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Come la mettiamo con Trump ?

Mancandoci la potenza militare (e non solo) vediamo di trattare. A questo punto, per uscirne al meglio, dobbiamo avere le idee chiare su alcuni punti.Chi è Trump? Un arrogante, volubile, prepotente uomo d’affari, senza però dimenticare le sue qualità di comunicatore e attore. Abile quando calca la scena, esemplare il modo con il quale ha reagito all’attentato. Convinto di aver la soluzione per tutto, sa parlare alla pancia della gente. E alla gente la pancia, le difficoltà dell’esistenza, preoccupa e interessa. È riuscito a farsi rieleggere dopo quattro difficili anni di processi e ostacoli. I suoi difetti non li nasconde, se ne è vantato già negli anni ’80 in un libro.

Come sta l’America? Non bene, né geopoliticamente, né finanziariamente e ancora peggio quale società divisa. La frattura tra il mondo intellettuale della East Coast e californiano, incline a bizzarrie wokistiche, e il resto degli USA, del mondo del lavoro che soffre della deindustrializzazione è profonda.

Geopoliticamente la Pax Americana (e relativa Lex) iniziata alla fine dell’ultima guerra mondiale (1945) è giunta al termine.Finanziariamente gli USA sono un Paese fra i più indebitati del mondo. Il debito pubblico assomma a 34.000 miliardi di dollari (oltre il 130% del PIL) prevalentemente in mano estera (compresa la Cina con 670 miliardi) e gli USA contano sugli acquirenti delle proprie obbligazioni per l’equilibrio finanziario. Si avvantaggiano di alcuni privilegi, in modo particolare quello costituito dal fatto che il dollaro USA è moneta di riserva del mondo.Il Paese negli scorsi decenni si è deindustrializzato perdendo migliaia di fabbriche con relativi posti di lavoro, non compensati con lo sviluppo del finanziario e nella tecnologia.

Cosa vogliono gli USA di Trump? Nella confusione dell’economia trumpiana si intravvedono due componenti prevalenti: l’idea della reindustrializzazione del Paese e la convinzione che la strada migliore per ottenerla siano i dazi. Non va dimenticato che gli americani hanno sempre avuto un debole per i dazi. Nella guerra di secessione tra gli Stati del Nord e quelli del Sud si enfatizza la lotta contro la schiavitù, dimenticando l’importante motivazione derivante dallo scontro tra un Nord che voleva dazi per proteggere l’industria nascente ed un Sud esportatore, specie di cotone, che si opponeva.

Purtroppo si rischia con le politiche dei dazi di tornare a forme di mercantilismo superato e peggio ancora di guerre commerciali. Ma potrebbe anche essere che il vero scopo delle manovre di Trump, con misure annunciate e annullate a ripetizione, sia di confondere le idee. Gli USA sono messi male finanziariamente e per anni gli americani si sono abituati a vivere al di sopra dei loro mezzi grazie ai finanziamenti del resto del mondo.Come uscirne? Sicuramente svalutando il dollaro per facilitare le esportazioni e rendere più care le importazioni, obbligando gli americani a consumare meno.

Comprensibile che la politica della Banca Nazionale Svizzera per indebolire il franco verso il dollaro abbia irritato gli USA.D’altro canto individuare modi per farsi condonare parte del debito esistente senza troppo arrossire, o compensarlo con strane forme di pedaggio. Nixon non ci ha pensato due volte quando ha annullato d’imperio l’impegno della conversione del dollaro in oro.Quali saranno le conseguenze possibili se per contro si insistesse e si arrivasse alla guerra dei dazi?


Un aumento dell’inflazione, i dazi rincarano i prezzi pagati dai consumatori, e un crollo delle borse, accennato in aprile, sono possibili. Facilitato quest’ultimo dagli eccessi in molte valutazioni miliardarie di titoli quotati a New York, basate sulla speranza di successo e favolosi redditi che si realizzano (forse) molto in futuro. La fragilità di questa illusoria forma di produzione della ricchezza è evidente.
Quali i possibili scenari in tal caso? Pur con tutte le riserve si potrebbero ipotizzare due varianti. Quella, forse la più credibile, di un ritorno a forme di mercantilismo, di tendenze autarchiche. Un quadro di stagnazione con ulteriore sviluppo delle regolamentazioni statali.


Potrebbe anche andar peggio sfociando, nel caso della variante di una depressione, in un impoverimento generale e l’impossibilità di mantenere quel ritmo di vita e quei livelli di socialità che ci siamo concessi. Torneremmo ad alti tassi di disoccupazione in una situazione aggravata dagli enormi debiti accumulati negli ultimi decenni dagli Stati. Reazioni della piazza in una società già molto divisa, insoddisfatta e acrimoniosa non si possono escludere.


Aggiungo una terza ipotesi, quella impossibile. Si riesce a comprendere che bisogna tornare a creare ricchezza se si vuol mantenere l’alto tenore di vita e di socialità raggiunti. Necessitano in tal caso più libertà per chi ha iniziativa, più voglia di lavorare e valorizzazione del risparmio.
Sarebbe bello, ma non illudiamoci…


Concludendo, un interrogativo: per sistemare la disastrata economia e la finanza del mondo ci vuole lo sfascia carrozze?
Ai lettori la risposta.

Relatore

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