In un tempo in cui i diritti umani dovrebbero costituire un fondamento irrinunciabile delle società civili, l’Iran continua a imporsi come simbolo di una delle più oppressive e anacronistiche teocrazie del nostro tempo. Governato dal 1979 sotto un regime islamico sciita fondato sull’ideologia dell’Ayatollah Khomeini, il Paese ha eretto un sistema giuridico e politico in cui la religione diventa legge e la libertà, specialmente quella femminile, viene sistematicamente calpestata.
Al centro di questa repressione ideologica vi è l’obbligo del velo islamico, l’hijab, imposto a tutte le donne a partire dalla pubertà. Non si tratta di una semplice norma culturale o di un rispetto delle tradizioni religiose: è un’imposizione statale, sorvegliata da corpi speciali noti come la “polizia morale”, che punisce con multe, arresti e persino frustate coloro che osano infrangerla. In Iran, non indossare correttamente il velo non è una scelta personale, ma un crimine.
Il caso tragico di Mahsa Amini, la giovane donna curda morta nel settembre 2022 dopo essere stata arrestata per “abbigliamento non conforme”, ha scosso le coscienze del mondo. Il suo volto è diventato il simbolo di un regime che umilia e violenta le donne per il semplice fatto di voler decidere da sé come vestirsi, come camminare per strada, come essere. Da allora, centinaia di migliaia di donne iraniane hanno sfidato il potere clericale togliendosi il velo in pubblico, consapevoli di mettere a rischio la propria libertà e, in alcuni casi, la propria vita.
Frustare una donna perché mostra i capelli è un atto di brutalità, un insulto alla dignità umana e una profanazione del nome stesso di Dio, usato come strumento di dominio. In una teocrazia, la religione non è vissuta come esperienza spirituale, ma come codice penale: il velo, in questo contesto, non è simbolo di fede, ma di controllo.
L’Iran oggi è teatro di una delle più coraggiose lotte per i diritti civili, portata avanti a viso scoperto da donne che, in silenzio o urlando nelle piazze, sfidano un sistema patriarcale che ha strumentalizzato la religione per perpetuare la paura. La repressione non ha fermato il desiderio di libertà: ogni velo gettato a terra, ogni capello al vento è un atto politico, un grido contro l’oppressione.
Il mondo non può restare indifferente. Ogni frustata inflitta a una donna iraniana è una frustata al corpo della democrazia e della coscienza umana. È tempo che le istituzioni internazionali riconoscano apertamente il carattere disumano del regime iraniano e che si dia voce, con decisione, a chi lotta – spesso da sola – per un futuro in cui la fede non sia un’imposizione, ma una scelta.
Dal 1979, con la Rivoluzione islamica guidata dall’Ayatollah Khomeini, l’Iran ha imposto per legge l’uso del velo islamico (hijab) a tutte le donne, iraniane e straniere, a partire dalla pubertà.
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