue montagne, della gente che vi abita e pratica la pastorizia. Un affresco che vi farà sentire (e con la canicola di questi giorni ci vuole) il profumo della neve, la frescura delle acque sorgive dai ghiacciai, i fiori delicati tra le rocce. Sarete in cima alle altissime montagne.

Per godervelo, se fate come me, consideratevi un turista in vacanza e approfittate del viaggio, che, nella realtà, dovreste fare a piedi, godendo di panorami inusuali (niente a che fare con le nostre montagne verdi di abeti e tanta erba). Così è molto più comodo. E non lascerete rifiuti.

Liberate la mente e adagiatevi tranquillamente in immagini che, senza fretta, percorrono lo schermo. 

Sopratutto, mente libera sulle nostre varie concezioni di famiglia tradizionale. Qui è un’altra concezione e non fate paragoni. Vi occuperebbe la mente con pensieri che vi chiuderebbero la mente sulle bellezze e la storia d’amore che vale la pena di assorbire senza pregiudizi e preconcetti, quelli relativi al nostro “normale” quotidiano della nostra società occidentale.

E, scopriamo, che anche in altri concetti di matrimonio, qui è la donna che sceglie il marito, uno o anche più di uno, i sentimenti amorosi, di amicizia, di possibili conflitti, la dignità, il rispetto, la convivenza sono aspetti universali. 

La scena iniziale è il matrimonio di Pema, la protagonista. Si sposa con tre fratelli, uno dei quali poco più di un bambino. Ecco, già pensate male, pedofilia o strane cose. No, liberate la mente. Il concetto alla base di questa vita matrimoniale è simile, ma non uguale, al nostro della famiglia allargata. Lei ha scelto il marito perché è lui che ama. Ma lui e i suoi fratelli sono orfani. Quindi l’inclusione nella vita di Pema, nella famiglia che lei si vuole creare, comprende tutti e tre. Ed è normale. Al fratellino farà da madre ma lui è anche suo marito. 

Proprio a causa del fratellino che non ha voglia di andare a scuola Pema,  il cui marito è assente per l’annuale mercato, mercato basato sul baratto, chiede all’insegnante di fargli ripetizioni a domicilio. L’insegnante è bravo ma, avendo esagerato con il liquore dopo il pasto, diventa languido con Pema. Il mattino dopo lo vediamo addormentato e ubriaco fradicio, sdraiato su una coperta stesa davanti alla porta di entrata di Pema e i suoi mariti assenti. A parte il piccolino, addormentato nella sua cameretta.

E, anche lì, tra le montagne tibetane, in ambienti e modi di vita decisamente molto diversi dai nostri, il pettegolezzo c’è.

Giunge alle orecchie di Tashi e gli insinua il dubbio di non essere il padre del figlio che Dana attende. E sparisce sulla rotta comerciale verso Lhasa, durante il suo viaggio ritorno.

E lei, accompagnata dall’altro marito, il fratello monaco Karma, intraprende un viaggio per ritrovarlo. In una terra spietatamente selvaggia che diventa un percorso di scoperta di sé e di liberazione. 

La spiritualità buddista, i suoi riti, il suo fascino, ci accompagna per tutto questo delicato percorso lassù, vicino al cielo. 

Si, vederlo è, anche, una bella vacanza in luoghi affascinanti e bellissimi. Ci si va piano, piano, a dorso di cavallo. Lasciatevi andare, costa solo il biglietto di entrata…

Relatore

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