Passepartout

Mussolini e Claretta, quando non resta piu’ niente

25 aprile 1945

Mattina, Prefettura di Milano
Mi sveglio presto e raggiungo il mio ufficio in Prefettura. Le radiotrasmissioni riportano rapporti confusi: nel centro città le bande partigiane hanno già issato le loro bandiere, mentre i tedeschi arretrano in disordine. Sento crescere una morsa al petto: Milano, città che ho sempre considerato mia, ora mi sfugge di mano.

Pomeriggio (tardo pomeriggio), partenza da Milano
Alle 17:30 raduno Clara, i miei più fidati ufficiali e un piccolo seguito di SS. Salgo sulla Mercedes nera: volto verso ovest, costeggiando il Naviglio Grande, diretto verso Como. Ogni chilometro percorso mi pesa: immagino i volti dei ragazzi milanesi in piazza, gridare “Via i fascisti!”. Il motore rimbomba nelle mie orecchie, insieme al tambureggiare del mio cuore.

Sera, Villa Erba (Cernobbio)
Arriviamo poco dopo il tramonto nella villa di un comandante tedesco a Cernobbio. Il lago è calmo, ma dentro di me tutto è agitazione. I miei pensieri corrono ai giorni gloriosi: le folle in Piazza Venezia, la voce che tuonava dal balcone… Mi chiedo se li rivedrò ancora.


26 aprile 1945

Mattina, Villa Erba
La luce filtra dalle persiane chiuse. Clara mi sveglia con un velo di apprensione negli occhi: “Dovremo muoverci di nuovo entro poche ore.” I tedeschi preparano i rifornimenti, ma il morale è basso: nessuno osa parlare di vittoria. Ripasso mentalmente il piano di fuga verso la Svizzera, ma so che le montagne sono piene di partigiani.

Pomeriggio, strada tra Como e Ghisallo
Partiamo poco dopo mezzogiorno. La colonna si snoda lenta sulla statale: camion, auto civetta, qualche corazzato in panne. Attraversiamo Cernobbio, poi la salita verso Ghisallo. Lombi scoscesi, boschi fitti… che un tempo amavo percorrere in motocicletta. Oggi provo solo oppressione.

Sera, Villa Feltrinelli (Ghisallo)
La villa è un rifugio provvisorio; ci sistemano in stanze fredde. Passo le ore chiuso in me stesso, chiedendomi se qualcuno stia già parlando di un processo sommario nel mio absence. Temo il giudizio, ma più ancora temo la fine dei miei sogni.


27 aprile 1945

Mattina, ultimo tratto verso Dongo
Prima dell’alba riprendiamo la strada. Gli ordinativi giungono frammentati: “Proseguite verso Dongo, poi varcate il lago.” Non credo più alle promesse tedesche. Ogni fruscio tra gli alberi mi fa temere un agguato.

Pomeriggio, Dongo
Verso le 14:00, la colonna viene bloccata dai partigiani della Divisione “Val d’Ossola”. Tentiamo di spiegare la mia identità, ma non serve: fascisti, mani in alto. Ci ammanettano. Mi riguardo allo specchietto retrovisore della loro jeep: negli occhi di Clara vedo il terrore più profondo.

Sera, camion verso Mezzegra
Siamo ammassati su un autocarro, e la notte ci avvolge. Penso alle responsabilità: alle leggi razziali, alle stragi… Mi domando se in fondo non abbia sempre ignorato il peso dei miei atti. Il sonno non arriva.


28 aprile 1945

Alba, Giulino di Mezzegra
Ci svegliano alle 6:00. Mi trascinano davanti a un “tribunale popolare” improvvisato: cinque partigiani seduti a un tavolo, montagne alle spalle. Leggono le accuse di tradimento e crimini di guerra. Vorrei replicare, difendermi, ma la gola è secca e le parole muoiono in bocca.

Pochi minuti dopo
Cinque metri più in là c’è un fossato. Mi legano mani e piedi, mi spingono avanti: “Signor Mussolini, prego.” Un colpo secco, poi altri quattro. Vedo il cielo trapuntato di nuvole e sento un dolore che mi avvolge, come un sudario.

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