Durante l’ultima guerra mondiale (1939-1945) sono stato un fortunato adolescente svizzero. Gli
echi della guerra ci arrivavano, avevamo notizia dei crudeli bombardamenti germanici su
Londra, che colpivano civili inermi ed indifesi, più tardi, verso la fine della guerra, di quelli
insensati su città tedesche prive di importanza strategica, con la distruzione di Dresda e
l’uccisione di cittadini pure inermi ed indifesi.
Le truppe germaniche ritirandosi dalla Russia hanno distrutto interi villaggi con i lanciafiamme,
quando i soldati russi sono arrivati a Berlino centinaia di donne terrorizzate sono morte
gettandosi dalle case per sottrarsi alla violenza di uno stupro di gruppo. La guerra, indipendentemente dalle motivazioni, è uno scontro tra cattivi, chi vuol sopravviveredeve uccidere il nemico prima che questi uccida lui.
Terminata la guerra, influenzati anche dagli orrori visti o addirittura vissuti, vi sono stati i
meravigliosi anni della ricostruzione. Quella politica con la reintroduzione della democrazia,
quella economica, allora non ostacolata dalla burocrazia, e nella quale chi operava con
successo era gratificato dalla stima sociale. Il progresso economico è stato accompagnato da
dovute misure di socialità. In diversi Stati le donne hanno ottenuto il diritto di voto. Eravamo
talmente concentrati che non ci siamo accorti negli anni ’90 delle diverse guerre nella ex
Jugoslavia e nei Balcani.
Data l’inefficienza politica dell’UE abbiamo dovuto ricorrere all’intervento americano. I
bombardieri del Presidente Clinton hanno posto termine al conflitto, e abbiamo continuato a dire
che in Europa per tre quarti di secolo non abbiamo avuto guerre, anche per inconsciamente
cancellarne il pensiero.
A poche ore di navigazione da noi vi è un Continente, l’Africa, che tra il 1990 ed il 2004 ebbe
più di quindici conflitti armati all’anno (Alessandro Colombo: Il suicidio della pace), nel Sudan, in
Liberia, nella Sierra Leone, in Angola, in Algeria, in Somalia, Etiopia ed Eritrea. Congo, Uganda,
Ruanda, Burundi, Zimbabwe, Angola, Ciad, Namibia. Alcuni di questi conflitti sono ancora in
corso. Tre milioni di morti nel Congo, 500.000 in Ruanda. Senza dimenticare l’orrore dei
“bambini guerrieri” inviati in prima linea a giocare con la morte. Abbiamo assistito a questa
carneficina con molto distacco, i conflitti non riguardavano l’Europa. Eravamo molto più
impegnati a dibattere sulle colpe del colonialismo e sui vantaggi della multietnicità.
Sempre intenti a voler dimenticare la guerra ed i suoi orrori, abbiamo volutamente dimenticato
anche gli insegnamenti della polemologia, quel ramo della sociologia che studia le guerre non
dal punto di vista della strategia ma quale fenomeno sociale.
Due sono le tesi sulle quali la polemologia si basa. La prima il fatto incontestabile che ad ogni
giorno del calendario nel corso degli anni (e dei secoli) da qualche parte del mondo vi è una
guerra, piccola o grande. Vi è gente che uccide e si fa uccidere. La seconda constatazione,
frutto anche di analisi di una commissione dell’Unesco negli anni 1947/48, è che l’origine della
guerra è insita nell’aggressività degli umani.
Anche la Carta dell’ONU per la neutralità è un’espressione di pii desideri, oltretutto tenendo
conto del fatto che la maggioranza dei Paesi membri è retta oggi in modo autoritario o
dittatoriale, ciò che spesso rende inclini all’aggressività.
Si ripete troppo facilmente la saggia massima dei latini “si vis pacem para bellum”, se vuoi la
pace, preparati per la guerra. Ancora una volta la cultura con le sue origini nel nostro passato
storico ha la meglio su mode transitorie e fatue. Non bisogna inoltre dimenticare che la guerra
di oggi è diversa. Giuliano da Empoli (L’heure des prédateurs) rammenta come una portaerei
americana costata dieci miliardi di dollari può venir affondata da qualche missile cinese che
costa 15 milioni, e per abbattere un drone di 200 dollari ci vuole un missile Patriot del costo di
tre milioni, senza dimenticare che un attacco cibernetico a bassissimo costo può paralizzare
un’intera nazione.
Abbiamo commesso l’errore di dimenticare la guerra e di credere di poterla contenere con
dichiarazioni talvolta ipocrite e sanzioni economiche, abbiamo ignorato gli ammonimenti
profetici di Samuel P. Huntington, già degli anni novanta, con il suo “The Clash of Civilizations
and the Remaking of World Order”. Le guerre di oggi (anche per evitarle) esigono enormi
capitali ma gli Stati europei si trovano straindeboliti in virtù di decenni di politiche scriteriate daisoldi facili che hanno portato ad indebitamenti insostenibili.
Comprensibile che a suo tempo noi europei si abbia voluto dimenticare la guerra con i suoi
orrori, e ci siamo avvantaggiati della protezione americana durante la guerra fredda. Al termine
di questa non abbiamo capito che l’interesse degli USA per noi era mutato e avremmo dovuto
cambiare politiche evitando quelle che ci hanno indebolito tecnologicamente ed
economicamente con le asfissie burocratiche di Bruxelles. Ci troviamo oggi con la guerra ai
nostri confini senza armi, senza soldati e senza soldi.
La situazione è grave, ma ancor più preoccupante se facciamo finta di non capirlo.
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