IL MONUMENTO A UN CADUTO E UNA TRACCIA DI “PROPAGANDA AUGUSTEA”: LA STELE DEL CENTURIONE MARCO CELIO
Roma, nel corso dei suoi numerosi secoli, ha annoverato battaglie entrate nella leggenda della storiografia. Chi, infatti, non ha mai sentito parlare di Zama, nel 202 a.C., quando Roma riuscì finalmente a vincere Annibale?
Tuttavia, non sono solo le vittorie ad aver forgiato la storia di Roma, bensì sono state anche sconfitte disastrose, sconfitte così pesanti da venire definite dagli stessi romani col termine latino di CLADES (ovvero disfatte).
Una delle disfatte più atroci e più celebri per Roma fu quella che avvenne tra i giorni 8 e 11 settembre dell’anno 9 d.C. nella foresta di Teutoburgo, nell’attuale Germania. Questa clamorosa sconfitta, che cosò a Roma ben tre legioni, fu orchestrata da Arminio, leader della popolazione germanica dei Cherusci, che crebbe a Roma e che comprese estremamente bene che le potenti e numerose legioni di Roma potevano essere devastate se colpite di sorpresa, nel suo caso si può parlare di un vero e proprio tradimento visto che Arminio agiva di facciata assieme ai Romani nel loro tentativo di pacificazione della provincia di Germania Magna, oggi identificabile coi territori della Germania centro settentrionale. La sottomissione della Germania era uno dei diversi obiettivi militari del primo imperatore di Roma, Augusto, il quale, in veste di vero e proprio “pacificatore” operò al fine di porre sotto la sua Pax tanto l’impero, quanto i territori ad esso contiguo.
La disfatta di Teutoburgo, come già detto precedentemente, fu considerata sin da subito come una delle più grandi tragedie che Roma avesse mai affrontato, e tale visione fu a lungo mantenuta. Lo storico di età augustea Velleio Patercolo, nel suo “Historiae Romanae ad M. Vinicium consulem libri duo” ci dice: “Anch’io, come altri, tenterò di esporre in un volume adeguato i dettagli di questa spaventosa disgrazia, di cui nessun’altra fu più grave nelle campagne estere, dopo quella subita da Crasso contro i Parti” (II, 117-119), mentre il celebre storico del II secolo d.C. Svetonio nel suo “Vita Divi Augusti” ci racconta quanto la notizia di questa disfatta avesse preoccupato l’imperatore: “Dicono che Augusto si mostrasse così avvilito da lasciarsi crescere la barba ed i capelli, sbattendo, di tanto in tanto, la testa contro le porte e gridando: “Varo, rendimi le mie legioni!”. Dicono anche che considerò l’anniversario di quella disfatta come un giorno di lutto e tristezza” (23).
Partendo da quest’ultima fonte, andiamo ora ad analizzare un’epigrafe estremamente preziosa perché ci mostra uno dei soldati caduti nell’imboscata operata da Arminio in quel 9 d.C.: parliamo dell’epigrafe funeraria del centurione Marco Celio, identificabile epigraficamente come CIL III, 08648.
Come possiamo vedere anche dall’immagine qua sotto riportata, la stele funebre di questo personaggio è articolata e densa di significato nella sua rappresentazione: il centurione Marco Celio è rappresentato con le decorazioni più elevate relative al servizio militare, vediamo ARMILLAE ai polsi e FALERAE, oggi identificabili come vere e proprie medaglie al valore. Inoltre il nostro centurione è rappresentato con in capo la CORONA CIVICA, la corona che veniva assegnata per aver salvato la vita ad un concittadino (in questo caso un commilitone). Se non leggessimo l’epigrafe, cosa che faremo immediatamente, potremmo comunque dedurre che il protagonista di questa stele fosste stato un centurione grazie alla presenza del VITIS, il bastone di comando in dotazione ai centurioni. Vediamo ora, tralasciando le epigrafi e le rappresentazioni laterali che identificano i due liberti (schiavi liberati) di Marco, il testo dell’epigrafe tradotto: “A Marco Celio, figlio di Tito, della tribù Lemonia, originario di Bologna, primus ordo della legione XVIII, di anni 53 e mezzo. Cadde nella disfatta variana. Sarà lecito seppellire qui le sue ossa. Il fratello Publio Celio, figlio di Tito, della tribù Lemonia, eresse (il monumento)”.
L’epigrafe ci presenta un caso completo di onomastica indicandoci che il centurione Celio fosse originario dell’attuale città di Bologna. Un elemento da notare, legato al fatto che si parla di un’epigrafe funeraria (secondo la tassonomia epigrafica), è la presenza dell’età precisa del defunto: 53 anni. E’ un’età particolarmente elevata per un soldato del mondo antico e, con probabilità, questo potrebbe indicare che il centurione, che aveva ottenuto una carriera di tutto rispetto divenendo anche PRIMIPILUS (il centurione della prima coorte di una legione, ovvero il centurione più alto di grado), fosse non troppo distante dal congedo (HONESTA MISSIO).
Tuttavia, uno degli elementi più interessanti di questa stele funeraria non vede protagonista il defunto. Se leggiamo con attenzione, il fratello di Marco ci dice che il fratello è caduto nella “disfatta variana”. E’ interessante riflettere su questo aspetto: la tragedia immane di Teutoburgo viene additata, con grande ignominia, al comandante Publio Quintilio Varo. Vediamo dunque riproposta in maniera pratica la fonte di Svetonio che ci racconta di Augusto disperato contro Varo! Ma c’è dell’altro: l’imperatore, in virtù del suo imperium superiore (che a partire proprio dal 6-9 d.C. diverrà MAIUS ET INFINITUM), ottiene sempre la gloria delle vittorie e delle conquiste e ciò lo si vede negli imperatori successivi, con i loro archi e monumenti che ricordano le loro vittorie, anche se non presenti sul campo di battaglia. Le disfatte, tuttavia, possiamo vedere non tangevano la figura imperiale: la disfatta non è la disfatta dell’imperatore, è il disastro del comandante (sia esso LEGATUS LEGIONIS o LEGATUS AUGUSTI PRO PRAETORE) al quale l’imperatore ha delegato il comando. Il prestigio e il carisma dell’imperatore (in latino AUCTORITAS) così rimanevano assolutamente intatte.
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