Nel cuore del XXI secolo, la tecnologia continua a superare i limiti imposti dalla natura, sfidando il concetto stesso di umano. L’ultima creazione della startup Clone è un inquietante esempio di questa deriva: un robot così avanzato da sembrare un uomo sintetico, con pelle artificiale, espressioni facciali realistiche e la capacità di interagire con il mondo con una fluidità quasi spaventosa. Un trionfo dell’ingegneria? Forse. O piuttosto un monito sull’eterna arroganza dell’uomo, che sfida gli dèi della natura per sostituirsi ad essi, inseguendo un progresso sterile e insensato.
Più di due secoli fa, Mary Shelley aveva già immaginato l’incubo che stiamo vivendo oggi. Victor Frankenstein, lo scienziato folle e ambizioso, non si accontenta della vita così com’è: vuole creare l’uomo con le proprie mani, costruire la vita laddove solo la natura ha diritto di plasmarla. Ma il suo esperimento fallisce: la sua creatura non è un dio, bensì un mostro, un essere condannato a soffrire e a portare sofferenza. È il simbolo della hybris, l’arroganza di chi osa spingersi oltre i limiti del creato, ignorando le conseguenze delle proprie azioni.
Oggi, come allora, scienziati e imprenditori si vantano delle loro nuove “creazioni”, senza chiedersi quale sarà il prezzo da pagare. Il robot di Clone, con il suo volto perfetto e i suoi movimenti inquietanti, non è che l’ennesima ripetizione di questo tragico copione. Davvero vogliamo un mondo in cui uomini artificiali camminano tra di noi, senza anima, senza coscienza, senza vita?
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Mentre miliardi vengono investiti nella ricerca su androidi iperrealistici, le persone reali soffrono. La cattiva alimentazione che genera un epidemia di cancro, la depressione, il suicidio, l’infertilità e molte altre patologie date dalla modernità continuano ad essercie i governi non fanno nulla per promuovere davvero una vita sana. La tecnologia, lungi dal risolvere i problemi dell’umanità, si è trasformata in un costoso spettacolo di vanità, mentre la sanità pubblica a causa dello stile di vita malsano non fa che peggiorare.
Cosa ce ne facciamo di un robot dall’aspetto umano quando gli esseri umani veri vengono ignorati, sfruttati, dimenticati?
Forse è giunto il momento di chiederci: a chi giova questo progresso? Non certo a chi lotta ogni giorno per la sopravvivenza, per curarsi, per vivere dignitosamente. La scienza senza coscienza è un’arma a doppio taglio: se non mettiamo al centro l’uomo, rischiamo di trovarci in un mondo in cui le macchine saranno sempre più umane e gli uomini sempre più soli.
Il sogno di Victor Frankenstein si è già trasformato in incubo una volta. Saremo così ciechi da ripeterne l’errore?
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