È l’incipit di un articolo del blog di Claudio Landi. Un sito molto specializzato sull’Asia che seguo con attenzione.
ATTENZIONE. Il pezzo è stato scritto prima dell’8 luglio 2022 (morte di Abe)
Sostiene che le mosse di Trump sui dazi alla Cina stanno creando molta tensione nei paesi limitrofi. A causa degli atteggiamenti ballerini della politica estera dell’amministrazione di Trump, le posizioni dei paesi che gravitano in Estremo Oriente si stanno sempre più orientando verso scelte strategiche “pro o contro” la Cina.
La politica cinese sostiene programmi militari massicci ed è molto assertiva nell’affermare la sua predominanza sui vari territori contesi fra gli altri con Giappone, Corea, Filippine. Di fatto costringe i governi di questi paesi a prendere una decisione:
oppure,
La politica di Donald accelera i kowtow ai danni della neutralità. Le tensioni che crea con Pechino per la battaglia doganale, sulle restrizioni tecnologiche, creano molta insicurezza. Alla fine, tutti hanno capito che il grande scontro geopolitico dei prossimi 20 anni sarà appunto quello fra la Cina e Washington. Nessuno potrà rinunciare a esercitare la sua egemonia in quello che sarà il centro di gravità dell’economia capitalistica mondiale del 21mo secolo.
Una delle condizioni che, inter alia, la Nord Corea richiederebbe in cambio della denuclearizzazione, è la conclusione di un trattato di pace, ma anche, s’intende, il ritiro del contingente USA nella Corea del Sud.Facile prevedere lo shock in Estremo Oriente se le trattative con il “rocket man” di Pyongyang dovessero concludersi con il ritiro dei 30 mila marines che stazionano in Corea del Sud.
Il Giappone è nettamente contrario a tale mossa che potrebbe minare la stabilità militare che dura da 75 anni: dall’armistizio fra le due Coree dopo una sanguinosa guerra civile nel 1953.
È evidente che Pechino sia rapido ad approfittare delle debolezze di Trump. Il 28 di questo mese infatti, il primo ministro giapponese Shinzo Abe, sarà a Pechino per discutere anche di RCEP,( la partnership economica regionale dell’Asia). Un progetto cinese che intende aggregare in una rete commerciale i paesi limitrofi.
Se Trump non avesse cancellato il suo impegno nel TPP (Trans Pacific Partnership), iniziativa regionale in chiave anticinese, il Giappone sarebbe rimasto sulle sue. Ma la incomprensibile defaillance USA ha spiazzato Abe che si era molto impegnato a smussare gli angoli a casa sua per accomodare Washington.
Il riavvicinamento del Giappone a Pechino, non significherà sicuramente una conversione a 180 gradi; non ancora perlomeno. Ma è certamente indicativo che, attesa l’imprevedibilità della politica estera americana, si rendano necessarie “polizze di assicurazione”. Ciò, per ora, “non elimina minimamente la forte rivalità strategica fra Cina e Giappone”. L’avversione e l’inimicizia fra di loro, è storia vecchia e profonda .
La prima grande operazione militare nipponica per sottomettere la Cina (kara iri) risale agli ultimi decenni del 1500. E come potranno i cinesi dimenticare i massacri dell’ultima lunga guerra giocata sul territorio cinese? E l’eccidio di Nanchino? Come i delitti del nazismo, occorreranno secoli prima che si possa dimenticare.
Ma la politica è la politica: date le incertezze americane, il Giappone non può che cercare un riavvicinamento alla Cina. Anche perché senza l’appoggio americano (l’ombrello atomico), il Giappone è un paese indifendibile. Privo di fonti di energia e per ora al lumicino nel nucleare dopo Fukushima.
Per fermare il Giappone sarebbe sufficiente bloccare lo stretto di Malacca ; dove passano centinaia di petroliere che portano LNG e petrolio al Sol Levante.E il Giappone non potrebbe che “alzare le braccia”.
È vero che il futuro, ma ormai anche il presente dell’Estremo Oriente come base centrale dell’economia mondiale. è un’opportunità reale e formidabile; ma tutte le cose preziose, sono ambite dai forti…. E la Cina lo è.
Vittorio Volpi
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