Cultura

L’Onomastica dell’Antica Roma

Uno degli aspetti che più aiuta nella comprensione di un popolo o di un’antica civiltà è sicuramente quello inerente al sistema onomastico, ovvero quali nomi erano soliti utilizzare coloro che appartenevano a questo popolo o civiltà. Nel caso di Roma antica l’aspetto dell’onomastica è al tempo stesso complesso e affascinante. Vediamo ora di tracciare le linee guida che sono in grado di mostrare questo vitale aspetto culturale del popolo dei sette colli.

Prima di iniziare, tuttavia, occorre porre una premessa che, nella sua logica quasi banale, è estremamente rilevante nella comprensione della mentalità romana. L’onomastica odierna, discendente da quella basso medievale dei secoli XI-XII, è di tipo semplice: al nascituro viene attribuito un NOME di battesimo (il cosiddetto “nome proprio”) unito ad un COGNOME, ovvero l’indicazione di appartenenza ad una determinata famiglia. Di fatto l’onomastica contemporanea si ferma qui.

Ora, per la società romana, come precedentemente anticipato, la questione è molto più complicata. Innanzitutto occorre partire da un’altra premessa: l’onomastica romana ha più volte subito modificazioni, vedremo oggi la composizione onomastica più classica, ovvero quello cronologicamente individuato tra la fine della Repubblica (I secolo a.C.) e la metà del I secolo d.C. Percorriamo dunque le orme di un bambino e di una bambina appena venuti al mondo.

1. PRAENOMEN

Un cittadino romano di sesso maschile, naturalmente nato libero (in latino ingenuus), qualora dopo cinque giorni fosse stato riconosciuto dal padre, attraverso la cerimonia di riconoscimento chiamata “dies lustricus”, riceveva il suo nome di battesimo, nome di battesimo che i romani chiamavano PRAENOMEN. Tale nome tuttavia non veniva registrato all’anagrafe nell’immediato, come capita nella società contemporanea, bensì rimaneva come appellativo non ufficiale fino al compimento dei 16 anni, quando il giovane “diveniva maggiorenne” e andava ad indossare la toga virilis. Per quanto riguarda invece le figlie, la questione era più complessa: non avendo queste un diritto politico all’interno della città, è estremamente difficile riscontrare nelle fonti l’uso del praenomen: esse lo possedevano, tuttavia in pubblico adottavano un altro appellativo, che vedremo molto presto. I prenomi, a partire dal III secolo a.C., erano piuttosto limitati: i più celebri furono Caius, Aulus, Publius, Lucius, Cneus, Marcus. Un fatto curioso, legato alla sfera della consuetudine piuttosto che alla regola, risiede nel fatto che in genere il figlio primogenito assumesse lo stesso praenomen paterno (motivo per cui è difficoltoso, talvolta, in ambito epigrafico distinguere bene un determinato personaggio).

2. NOMEN

Il nostro cognome nel mondo romano era chiamato NOMEN e lo si identifica come gentilizio. Se il cognome della società contemporanea definisce un nucleo familiare, il nomen identificava la gens, ovvero tanto il nucleo familiare in senso stretto, quanto tutti coloro che orbitavano attorno a questo, in particolare i liberti. Ci furono diverse famiglie di importanza capitale per la storia romana e alcuni dei nomi più celebri furono: Iulius, Cornelius, Claudius, Flavius. Naturalmente i gentilizi più celebri sono quelli legati alla casa imperiale e la loro grande diffusione è giustificata dal fatto che stranieri (in latino peregrini) e soldati ausiliari, quando ottenevano la cittadinanza romana, assumevano il gentilizio dell’imperatore. Il gentilizio, declinato al femminile, era il nome “ufficiale” delle donne libere romane: tanto in ambito letterario, quanto soprattutto in quello epigrafico, una donna romana sarà indentificata attraverso il nomen: così, per esempio, Octavia era la figlia di un uomo appartenete alla gens Octavia, Cornelia a quella dei Cornelii etc.

3. COGNOMEN

La terza e ultima parte dei “tria nomina” è riservata ad un elemento che, al giorno d’oggi, si potrebbe definire come soprannome. Il COGNOMEN era infatti un terzo appellativo che serviva per distinguere con maggiore precisione un determinato individuo. Un cognomen poteva andare a descrivere una vasta gamma di peculiarità che contraddistinguevano un individuo: qualità fisiche (con una barba caratteristica? Barbatus), caratteristiche di temperamento (partciolarmente devoto a famiglia e dèi? Pius), un ordine numerico di nascita (Maximus se era l’ultimo figlio avuto), derivante da un mestiere (Agricola, Sutor, Mercator) e tanti altri aspetti.

Un aspetto fondamentale che veniva unito, in questo periodo, ai tria nomina è il cosiddetto PATRONIMICO, ovvero l’indicazione del proprio padre, o meglio del praenomen del proprio padre.

Dunque, qualora potessimo avere la possibilità di chiedere ad un antico romano di identificarsi, questi risponderebbe per esempio: Caius, Cai filius, Octavius Taurinus.

L’insieme di questa complesso sistema onomastico è conosciuto come “tria nomina”.

Ma il sistema onomastico romano poteva così dirsi esaurito? Assolutamente no! Come abbiamo già intravisto nella prima parte, assieme ai tria nomina c’erano altri fondamentali aspetti che andavano a delineare in maniera estremamente accurata l’identità del cittadino. Abbiamo visto la funzione del patronimico, ovvero l’indicazione del praenomen paterno, posto generalmente dopo il gentilizio; tuttavia, l’epigrafia ci fornisce due ulteriori importanti aspetti che per un cittadino romano erano imprescindibili nella sua identità. Vediamo ora di analizzare l’onomastica nella sua completezza.

TRIBUS

La TRIBUS era l’Indicazione della circoscrizione elettorale in cui ogni cittadino maschio era iscritto, in base al suo domicilio. Secondo la tradizione, la suddivisione rimonterebbe a Servio Tullio, che divise il territorio romano in circoscrizioni territoriali, con la definizione di quattro tribù urbane (Collina, Esquilina, Palatina e Suburana). Secondo Livio nel 495 a.C. vi erano 21 tribù, di cui 4 urbane e le restanti rustiche. Nel 241 a.C. si raggiunse il numero più elevato, ossia 35, e, a partire da questa data, ciascun cittadino venne inserito in una qualsiasi delle tribù, senza più avere alla base la primordiale suddivisione geografica, tranne specifiche eccezioni. Considerato che al momento di ricevere la cittadinanza romana gli abitanti di una comunità venivano iscritti a una medesima tribù, essa andò perdendo il suo valore territoriale; dalla tarda età repubblicana, poi, divenne individuale e talora ereditaria in ambito familiare, mentre in epoca imperiale era più che altro un segno distintivo del possesso della cittadinanza romana. Tutti coloro che non erano cittadini romani per nascita, ma lo diventavano successivamente venivano ascritti a una tribù. La scelta della tribù poteva o essere determinata da precise indicazioni formulate durante la concessione della cittadinanza o essere regolata da specifiche consuetudini, come ad esempio l’assegnazione alla tribù maggiormente attestata nel luogo di origo. Oltre a questa sono attestate altre convenzioni, come l’ascrizione dei liberti a una delle quattro tribù urbane, e in particolare alla tribus Palatina. Questo non significa che tutti coloro che sono ascritti alla Palatina devono essere considerati automaticamente come liberti o discendenti da liberti, ma che di fronte a un’ascrizione alla tribù Palatina, soprattutto in un territorio in cui essa non è la tribus prevalente, si deve per lo meno verificare se non esista la possibilità che quell’ascrizione sia dovuta a un’origine – più o meno lontana – libertina. La domanda deve essere impostata anche per personaggi di alto rango, come senatori ed equestri, se diamo fede all’affermazione di Tacito che la stragrande maggioranza dell’aristocrazia romana proveniva da liberti. A livello epigrafico, la menzione della tribus è particolarmente documentata tra la seconda metà del II sec. a.C. e il II sec. d.C., mentre di fatto sparì a seguito della concessione della cittadinanza a tutti gli abitanti dell’impero tramite la Constitutio Antoniniana (212 d.C.). Sulle epigrafi la tribus è indicata di solito dopo il patronimico/patronato (e, se presente, prima del cognomen) perlopiù in forma abbreviata (nella maggior parte dei casi con le prime tre lettere) con la parola tribu sottintesa, più raramente per esteso, in caso ablativo (rarissimo il genitivo), seguito o meno dalla parola tribu.

ORIGO

L’ORIGO era l’Indicazione della patria, di norma posta dopo il cognomen ed espressa in locativo/genitivo (es.pertanto la tradurremmo come “originario di…”),) o con un aggettivo derivante dal nome della città (traducibile come “Riminese”, per esempio).

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